L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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Genio e sregolatezza di Cesare Pugni,

operaio instancabile della fabbrica di balletti

di Irina Sorokina

Nel 2020 si ricordano i centocinquant'anni dalla morte di Cesare Pugni, compositore italiano attivo alla Scala, Parigi, Londra e San Pietroburgo con i maggiori coreografi e danzatori del suo tempo. Nel giorno del suo compleanno, 31 maggio, cogliamo l'occasione per esplorare la sua vita avventurosa e il ruolo - fondamentale e spesso relegato nell'ombra - del compositore di balletto nel XIX secolo.

Pugni o Puni, con l’accento sull’ultima sillabe? Cesare o Cezar’? Insomma, Cesare Pugni o Cezar’ Puni? La seconda versione del nome di questo personaggio storico forse gli appartiene di più. Il compositore genovese passò la maggior parte della sua vita nella Palmira del Nord come spesso nel modo poetico venne chiamata San Pietroburgo nei secoli passati la capitale dell’Impero Russo. E a San Pietroburgo trovò l’ultima dimora anche se nulla rimase d’essa.

Nel nostro breve racconto lo chiamiamo Pugni, ovviamente. Venne trattato spesso dagli autori di libri e saggi sul balletto classico con una certa superbia. Fu un vero operaio, o, meglio, un bracciante e stakanovista del balletto. All’epoca, nei teatri imperiali russi esistette una carica speciale, quella di compositore di ruolo, sempre a disposizione del coreografo che a sua volta doveva soddisfare le esigenze della prima ballerina/solista di turno. Il suo catalogo indica trecentododici composizioni di musica per balletto; ovviamente non tutte per balletti a serata intera. Fu una specie di eroe; basta pensare soltanto al tempo materiale necessario di scrivere le note a mano!

Eroe sì, ma con molti tratti di personalità che lo portarono alla rovina economica, nonostante compensi e royalties più che dignitosi. Rimase nella storia, sì, ma, molto probabilmente avrebbe potuto avere più riconoscimenti da parte degli storici del balletto. Ma veniamo alle origini.

Non si indica con precisione la data di nascita di questo compositore sorprendentemente prolifico senza di cui non sarebbero nati alcuni titoli di balletti fino a oggi in repertorio; alcune fonti indicano l’anno 1802, altre 1805, mentre non ci sono dubbi riguardo la data, il 31 maggio. Accettiamo la prima, visto che la maggior parte delle fonti storiche si sofferma su essa. Nacque a Genova, dove al bambino venne dato il nome fiero di Cesare, nella famiglia di un orologiaio che aveva la bottega nelle vicinanze immediate del Duomo di Milano (alcune fonti indicano la capitale lombarda come il luogo di nascita di Cesare Pugni). Da bambino rivelò un dono pazzesco, come si dice nei nostri giorni, un talento musicale scoppiettante e decisamente precoce. Si legge di una sinfonia composta all’età di sette (!) anni; sembra che il Pugni bambino avesse poco da invidiare al grande Mozart.

Ricevette un’ottima istruzione musicale; Alessandro Rolla gli insegnò il violino (il celebre Niccolò Paganini fu un altro suo allievo), Bonifazio Asioli composizione e contrappunto e Carlo Soliva teoria musicale. Presto si iniziò a parlare della sorprendente velocità con cui il giovane Pugni componeva; rimarrà la sua caratteristica per tutta la vita. Fu naturale che un ragazzo cresciuto all’ombra del Duomo di Milano frequentasse il Teatro alla Scala, a due passi anch’esso dalla bottega del padre Carlo. Fu naturale che assorbisse le idee e mode che riempivano l’aria e producesse il suo primo belletto (secondo l’usanza d’epoca, un arrangiamento dei temi degli altri compositori) su un soggetto di Walter Scott. Il titolo fu Il castello di Kenilworth e venne coreografato da Gaetano Gioja ,noto anche come insegnante di danza della celebre star austriaca Fanny Elssler; i conoscitori del belcanto romantico ricorderanno subito l’opera omonima di Gaetano Donizetti presentata al teatro San Carlo in seguito. Tre anni dopo compose il suo primo balletto originale, Elerz e Zulmida, coreografato da Louis Henry. Senza alcun dubbio, Henry rimase soddisfatto del lavoro del giovane Pugni, visto che gli commissionò altri tre balletti.

La sua carriera procedette bene, presentò quattro opere liriche, Il disertore svizzero al Teatro Canobbiana nel 1831, La vendetta alla Scala nel 1832, Il contrabbandiere nel 1833 e Un episodio a San Michele nel 1834, entrambe al Canobbiana; oltre a ciò compose moltissime opere strumentali e ottenne l’incarico del Maestro al cembalo al celeberrimo teatro milanese. Sembrò che il compositore genovese-milanese avesse trovato la sua dimora alla Scala, ma le cose non andarono per il verso giusto. Nel 1834 fu costretto a lasciare Milano; fuggì, molto probabilmente, a causa di un’appropriazione indebita, il chenon sorprese più di tanto: la sua inclinazione per il gioco e l’alcool era ben nota e l’appropriazione avvenne, quasi sicuramente, a causa dei debiti contratti. Fuggì a Parigi e la moglie e i figli lo seguirono.

A Parigi, a quei tempi capitale mondiale della cultura, ottenne l’incarico di copista al Théatre Italien. Il 1834 fu segnato da una brutta storia con Vincenzo Bellini, pure lui a Parigi per presentare I Puritani, l’opera che fu destinata a essere la sua ultima. Si rivolse a Pugni per copiare le parti della partitura cambiate per Maria Malibran, che doveva cantare al Teatro di San Carlo, e questi, di nascosto, fece anche una seconda copia e la vendette a caro prezzo al teatro napoletano. Fu facile immaginare la reazione di Bellini indignato e amareggiato non soltanto per i soldi sottratti, ma anche per la vigliaccheria del suo collaboratore, che spesso aveva aiutato con soldi per la famiglia e vestiti per lui e sua moglie.

L’anno successivo alla morte prematura di Bellini, la carriera di Pugni procedette con successo; legò la sua attività all’Opéra di Parigi dove rimase fino al 1843 e fu molto apprezzato per le sue qualità eccellenti, soprattutto per la velocità di composizione e orchestrazione. Louis Henry volle usare suoi brani dal balletto L’assedio di Calais (di cui La Danza scozzese godette una grande popolarità) da inserire in Guillaume Tell di Rossini. Pugni lavorò anche per il Casinò Paganini, ma in questi anni venne definita chiaramente la sua vocazione. La sua presenza diventò vitale per il funzionamento di quella grande macchina chiamata Opéra; la lingua inglese ha un’ottima definizione per il suo ruolo, musical ghost writer: Pugni c’era ma non si vedeva, o, almeno, non si vedeva sempre. Dette la forma definitiva ai pezzi di musica scritta per la danza da altri compositori, corresse e fece l’orchestrazione. La regola secondo la quale l’autore lasciava il compito di orchestrare la musica al copista o il direttore d’orchestra, era all’ordine del giorno. Lavorò tantissimo, lavorerà per tutta la vita tantissimo. Nessuno sa, e forse non si saprà mai, quanti pezzi adattò o corresse Pugni sulle esigenze degli interpreti, soprattutto quando si trattava della star di turno, come nessuno sa quanti pezzi rimasero a giacere negli archivi dell’Opéra. Il compositore di ruolo al servizio del coreografo e/o la prima ballerina nacque. Nei teatri imperiali russi sarà la carica ufficiale e sarà estinta ufficialmente soltanto nel 1886. Ma non sparirà, continuerà ad esistere, anche se non ufficialmente, e in Russia sarà di nuovo un compositore italiano, Riccardo Drigo, mettere il suo indiscusso talento al servizio del coreografo.

