Avanguardia antica
di Luigi Raso
Uno splendido concerto diretto da Dennis Russell Davies, con la partecipazione dei Neue Vokalsolisten Stuttgart, al teatro di San Carlo mette in relazione Šostakóvič, Gabrieli e Maderna, Gesualdo e i contemporanei
NAPOLI, 22 febbraio 2020 - È il mottetto In Ecclesiis (1608), per doppio coro, strumenti e basso continuo di Giovanni Gabrieli nella versione (del 1966) per grande orchestra di Bruno Maderna ad aprire uno dei più attesi e interessanti concerti della stagione sinfonica in corso: un brano nel quale si fondono due mondi musicali distanti nel tempo e, almeno in apparenza, inconciliabili. Sì, perché l’incontro tra i due compositori veneziani, Giovanni Gabrieli e Bruno Maderna, segna una intrigante reinterpretazione della civiltà polifonica veneziana da parte dell’avanguardia musicale del XX secolo; l’apparente inconciliabilità però svanisce all’ascolto delle prime battute.
Bruno Maderna riscrive il mottetto seicentesco assecondandone lo spirito originario, esaltando in chiave orchestrale il meraviglioso gioco dei pesi e contrappesi sonori del coro spezzato di Giovanni Gabrieli. E il risultato è una composizione estremamente suggestiva, con radici saldate nel passato musicale, ma immersa nel ‘900, filtrata da una raffinata rielaborazione e attualizzazione di stilemi antichi. Maderna procede con un vero e proprio sezionamento del grande organico orchestrale, così da ricreare quella contrapposizione polifonica presente nell’originario mottetto di Gabrieli: in luogo dei due cori, le sezioni degli ottoni-fiati e degli archi, in un dialogo musicale continuo.
Dennis Russell Davies - che debutta al San Carlo - dimostra sin dall’inizio di aver ben chiaro questo schema compositivo: la sua è una lettura che, bilanciando alla perfezione, grazie anche a un’orchestra in una delle proprie migliori serate, i pesi sonori, fa emergere le trasparenze e il rigore formale della scrittura musicale di Gabrieli/Maderna. Nel fluire polifonico del mottetto, ai suoni puliti e rotondi emessi dagli ottoni si affiancano, come a sostenerli e ad ammantarli, quelli degli archi, morbidi e duttili, in un raffinato gioco di dinamiche.
Anche il secondo brano in programma, Florilegium. Studio da Gesualdo - presentato in prima esecuzione assoluta - per ensemble vocale, coro e orchestra scritto di Lucia Ronchetti in collaborazione con Raffaele Grimaldi è una rivisitazione della musica antica. La composizione, commissionata dal Teatro San Carlo, sarebbe dovuta andare in scena nel 2013, per celebrare il quarto centenario dalla morte del grande madrigalista Carlo Gesualdo (1566 -1613), ma a causa degli scioperi contro la Legge Bray il concerto saltò. Dopo sette anni il lavoro vede dunque la luce, affidato alle cure orchestrali delle compagini orchestrali e corali del San Carlo, alle quali si uniscono i Neue Vokalsolisten Stuttgart, gruppo di ricercatori e vocalisti, esploratori di nuove forme di composizioni e contaminazioni musicali.
Il testo di Florilegium coniuga il fenomeno della metamorfosi della poetica di Goethe dell’elegia Die Metamorphosen der Pflanze (del 1799) con l’inquietudine del cromatismo della musica di Gesualdo: un intreccio letterario che ai frammenti di Gesualdo affianca l’elegia di Goethe sulla metamorfosi e alcuni ritratti poetici di fiori, su testi di Ludwig Uhland, Angelus Silesius e Rainer Maria Rilke. Al coro e all’orchestra è affidata la voce dell’anima tormentata di Gesualdo, in perenne contrasto con quella ottimistica della visione di Goethe.