Dopo Milano e Parigi fu Londra la prossima tappa di Cesare Pugni, come se il destino volesse che lasciasse la sua impronta in molte capitali europee. Grazie alla conoscenza dell’impresario Benjamin Lumley, venne presentato a Jules Perrot, ballerino e coreografo di talento. Nel 1843 Pugni si trasferì nella capitale inglese con l’incarico di compositore di musica per balletti.

La tappa londinese fu segnata dalla creazione di moltissimi balletti celebri (alcuni sono arrivati a noi) e, soprattutto, dal livello di collaborazione decisamente alto. Jules Perrot a cui la natura negò il dono di bellezza, da sempre importante per la carriera di ballerino, lasciò un segno indelebile nella storia della danza soprattutto come coreografo. Regnò indiscussamente al Theatre of Her Majesty’s dove creò Ondine, ou la Naiade (1843), La Délire d’un peintre (1843), Esmeralda (1844), Eoline, ou La Dryade (1845), Pas de Quatre (1845), Catarina, ou la Fille du Bandit (1846), Le Jugement de Paris (1846), Lalla-Rookh (1846). Perrot fu il creatore del genere del dramma coreutico romantico. I suoi balletti vantarono un ricco contesto, azione dispiegata, unione completa della danza con la pantomima, personaggi scolpiti in tutta la loro profondità umana. In tutti questi balletti si esibirono le star più acclamate dell’epoca: Fanny Cerrito, Carlotta Grisi, Lucille Grahn, Amalia Ferraris. Nel 1845 a Londra accadde un miracolo: l’impresario Lumley riuscì a convincere la “divina” Maria Taglioni, creatrice del ruolo della Sylphide, la Grisi, la Cerrito e la Grahn a esibirsi insieme in un breve balletto. Nacque il celeberrimo Pas de Quatre, in repertorio anche oggi con le coreografie di Anton Dolin. Per tutti i capolavori di Perrot la musica fu composta da Cesare Pugni e con il Pas de Quatre si procurò un posto sicuro nella storia del balletto. Per l’Her Majesty’s Theatre di Londra scrisse nel 1845 la musica per Rosida, ou Les Mines de Syracuse iniziando così la sua collaborazione con Arthur Saint-Léon che continuerà in Russia, a San Pietroburgo. Nel 1848 la musica di Pugni fu ascoltata per la prima volta nella capitale russa in occasione della presentazione di Esmeralda con la star austriaca Fanny Elssler nel ruolo del titolo. La sua interpretazione portò il caloroso pubblico russo a un vero delirio.

Oltre a Perrot, che giocò il ruolo fondamentale nella sua carriera, Pugni collaborò con altri coreografi. Compose per Arthur Saint-Léon che copriva la carica del coreografo all’Académie Royale de Musique ovvero l’Opéra di Parigi essendo ospite a Londra. Insieme produssero alcuni titoli memorabili quali La Fille de Marbre (1847, molto simile al balletto di Perrot Alma, ou la Fille de Fée , 1842, musica di Michael Andrew Costa; Pugni realizzò l’adattamento della partitura originale), La Violon du Diable (1849, nuova versione del balletto Tartini il Violinista presentato al Teatro La Fenice di Venezia nel 1848, la musica di Giovanni Felis e di Saint-Léon per gli assoli di violino; Pugni realizzò l’adattamento della partitura), Stella, ou Les Contrebandiers (1850). Negli stessi anni l’instancabile Pugni prestò la sua opera anche a Paolo (Paul) Taglioni, fratello della celeberrima Maria, che copriva la carica di coreografo all’Hofoper di Berlino: si ricordano i balletti Coralia, ou La Chevalier inconstant (1847), Théa, ou Le Fée aux fleurs (1847), Les Plaisirs de l’Hiver ou Les Patineurs (1849), Les Metamorphoses (noto anche come Satanella, 1850). Paul Taglioni ebbe un’alta considerazione delle capacità di Pugni. Simile a Saint-Léon, Pugni mantenne i ritmi di lavoro molto serrati e oltre ai balletti a serata intera e in un atto scrisse anche una marea di pezzi aggiunti e da eseguire durante gli intervalli nelle opere. Le creazioni di Pugni fecero il capolino al Teatro alla Scala; nel 1845 il pubblico milanese applaudì Esmeralda e nel 1847 Catarina e Lalla-Rookh.

Jules Perrot, evidentemente, fu soddisfatto dalla collaborazione con Pugni, visto che, quando venne invitato a coprire la carica del Premier Maitre de Ballet al Teatro Imperiale Bol’šoj Kamennyj di San Pietroburgo ad iniziare dalla stagione del 1850-51, lo portò con sé facendolo assumere come il compositore della musica per balletto. In russo questa carica venne chiamata štatnyj kompozitor (штатный композитор), сioè, tradotto alla lettera in italiano, compositore dello staff. Qual è il vero significato di un concetto che suona malissimo in italiano? Indica la figura fissa del musicista sempre a disposizione della direzione del teatro, del coreografo e della prima ballerina/solista, pronto a comporre della musica nuova o cambiare/adattare quella scritta precedentemente. Di solito la musica veniva scritta durante le prove e spesso la notte successiva. La prima ballerina del Teatro Imperiale Bol’šoj Kamennyj di San Pietroburgo Ekaterina Ottovna Vazem, prima interprete del ruolo di Nikija ne La Bayadère, descrisse questo ruolo, che ha tutte le probabilità di risultare incomprensibile al pubblico d’oggi, nel miglior modo possibile: “Nei vecchi tempi alla musica per balletto non si dava una grande importanza. La musica per balletto ebbe un ruolo secondario, accompagnò le scene mute e danze, e, in ogni caso, non doveva distrarre da esse l’attenzione del pubblico. Perciò la prima esigenza fu “ballabilità”, cioè la musica doveva risultare comoda per le danze e espressiva per le scene mimiche, quindi nello staff teatrale fu necessaria la presenza di un compositore specialista del proprio mestiere” (11, p. 30). Cesare Pugni, o, come lo chiamavano i russi, Cezar’ Puni, coprì questa carica per ben vent’anni, lavorando a fianco di tre grandi coreografi dell’epoca, Jules Perrot, Arthur Saint-Léon e Marius Petipa.

Perrot lavorò a San Pietroburgo per undici anni e mise in scena una ventina di produzioni. Tra esse furono i revival dei balletti presentati a Londra, Milano e Parigi: L’Ondine, Le Délire d’un pientre, Esmeralda, Catarina, Eoline, Faust, La Filleule des fées (notiamo tra parentesi che la musica di tutti questi balletti fu di Pugni, ad esclusione dell’ultimo, composto da Adolph Adam, autore della celeberrima Giselle, e rappresentato a Parigi) non furono mai le “fotocopie” precise. Perrot adattò i suoi balletti al teatro pietroburghese effettuando i cambiamenti significanti per quanto riguardasse la storia e la struttura e lavorando sodo per conсedere più spazio alle danze.

Le nuove creazioni di Perrot per il Teatro Imperiale Bol’šoj Kamenny di San Pietroburgo furono La Guerre des femmes, ou Les Amazons du neuvième siècle (1852), Gazelda, ou Les Tziganes (1853), Marcobomba (1854), Armida (1855), La Debutante (1857), La Petite marchande de bouquets (1857), L’Ille des muets (1857), tutte con le musiche di Pugni. Faust (1854), per la prima volta rappresentato a Milano nel 1848 avrebbe il diritto di far parte di questa lista; Perrot creò la versione completamente nuova del balletto e Pugni realizzò l’adattamento della partitura composta da Giacomo Panizza, Niccolò Bajetti e Michael Andrew Costa.

L’anno 1858 fu molto importante per la storia del balletto; a San Pietroburgo Perrot mise in scena lo spettacolare Corsaire la cui prima rappresentazione ebbe luogo a Parigi nel 1856 con le coreografie di Joseph Mazilier e tanto piacque alla bellissima Eugénie de Montijo, imperatrice di Francia. Non ci sono dubbi che Perrot presentò la propria versione del balletto: il manifesto riportò i nomi del librettista Jules-Henri Vernoy de Saint-Georges e del compositore Adolphe Adam e il nome di Perrot come l’autore delle danze. Per la nuova versione de Le Corsaire Pugni compose tutta la musica aggiunta e proprio da essa partirono tutte le versioni successive; soltanto Petipa mise le mani sul balletto originalmente coreografato da Mazilier nel 1863, 1868, 1880 e 1899.

È praticamente impossibile sopravvalutare l’importanza della presenza di Jules Perrot a San Pietroburgo in qualità del Premier Maitre de Ballet dei teatri imperiali. Tutto partì da lui e da lì; dicendo “tutto” e “tutti” intendiamo lo sviluppo delle nuove forme coreografiche e l’attività dei suoi contemporanei, Arthur Saint-Léon a Marius Petipa. Nei primi anni di lavoro nella capitale russa Perrot contribuì alla formazione delle strutture principali i balletto quali le scene dansante e i pas d’action quando si trattava della cosiddetta danza d’azione e i pas d’ensemble e i grand pas quando si trattava della danza pura spesso chiamata astratta; negli anni successivi lavorò sullo sviluppo delle forme musicali e coreografiche che portarono alla nascita del genere del cosiddetto grande spéctacle la cui codificazione avvenne negli anni successivi alla partenza di Perrot da San Pietroburgo e che si associa soprattutto con i balletti di Marius Petipa. La nuova versione del balletto Eoline, ou La Dryade creato a Londra nel 1845 e completamente rifatto per San Pietroburgo nel 1858 ne fu esempio: al Teatro Imperiale Bol’šoj Kamennyj il balletto fu ampliato fino a quattro atti per renderlo davvero grandioso e altrettanto spettacolare ed ebbe tantissime danze. Ogni atto fu esempio d’armonia delle scene mimiche elaborate e coinvolgenti e ricche suite danzanti. In tutto questo percorso di ben undici anni Cesare Pugni fu sempre a fianco dell’”ultimo romantico” come lo chiamò la studiosa russa Vera Mikhajlovna Krasovskaja (13, p. 336)

La carriera di Perrot al Teatro Imperiale Bol’šoj Kamennyj finì piuttosto male; del resto, c’era da aspettarselo. Per molti anni si parlò del litigio tra lui e il direttore Andrej Ivanovič Saburov; le ricerche della studiosa russa Ol’ga Anatol’evna Fedorenko hanno dimostrato che il licenziamento del coreografo francese fu preparato gradualmente dal direttore scontento dei tempi dilatati di lavoro e dei suoi onorari piuttosto alti che gravavano sul budget (al confronto, il coreografo ospite Arthur Saint-Léon costava la metà). Il coreografo lionese fu un artista eccellente, coscienzioso, non soffrì certo di leggerezza e lo spirito commerciale non gli fu familiare. Per comporre un balletto doveva essere coinvolto, ispirato. “Apparteneva al tipo dell’artista romantico che viveva soltanto dell’arte. Credeva ingenuamente che il lavoro ispirato parla da sé. E presto iniziò ad essere considerato difficile. A San Pietroburgo questa particolarità gli fu fatale. I suoi rapporti con la compagnia e i protettori influenti si inclinarono. Il ricco jouir Saburov non lo sopportava. I suoi balletti drammatici, una volta tanto amati da tutti, piacevano sempre meno. Spesso Perrot tacque per tutto il tempo della prova, mentre le ballerine lo aspettavano perse, compiacenti o maliziose. Solo alla fine aprì la bocca: 'Signore e signori, chiedo scusa, oggi non ho l’ispirazione'" (25, p. 56). Perrot fu licenziato il 1 dicembre 1859 e tornò in patria dove visse ancora per più di trent’anni senza creare qualcosa di importante. Alcuni quadri di Edgar Degas rimasero testimonianze del periodo conclusivo della vita dell’”ultimo romantico” che tenne le classi al celebre Foyer de la Danse all’Opéra di Parigi sulla Rue Le Peletier.

Perrot partì, ma Pugni rimase. Il prudente e diplomatico Marius Petipa, assistente di Perrot, senza dubbio ebbe speranze di prendere il posto del maitre licenziato. Ma non andò così; nella capitale russa fu invitato già nominato Arthur Saint-Léon, che lavorava molto più velocemente di Perrot e costava meno e a Petipa toccò di aspettare ancora. Pugni aveva già collaborato con Saint-Léon e la sua vita cambiò poco. Gli ultimi dieci anni di vita del compositore di balletti più prolifico mai nato furono segnati dalle difficoltà economiche, inadempienze degli impegni presi, storie inverosimili per giustificare i ritardi delle consegne dei pezzi, ciò nonostante produsse partiture divenute celebri e mai cadute in dimenticanza totalmente.