Benché l’impianto letterario e gli innesti testuali della composizione appaiono alquanto arzigogolati e non direttamente celebrativi di Carlo Gesualdo, l’effetto musicale si presenta di grande suggestione, per l’uso di sonorità oniriche, notturne, sospese, aderenti allo spirito tormentato del madrigalista uxoricida. Un’arditezza e complessità nella scrittura musicale che deve far lodare l’ottima prova dell’orchestra e del coro del San Carlo, così come l’apporto significativo dei Neue Vokalsolisten Stuttgart, meravigliosi vocalisti, bravissimi a risolvere con estrema naturalezza le difficoltà della scrittura vocale oscillante tra il parlato e il canto, e, per il soprano, particolarmente alta.
Dennis Russell Davies domina con sicurezza la complessa partitura, esaltandone il cromatismo esasperato della musica riconducibile a Gesualdo, mescolandola a sonorità sospese e stridenti della lavoro di Lucia Ronchetti e Raffaele Grimaldi.
Con la seconda parte si torna al ‘900 musicale “più classico” e maggiormente frequentato, la Sinfonia n. 15 in la maggiore, op. 141 per grande orchestra (1972) di Dmitri Šostakóvič, l’ultima sinfonia del grande compositore sovietico.
Sin dall’ Allegretto iniziale - un delizioso pastiche di teminel quale si distingue immediatamente un tema tratto dalla sinfonia del Guillaume Tell - Russell Davies ci immerge nell’atmosfera briosa e scintillante del movimento, con precisione, pulizia e spiccato senso ritmico. Bellissimi gli assoli del violino di spalla Gabriele Pieranunzi e del flauto di Silvia Bellio, che riescono a ritagliarsi sonorità cameristiche e beffarde all’interno del gigantismo sinfonico di Šostakóvič; tra tintinnio di campanelli e pizzicato degli archi l’intero movimento procede all’insegna dell’effervescenza timbrica e ritmica.
Altrettanto bravo è il primo violoncello di Pierluigi Sanarica al quale è affidato il compito di introdurre il cupo e misterioso tema dell’ Adagio: dal colore festante del primo movimento Russell Davies passa a sonorità grigie, liriche, solenni come una marcia funebre.
Il contrasto tra la vivacità del primo movimento e la sospensione carica di mistero del secondo tempo è accentuata dal direttore statunitense mettendo in risalto i suoni profondi e gravi del trombone di Gianluca Camilli che prepara la suspense che conduce all’esplosione orchestrale con perfetta carica emotiva.
Pur all’interno di un organismo orchestrale esteso e rimbombante, Russell Davies non rinuncia alla cura degli aspetti più cameristici della partitura, grazie alla qualità delle prime parti dell’orchestra.
Il secondo Allegretto, giocoso nel solco di quello del primo movimento, vede il simpatico chiacchiericcio tra il primo violino e il clarinetto di Sisto Lino D’Onofrio nel quale si inseriscono gli interventi della tromba di Fabrizio Fabrizi. Russell Davies ritorna a quella trasparenza strumentale e a quella inestinguibile pulsazione ritmica già ascoltate e lodate nel primo movimento.
Si cambia ancora colore e cifra espressiva con l’ Adagio conclusivo. Si apre all’insegna delle profonda cupezza, con un’altra citazione musicale: dopo quella di Rossini nel primo movimento, ora è il turno del “tema del Fato”, che si ascolta in Die Walküre di Richard Wagner, per poi comparire nelle successive giornate del Ring.
L’ultimo movimento, venato da un sottile sentimento funereo, è quello più vicino alla poetica della dissoluzione di Gustav Mahler: Russell Davies asseconda lo spirito del movimento, irrobustendo e ingrigendo il suono orchestrale, fino a condurlo verso quello straniante evaporarsi delle percussioni nelle battute conclusive nel quale fa capolinea sarcastico il tema giocoso iniziale della sinfonia.
Al termine della sinfonia, Russell Davies lascia per pochi secondi in raccolto silenzio il teatro; abbassate le braccia, gli viene tributato un meritatissimo e calorosissimo successo che il direttore condivide con tutta l’orchestra e le sue prime parti.