Ad Arthur Saint-Léon e al balletto imperiale da lui capitanato per un decennio la critica democratica russa dell’epoca riservò un giudizio tutt’altro che lodevole, seguito poi degli storici del balletto dell’epoca sovietica quali Jurij Alekseevič Bakhrušin e Vera Mikhajlovna Krasovskaja. In realtà, Saint-Léon fu uno dei migliori coreografi dell’Ottocento e negli ultimi due decenni è stato riconosciuto tale anche dagli storici di balletto russi della nuova generazione. L’opposto di Jules Perrot, mise al centro della sua arte i concetti di meravigliare e divertire il pubblico. In uno dei suoi balletti i piccioni arrosto volavano via, i gamberi si trascinavano, una testa del porco sbadigliava, e in un altro la ballerina di turno fu costretta ballare sulle corde di uno strumento musicale, un trucco decisamente non riuscito. Possiamo solo immaginare quali sorprese videro sul palcoscenico gli spettatori! E cosa dire del suo balletto più famoso mai creato per il pubblico russo, Il Cavallino gobbo? “Nel regno subacqueo, ad esempio, figurò una balena enorme che nuotava, muoveva la coda e la bocca e dimostrava altri segni di vita teatrale. Nelle danze parteciparono addirittura i gamberi rossi – da dove saltarono fuori i gamberi bolliti simili a quelli di un’insegna di una birreria, fu una domanda mai chiarita, ma all’epoca dominò una tale opinione: se il balletto fu fantastico si poteva fantasticare su tutte le cose che si volevano e in qualsiasi quantità” (12, p. 68),- ricordava Karl Fёdorovič Val’c che per sessanta cinque anni prestò servizio ai teatri imperiali in qualità di scenografo e macchinista di scena. Si parlò anche delle grandissime ostriche che aprivano le loro conchiglie e dei molluschi il cui ruolo fu affidati ai bambini messi a sedere dietro un tessuto trasparente. Nei tempi dell’Unione Sovietica il famoso ballerino Nikita Aleksandrovič Dolgušin con un gran senso di humour paragonò la scena nel regno subacqueo all’assortimento della pescheria dell’altrettanto famoso negozio di alimentari “Eliseevskij” in pieno centro di San Pietroburgo, dove i funzionari del partito comunista avevano abitudine di comprare il cibo. A Saint-Léon la fantasia non mancava di certo. Fu uomo di grande cultura, curioso, spiritoso, intraprendente, instancabile, poliglotta, interessato al patrimonio coreutico dei vari popoli, e, come se non bastasse, un violinista virtuoso e inventore del sistema di notazione della danza. Nel suo balletto Le Violon du Diable, dove interpretò il ruolo principale di Urban, compose gli assoli per l’amato strumento e accompagnò sua moglie Fanny Cerrito al violino. Marius Petipa, considerato in tutto il mondo “il padre del balletto classico”, osservò il lavoro di Saint-Léon per molti anni e ne fece un tesoro. Il fenomeno che portava la maschera di “un bravo uomo”, ma spesso si dimostrò piuttosto egocentrico, morì di crepacuore poco dopo il suo rientro in patria e la messa in scena della celebre Coppélia, una delle pietre miliari del repertorio; la morte a soli 49 anni sicuramente ebbe a che fare con il ritmo di vita troppo elevato e il lavoro massacrante, sempre in viaggio tra le varie capitali europee. Della sua cospicua produzione coreografica, sfortunatamente, nulla rimase tranne il Pas de six de La Vivandière da lui stesso annotato. Dopo la sua morte nel 1870 il posto del Premier Maitre de Ballet a San Pietroburgo andò a Petipa: dopo più di vent’anni di duro lavoro, pazienza e speranze in ombra di Perrot e Saint-Léon il marsigliese diventò il coreografo principale del balletto imperiale.

Durante undici stagioni Saint-Léon riuscì a tenere un piede in Russia, a San Pietroburgo e Mosca, e un altro in Francia, a Parigi. Perrot non fu ancora licenziato ufficialmente, quando Saint-Léon presentò già il suo primo balletto per il teatro imperiale, Jovita, ou Les Boucaniers Mexicans (1859, musica di Théodore Laborre). In Saltarello, ou La Passion de la danse (1859) si fece ammirare più di prima; vestì i ruoli di librettista, compositore, coreografo, interprete del ruolo principale maschile e violinista. Insomma, Arthur Saint-Léon fu l’uomo di teatro a tutti gli effetti e avrebbe fatto comodo alla direzione di qualsiasi teatro europeo. Seguirono Graziella, ou Les Dépits amoureux (1860), Paquerette (1860), Météore, ou La Valle des stelles (1861), Nymphes et Satyre (1861), Théodolinde l’orpheline, ou Le Lutin de la vallée (1862), La Perle de Séville (1862), Fiammetta, ou l’Amour du Diable (1864), Il Cavallino gobbo (1864), La Fiancée valaque, ou La Tresse d’or (1866), Le Poisson dorée (1867), Le Lys (1869). La musica della maggior parte di questi balletti fu composta da Pugni, ad eccezione di Paquerette (musica di François Benoist), Météore (Santos Pinto e molto probabilmente, Saint-Léon), Fiammetta, ou l’Amour di Diable (Ludwig Minkus), La Fiancée valaque, ou La Tress d’or (Massimiliano Graziani e Rodolfo Mattiozzi), La Poisson dorée e Le Lys (entrambi di Ludwig Minkus). Per le versioni “russe” di Paquerette e Météore Pugni scrisse la musica aggiunta. Tuttavia, un occhio attento, esaminando la lista delle creazioni di Saint-Léon, si accorge di come piano piano il coreografo rendesse la collaborazione sempre più stretta con Minkus, fatto dovuto sicuramente all’inaffidabilità di Pugni.

Saint-Léon fu profondamente diverso da Perrot, creatore dei drammi coreutici. L’uomo che univa nella sua persona tante, troppe qualità, dei drammi si interessò decisamente poco: “ L’elemento più importante nei balletti di Saint-Léon fu la danza. I soggetti dei balletti si scrivevano esclusivamente per legare, in modo più o meno riuscito, una serie lunghissima di danze sia per una ballerina sola sia per più ballerine o corpo di ballo. Quindi, i balletti di Saint-Léon furono divertissement. Perciò Saint-Léon non ebbe delle grandi pretese né per storie interessanti né per il loro senso. (…) L’aspetto drammatico dei suoi balletti di solito fu abbastanza debole. Me questo difetto venne compensato da una cascata di danze pittoresche e interessanti. Nella creazione delle danze dimostrò conoscenza eccezionale del classico e le sue possibilità, oltre a ciò le sue coreografie furono sempre molto musicali. (…) Il brillante autore delle variazioni, Saint-Léon fu abbastanza bravo anche quando si trattava delle scene di massa (11, p. 14). Tutte queste qualità vennero completate dalle capacità di Saint-Léon di creare le coreografie di un grande effetto basate sulle danze folcloristiche dei vari popoli (danze scozzese in Météore, ungheresi in Markitenka (così fu ribattezzata in Russia La Vivandière), valacchi ne La Fiancée valaque); più tardi questa forma di danza verrà chiamata “danza di carattere” e avrà uno sviluppo eccezionale in Russia.

L’abisso che divideva l’eccellente autore dei balletti drammatici e il fantasioso genio dei divertissement non impedì loro di usare una pratica molto diffusa nello loro epoca quando si trattò del loro impiego in qualità del Premier Maitre de Ballet a San Pietroburgo: la maggior parte delle loro produzioni fecero la loro prima apparizione a Londra, Milano, Parigi e, nel caso di Saint-Léon, anche a Lisbona, e solo dopo furono presentati al pubblico russo.

L’anno 1864 fu davvero epocale per il balletto russo: a due stranieri, Saint-Léon e Pugni, che avevano pochissima conoscenza della cultura del paese dove vennero a servire e far divertire la corte imperiale e la cerchia ristretta degli amanti del balletto, cosiddetti ballettomani, toccò a creare il primo balletto nazionale. Il balletto, un prodotto puramente occidentale, approdato alle pianure immense della Russia durante il regno di Anna Ioannovna (1731-41), il genere che mai aveva osato di mettere in scena le storie e i caratteri nazionali, si rivolse ad una fiaba russa. Il Cavallino gobbo, opera del giovane Pёtr Pavlovič Eršov, approvata e ammirata dal sommo poeta Aleksandr Sergeevič Puškin, venne scelta da Saint-Léon. Il grandissimo successo del balletto da lui creato sulla musica di Cesare Pugni diede inizio ad una polemica infinita che, probabilmente, soltanto nei nostri giorni,ha potuto ottenere un giudizio equilibrato e storicamente verosimile del lavoro di un francese e un italiano.

Gli storici di balletto sovietici Bakhrušin e Krasovkaja non furono certo clementi verso il balletto di Saint-Léon-Pugni. Nei loro libri, entrambi chiamati La storia del balletto russo, usciti rispettivamente nel 1977 e 1978, criticarono Il Cavallino gobbo per la mancanza della autenticità etnografica, l’uso dei cliché quali le formule collaudate della danza classica e di carattere, gli entrée e le scene mimiche strutturate secondo i modelli preesistenti, i voli e gli altri “miracoli” scenici in uso ancora nei primi balletti romantici. Anche la musica di Pugni fu bersaglio delle critiche; le venne riconosciuto un certo colore russo generico (l’entr’act del terzo atto accennava al tema della celebre romanza di Mikhail Ivanovič Glinka Allodola e il N. 12 della partitura si chiamava Danza di carattere sui temi delle canzoni popolari russe Solovuško e Na ulice mostovoj – Usignolo e Sul marciapiede) ma rimproverato l’uso solito dei motivi dal carattere neutro tipici per ogni balletto dell’epoca e privi dell’originalità. Il “pezzo forte” della partitura di Pugni fu, senza dubbio, il divertissement finale cui fecero parte le danze di ventidue (!) popoli dell’Impero Russo, tra esse La Danza uraliana, nella storia spesso martoriata dalle critiche varie che ricordavano che la regione degli Urali fu popolata da tanti, tantissimi popoli…

Nonostante le critiche “progressiste” prima da parte dei giornalisti e scrittori democratici ottocenteschi quali Mikhail Evgrafovič Saltykov-Ščedrin e Nikolaj Alekseevič Nekrasov, riprese dagli storici sovietici, Il Cavallino gobbo venne mantenuto nel repertorio per circa cent’anni. Nel 1912 fu rifatto dal moscovita Aleksandr Alekseevič Gorskij che aggiunse molta altra musica alla partitura di Pugni e solo nel 1960 l’eminente compositore sovietico Rodion Konstantinovič Ščedrin propose la sua interpretazione della celebre fiaba di Eršov. Tuttavia il primo Cavallino gobbo debuttato sulla scena nel 1864, in pieno regno di Saint-Léon, miracolosamente arrivò ai nostri giorni. Nell’epoca sovietica fu prodotto un film televisivo che mixava una parte narrativa con le celebri coreografie di Gorskij. I brani come il pas de quatre Affreschi (musica di Pugni) e il Pas de trois dell’Oceano e le Perle (musica di Andrej Fёdorovič Arends) anche oggi sono il pane quotidiano dei ballerini professionisti e gli studenti delle accademie del balletto e non di rado fanno parte dei gala.

Superiorità, disprezzo ed ira con cui trattarono il fenomeno del balletto imperiale gli scrittori Saltykov-Ščedrin e Nekrasov provenivano dalla loro posizione politica progressista, dall’amore incondizionato per la patria, la Santa Russia che nella seconda metà dell’Ottocento fu parecchio arretrata se confrontata con i paesi europei, avendo conservato fino al 1861 l’istituto della servitù della gleba abolito dai vicini molti secoli prima. Nei loro scritti pieni di una giusta indignazione espressero tutto il loro dolore per la condizione della loro gente poco diversa da una vera e propria schiavitù e il potere pressappoco totalitario degli zar. Lev Nikolaevič Tolstoj in Guerra e pace dedicò al balletto alcune pagine piene di un’autentica cattiveria, Saltykov-Ščedrin lo inchiodò con una sentenza seguente: “Il balletto mi piace per la sua costanza. Sorgono i nuovi stati; arrivano le persone nuove; nascono i fatti nuovi; cambia tutta la struttura della vita; la scienza e l’arte con ansia seguono questi fenomeni che completano e cambiano tutti questi fatti – solo il balletto non sente nulla e non sa nulla (…) Il balletto preferibilmente è conservatore, conservatore fino all’abbandono” (cit. in 25, p. 41). Nekrasov fu particolarmente indignato dell’apparizione di Marija Sergeevna Surovščikova, ballerina molto avvenente e prima moglie di Petipa, travestita da contadino russo e le consiglio vivamente “di ballare La Fille de Danube e lasciar in pace mužik” (la parola tradizionalmente usata per definire il contadino russo – I.S.)

Ora, questo giudizio dimostra la propria insufficienza, la mancata comprensione da parte degli scrittori famosi dell’epoca della natura dell’arte di balletto e soprattutto della sua sostanza nella seconda metà dell’Ottocento; del resto, sia Saltykov-Ščedrin sia Nekrasov lo conoscevano poco. Scorrendo l’elenco dei balletti di Petipa, si capisce con chiarezza che ogni produzione nascesse in concomitanza a degli eventi importanti politici e culturali: La Fille du pharaon (1862) portò lo spettatore in Egitto dove si iniziò la costruzione del canale di Suez, La Bayadère (1877) fu la risposta all’interesse della società russa verso l’India e Rocsana, ou La Bèautè du Montenegro (1878) ricordò l’eroismo dei russi che presero la parte dei fratelli slavi nella guerra di liberazione, La Fille de Neiges (1879) fu ispirata dalla spedizione artica di Nils Nirdensjold. Il balletto arrivato in Russia nella prima metà del Settecento visse da sempre sotto la protezione della corte e da essa fu generosamente finanziato. Non vestì i panni di un’arte intellettuale, ma fu intrattenimento dall’aspetto decisamente commerciale e facilmente comprensibile: soggetti melodrammatici, scene e costumi di lusso, coreografie spettacolari eseguite dalle ballerine carine che mostravano “i piedini”, molto spesso la presenza di una celebre straniera nel ruolo della protagonista femminile. Questo fu il genere del grande spectacle di una lunga durata che rimpiazzò negli anni 1860-70 i balletti drammatici di Jules Perrot della prima metà del secolo. La Fille du pharaon (1862)e Le Roi Candaule (1868)furono già les grande spectacles e lo furono ancora di più i capolavori del tardo Petipa quali La Bella addormentata (1890), Il Lago dei cigni (1895), Raymonda (1898). Per tutti questi grande spectacles la direzione del teatri imperiali spendeva i budget da sogno, le storie finivano raramente nel modo tragico e furono una specie di terapia del piacere per il pubblico abbiente e privilegiato.

La natura stessa del balletto annullò i giudizi severi degli scrittori russi. Quest’arte non poté e non può ancora oggi essere democratica. “Il balletto è costoso, ci vengono condotti i primi ministri allo scopo di dimostrare a loro la grandezza dello stato. Il balletto richiede la disuguaglianza, è antidemocratico per principio, è l’arte per la gente che ha le proprietà, possiede una casa sulla Costa Azzurra o un’auto tipo Bentley e fa studiare la figlia a Oxford” (16).

Le pretese degli scrittori democratici russi furono semplicemente assurde se applicate al fenomeno d’intrattenimento dal sapore decisamente erotico per la classe dirigente. E piuttosto assurdi furono i rimproveri riservati alla musica di Pugni per Il Cavallino gobbo o Minkus per Le Poisson dorée: questi compositori stranieri, che vantavano una grande, se non esclusiva, preparazione musicale ed erano gli autentici stakanovisti, non furono in grado di comporre qualcosa che sapeva dell’autentico colore russo. Fu davvero troppo presto per creare uno spettacolo di balletto “russo”.

Per tutto il tempo di regno di Saint-Léon ai teatri Imperiali russi svolse il servizio Marius Petipa e anche lui a collaborò con Cesare Pugni. La loro alleanza fu segnata da un grande successo de La Fille di pharaon (1862)e da quello buono de Le Roi Candaule (1868), tuttavia l’ultima parte della vita del compositore coincise con la tappa particolare dell’attività di Petipa quando si dedicò alla creazione dei balletti spesso brevi e “leggeri”. Lo scopo della maggior parte di questi balletti fu mettere in risalto le doti e soprattutto il fascino femminile della sua prima moglie, Marija Sergeevna Surovščikova. Eccone la lista, tutti sulla musica di Pugni: L’Etoile de Grenade (1855), Un Mariage au temps de la Regénce (1858), La Marché des innocentes (1859), Le Dahlia bleu (1860), Terpsichore (1861), La Bella du Libane, ovvero La Ginie d la montagne (1863), La Danseuse voyageuse (1865), Florida (1866), Titania (1866; nel balletto ispirato dalla commedia di Shakespeare Un sogno di una mezza estate, venne usata anche la musica di Mendelsohn), L’Esclave (1868).

Facendo paragone tra il lavoro di Saint-Léon e quel di Petipa durante lo stesso decennio, 1860-69, è evidente che il Premier Maitre del Ballet, un work alcoholic per natura, sempre in giro tra San Pietroburgo, Mosca e Parigi, mettesse in scena balletti a serata intera e preferisse le ballerine in possesso di una grande tecnica, soprattutto quando si trattava dell’uso delle punte; non per nulla nella capitale del Nord la sua preferita fu Marfa Nikolaevna Murav’ёva, ballerina che non poteva vantare un bel viso, ma raggiunse la perfezione nel ”fare i merletti con i piedi”, mentre Petipa lavorasse soprattutto per promuovere sua moglie Marija, ospite gradita dai membri della famiglia imperiale, la cui bellezza fece innamorare addirittura Otto Bismark. Tra due ballerine nacque la rivalità “orchestrata” e condotta dai ballettomani che si divisero in “petipisti” e murav’isti”. Il paziente e prudente politico Petipa impegnò anche la Murv’ёva nelle sue creazioni, alcune in un atto, di genere comico e rappresentate all’interno dei palazzi degli zar (Terpsichore, Titania, La Schiava) ma la vera stella di esse fu sempre Marija Sergeevna Surovščikova-Petipa, molto gradita dalla Gran Duchessa Elena Pavlovna. E poi, Petipa creò un piaccolo balletto La Rose, la Violette et le Papillon sulla musica del compositore dilettante principe Pietro Secondo di Oldenburg imparentato con la famiglia imperiale, ciò che Saint-Lèon non fece mai. Presentò il suo balletto in una residenza estiva degli zar per una stretta cerchia di persone, vicinissime alla corte. Alcuni anni dopo un pas de deux proveniente da La Rose, la Violette et le Papillon fu inserito, sotto il nome del Pas d’esclave, nel primo revival de La Corsaire realizzato da Perrot nel 1858: oggi non tutti sanno il nome d’autore della musica, ma essa arrivò ai nostri giorni grazie alla popolarità di questo pezzo di repertorio.

In pieno regno di Saint-Léon, Petipa tornò ancora a Le Corsaire ormai non di Adam-Mazilier, ma di Adam-Perrot. Nel 1863 Saint-Léon decise di rimetterlo in scena e affidò l’incarico al Second Maitre de Ballet. Ne venne fuori la versione completamente rinnovata del balletto; anche la partitura fu rivista e integrata da Pugni. Medora ebbe la nuova variazione, da quel momento chiamata Finesse d’amour, che Pugni compose nel 1848 per la ballerina Praskovja Prokhorovna Lebedeva, protagonista del balletto Satanilla, revival de Le Diable amoureux, coreografato da Mazilier; e il Pas des Odalisques fu ampliato e trasformato nel Pas des trois des Odalisques, composto di entrée, tre variazioni e coda. Di questo pas, diventato celebre e mantenuto in tutte le versioni successive de Le Corsaire, l’entrée e la terza variazione furono di Adam e due prime variazioni di Pugni. Oltre a tutto questo, Pugni rivide l’ouverture del primo atto.

Cinque anni dopo, nel 1868, Petipa tornò a Le Corsaire arricchendolo di alcune coreografie di un grande interesse e bellezza sempre sulla musica di Pugni: le Danse des Forbans per il corpo di ballo di pirati e piratesse nota anche come la Mazurka dei corsari conservata in tutte le versioni del balletto venute dopo e Le Petit Corsaire, una graziosa danza di carattere per Medora en travesti interpretata da Marija Sergeevna Surovščikova.Il famoso Pas des evéntails presente nell’originale di Mazilier fu sostituito con un Pas de six per Medora, Conrad e quattro odalische. Questo pas incluse una variazione per Medora interpretata dalla magnifica ballerina tedesca Adèle Grantsow e una danza per quattro odalische.

Gli ultimi anni della vita di Cesare Pugni furono segnati dai gravi problemi finanziari; del resto, da giovane aveva già manifestato una condotta irresponsabile, l’inclinazione al gioco e l’alcool e pure all’inganno. Petipa nelle sue memorie citò una lettera da lui inviata da compositore: “Ti chiedo in lacrime di inviarmi dei soldi. Non ho un sou” (3b); la lettera conteneva qualche brano di musica fresco di penna per il balletto Le Dahlia bleu (1860). In Russia manteneva due famiglie, la prima con la moglie inglese, Marion Linton, e la seconda con una donna russa, Dar’ja Petrovna (nelle fonti non si indica il suo cognome). La sua prolificità nel procreare fu uguale a quella del comporre; generò sette figli con l’inglese e otto con la russa. L’eminente compositore russo Anton Grigor’evič Rubinštejn aiutò Pugni assumendolo al Conservatorio di San Pietroburgo in qualità d’insegnante di composizione e contrappunto; i guadagni non furono cospicui, ma il prestigio si. Saint-Léon lasciò una lettera indirizzata a Charles Nuitter, librettista di Coppélia, dove descrisse una cosa terribile vissuta da Pugni a causa dei debiti: “Pugni è quasi morto. E’ stato trovato nei boschi a 16 kilometri dalla città a causa di 300 rubli, dovuti ad un commerciante. Il Ministro della Corte ha pagato la somma e i ballerini della compagnia hanno fatto la colletta che ha prodotto 200 rubli, serve per procurare da mangiare a lui, sua moglie e i suoi otto figli, cinque dei quali sono molto giovani. I suoi debiti ammontano a 5 800 rubli, mentre negli ultimi vent’anni ricevette 1200 franchi al mese di diritti d’autore delle partiture eseguite a Parigi più i benefit!” (4b). Saint-Léon predisse anche la fine della carriera di Pugni in un’altra lettera scritta nel 1868: “ Pugni ha composto la musica per Le Roi Candaule diMariusPetipa. Credo sia l’ultima partitura a serata intera di Cesare Pugni” (4b). In quest’ ultimo periodo della vita del compositore Petipa spesso fu scontento dei ritardi con la consegna della musica o addirittura le mancate consegne; ogni volta Pugni raccontava delle storie davvero incredibili per giustificarsi. Quando a Petipa venne l’idea di creare un balletto tratto da un capitolo di Don Quisciotte di Cervantes, pensò a Pugni; alla fine l’incarico venne affidato all’austriaco Ludwig Minkus. Ne venne fuori il balletto attualmente più rappresentato in tutto il mondo.

Due anni dopo il terzo revival de Le Corsaire e nell’anno successivo alla première di Don Quisciotte mancarono entrambi gli stranieri, un francese e un italiano, “colpevoli” di aver creato il primo balletto sul soggetto nazionale russo, il celebre e longevo Cavallino gobbo. L’anno 1870 fu cruciale per il balletto imperiale russo; il fatto che Pugni e Saint-Léon lasciarono il mondo tumultuoso in cui vivevano a distanza di pochi mesi uno dall’altro, desta una certa curiosità. Il compositore morì 14(26) gennaio e il coreografo il 02 settembre, il primo afflitto dai gravi problemi finanziari e ormai rimpiazzato da molto più affidabile Ludwig Minkus, il secondo all’apice di una brillante carriera, dopo aver creato il suo miglior balletto, Coppélia, sulla musica di Léo Delibes, per il Théatre Impériale dell’Opéra di Parigi. L’intera epoca giunse alla fine.

Saint-Léon e Pugni morirono, ma Petipa rimase. Già il Second Maitre de Ballet dei teatri imperiali, dopo il successo de La Fille de pharaon, fu promosso al Premier Maitre. Aveva davanti ancora tanti anni da vivere e coreografare e li doveva passare senza un suo fedele, anche se non affidabile collaboratore Cesare Pugni. Ecco come descrisse la collaborazione di Pugni con Petipa la prima ballerina del Teatro Imperiale Bol’šoj Kamennyj di San Pietroburgo Ekaterina Ottovna Vazem: “Di solito Pugni componeva la musica per le varie coreografie direttamente durante le prove dei nuovi balletti. La sua presenza alle prove fu obbligatoria. Siccome nella sala prove non c’era nessun mobile adatto, si accomodava sul davanzale che fungeva da scrivimpiedi. Succedeva che scrivesse una variazione seguendo le indicazioni di Petipa, e il violinista-“répétiteur” lo suonasse. Petipa non la gradiva, e Pugni la cambiava per un’altra. A volte il compositore non era d’accordo col coreografo e entravano in una discussione; l’italiano focoso non aveva timore di urlare a Petipa. “Non mettiti nella faccenda che non è tua, se non capisci niente di musica!” – esclamava Pugni in francese e a volte Petipa non rimaneva altro che arrendersi. In generale, Pugni lavorò con una leggerezza fuori dal comune, e i termini in cui scrisse le partiture dei grandi balletti in più atti appaiono assolutamente incredibili” (11, p. 30). Per confermare le parole della Vazem, basta ricordare che la partitura di uno dei suoi balletti celebri, La Fille de pharaon, fu composta in sole sei settimane. Insomma, Cesare Pugni fu un fenomeno.

E’ chiaro che la vita a cui fu costretto, lo portò a ripetersi e a ricorrere agli autoprestiti senza parlare di vero e proprio plagio. Ne Il Cavallino gobbo anche un semplice amatore di musica riconosce facilmente il tema della lirica vocale Allodola di Glinka; sempre ne Il cavallino gobbo gli si rimprovera l’uso della popolare canzonetta per bambini Una vecchietta aveva un capretto grigio che diventa il tema della Mazurka finale (chi scrive non l’ha individuato nello spartito antico scannerizzato e facilmente consultabile in Internet). I critici e musicologi di tutti i tempi non gli dedicarono le parole d’ammirazione: “Della musica del Signor Pugni non possiamo dire nulla di buono; ci dispiace, ma essa è monotona e piena di prestiti” (cit. in 15, p.21)

Vogliamo rendere giustizia a Cesare Pugni. Rimane un avventuriero, gigione, irresponsabile e incapace di amministrare la propria vita e soprattutto le sue entrate; tutte cose che lo portarono pressappoco alla rovina alla fine della sua esistenza. Ma per definire la vera statura di Pugni nella storia del balletto ci vuole la massima comprensione del lavoro di compositore di balletto prima dell’apparizione di Čajkovskij e la cosiddetta danza sinfonica.

Per quasi tutto l’Ottocento la composizione della musica per balletto fu il compito di una persona specializzata in questo mestiere e, infatti, Cesare Pugni prima e Ludwig Minkus dopo si distinsero quasi esclusivamente in questo campo di attività. La musica da loro prodotta fu decisamente “applicata” e il lavoro del compositore nel modo più assoluto subordinato alle esigenze del coreografo il ciò limitava parecchio la sua fantasia. Nella creazione di un balletto il coreografo e il compositore camminavano “a braccetto”: il maestro inventava le combinazioni dei passi e il musicista componeva quasi immediatamente l’accompagnamento che doveva essere perfettamente adatto al carattere e soprattutto al ritmo ideati dall’autore della coreografia. Questo tipo di lavoro richiedeva una preparazione altissima se non esclusiva; il compositore doveva mostrare prontezza dei riflessi e una grande sensibilità ai desideri espressi dal coreografo. Lo scopo del lavoro del musicista fu l’unione totale dell’accompagnamento musicale con la coreografia. Lo testimoniarono Ekaterina Ottovna Vazem nelle sue Memorie di una ballerina del Teatro Bol’šoj di San Pietroburgo già citate quando si trattava della collaborazione di Petipa e Pugni, e il famoso scenografo e creatore delle macchine di scena e gli effetti speciali Karl Fёdorovič Val’c nel suo libro di memorie 65 anni in teatro, che descrisse un’altra coppia di collaboratori, Arthur Saint-Léon e Ludwig Minkus: “Mi capitò di osservare più volte Saint-Léon che chinandosi sul compositore giurato di balletto Minkus fischiava un motivo e questi lo traduceva freneticamente in note musicali” (12, p.69).

Una cosa curiosa, Val’c chiamò la figura di compositore di ruolo al servizio dei teatri imperiali “compositore giurato”, cioè quel che presta il giuramento, simile ad un interprete. Non fu un errore, in un certo senso, tutti i compositori ufficiali di balletto assunti dalla direzione dei teatri imperiali russi furono “giurati”. Giurarono la fedeltà al coreografo, furono al suo servizio a volte ventiquattro ore su ventiquattro. E sembra che nessuno fu “più giurato” di Cesare Pugni, che seppe capire perfettamente la dinamica dei passi della danza (ognuno di loro ha il proprio ritmo ben chiaro) e letteralmente trasmetterla nella sua musica. Nessuno dei suoi colleghi ebbe la mano così lesta e pochi passarono le notti in ufficio per correggere i pezzi già composti e aggiungerne altri; Ludwig Minkus, compositore sicuramente più serio e responsabile, che prese il posto di Pugni ai teatri imperiali nel 1873, lavorò più lentamente, produsse molto meno titoli e mai venne in sala prova. La Vazem di cui carriera svolse totalmente nel periodo del dominio dei compositori di ruolo, fece paragone tra Minkus e Pugni ed si espresse a favore del maestro italiano: “I ballerini e il pubblico furono soddisfatti dalla musica di Minkus, tuttavia, al mio parere, con tutta la sua “ballabilità” essa cedette alle composizioni di Pugni per quanto riguarda la leggerezza e spontaneità” (11, p. 30).

Non solo. La musica di Pugni fu capace di materializzare i passi stessi di danza classica. Un'importante teorica della musica applicata alla danza pietroburghese e direttrice del dipartimento musicale dell’Accademia del Balletto Russo A. Ja. Vaganova di San Pietroburgo, Galina Aleksandrovna Bezuglaja, ha formulato con grande chiarezza il concetto dell’incipit musicale nella danza classica: “la frase iniziale del testo musicale che permette riconoscere i passi di danza senza mostrarli“ (10, p. 72). “I coreografi russi e sovietici quali F. Lopukhov, K. Sergeev, I. Bel’skij prestavano attenzione al legame sottile tra i leit-temi musicali e leit-passi dei del personaggi principali dei balletti di repertorio. (…) Quando viene data la caratteristica plastica del personaggio, il motivo musicale indica i passi di danza tipici per il determinato personaggio di un balletto, li “materializza” in canto” (10, pp. 75-76). Gli esempi dell’incipit musicale sono le battute iniziali della variazione di Nikija da La Bayadère, coreografia di M. Petipa (Danza con la sciarpa da Le Ombre), che indica grand fouetté dalla posa effacée. (…) Le battute iniziali della variazione della prima solista del Pas de trois des Odalisques (Le Corsaire di A. Adam-C. Pugni, coreografia M. Petipa) ci rimandano al pas brisée che apre il brano. Il tema dell’entrée delle Pietre Preziose ne La Bella addormentata di P. Čajkovskij, coreografia di M. Petipa, è legata dal punto di visto melodico e ritmico col pas poisson. L’inizio della variazione di Odette da Il Lago dei cigni, coreografia di L. Ivanov, indica l’esecuzione dei double rond sulle punte (10, pp. 75-76). La lista dei pezzi composti da Pugni per i balletti e coreografi diversi che fanno capire subito quale passo venne usato nella coreografia, potrebbe essere infinita.

Abbiamo tutte le ragioni di credere che Petipa fosse piuttosto soddisfatto della collaborazione con Pugni e Minkus. La Vazem sostenne che “il padre del balletto classico” fu privo di musicalità; si trovava benissimo con due “compositori giurati” e poi con Riccardo Drigo che vestì gli stessi panni nel periodo dei capolavori di Petipa in modo non ufficiale, ma, messo in condizioni di produrre un balletto sulla musica di Čajkovskij, molto probabilmente, si sentì impaurito. Lo testimoniò il piano dettagliatissimo steso per il grande compositore russo ingaggiato dal nuovo direttore Ivan Alekseevic Vsevoložskij a comporre la musica de La Bella addormentata: Petipa compì un lavoro cesellato indicando a Čajkovskij non solo il carattere del brano, ma addirittura la quantità esatta delle battute musicali. “Petipa non amava e aveva paura dei cosiddetti “compositori seri”, preferendo quelli che conoscevano bene il mestiere di composizione della pura musica per balletto con le sue figure ritmiche comode per la danza, con la sua chiara e abituale “gesticolazione” che aiutava i ballerini a recitare e al pubblico a capire le scene mimiche” (25, p. 97). Doveva coreografare la seconda partitura di Čajkovskij per balletto, Lo Schiaccianoci (1892), ne stese il piano e scrisse il libretto, ma non lo mise mai in scema, affidando il compito al suo vice Lev Ivanovic Ivanov (moltissimi libri e articoli indicano tutt’ora erroneamente Petipa come il coreografo del primo Schiaccianoci). Il Lago dei cigni (1895) che conosciamo non è assolutamente il balletto scritto dal grande Čajkovskij; in collaborazione col compositore padovano Riccardo Drigo, per vent’anni diresse i balletti al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo e in modo non ufficiale coprì la carica del “compositore giurato” ufficialmente abolita nel 1886, Petipa compì un’operazione decisiva e molto dolorosa sulla partitura originale, simile a tratti ad un’amputazione: molti episodi di grande importanza furono soppressi e altri spostati per quanto riguarda l’ordine originale, e alcuni furono sostituiti con i pezzi per pianoforte di Čajkovskij dall’op. 72. Senza parlare del fatto che Drigo fece una nuova orchestrazione della partitura e il compito di coreografare “gli atti bianchi” andò a Lev Ivanov. Il giudizio severo sull’operazione effettuata da Petipa e Drigo sulla partitura cajkovskiana si legge nelle molte fonti, ma in questo rifacimento Il Lago dei cigni diventò un vero balletto e non rimase soltanto una partitura. Chi potrebbe garantire che senza il lavoro compiuto da Petipa e Drigo Il Lago dei cigni sarebbe diventato celebre e onnipresente, il simbolo stesso del balletto classico?

Tornando a Pugni, l’incredibile personaggio trovò la sepoltura al cimitero cattolico di San Pietroburgo, nella parte orientale della città, Vyborgskaja storona (il lato di Vyborg). Ma la tomba non fu destinata a essere conservata e onorata come si deve. A cinquant’anni dopo la morte del compositore, nel caos totale e nella crudeltà inaudita tipica degli anni che seguirono la Grande Rivoluzione d’Ottobre del 1917, il cimitero con ben 40 000 tombe diventò vittima di un assalto barbarico da parte dei soldati dell’Armata Rossa che profanarono le tombe, estrassero le salme dalle bare conservate nella cripta della chiesa e le gettarono nelle fosse. Vent’anni dopo, nel 1940, venne presa la decisione di liquidare il cimitero definitivamente. Nell’Unione Sovietica, paese ateista, non si dava alcuna importanza ai cimiteri antichi. Solo quattro spoglie vennero traslate a un altro cimitero, Literatorskie Mostki (Ponticelli dei Letterati) tra cui il generale Konstantin Karlovič Danzas, secondante del duello in cui morì il sommo poeta russo Aleksandr Sergeevic Puškin, il celebre soprano italiano Angiolina Bosio, due pittori di origini italiane, Fёdor (Fidelio) Bruni che dipinse la maestosa cattedrale di Sant’Isacco e Ludwig (Luigi) Premazzi, il celebre acquarellista e insegnante di disegno. A nessuno venne in mente di salvare la tomba di Cesare Pugni ossia Cezar’ Puni.

Non abbiamo la tomba di Pugni, ma possiamo affermare con serietà che il compositore, dotato di una mano lesta per quanto riguarda la velocità d’invenzione e un dono melodico non indifferente,sia rimasto a vivere nell'eternità. Una lezione di danza classica di qualsiasi livello difficilmente si fa senza almeno uno o due dei suoi brani: la marcia del Cavallino gobbo per i sauté all’inizio del lavoro in centro, l’entrée del Pas de six della Vivandière per i sissonne fermée, il Valzer iniziale del Grande ballabile delle Nereidi dallo stesso balletto per una diagonale dei pirouette, le code de La Fille de pharaon per delle diagonali dei tour piqué o simili. E cosa dire dei frammenti delle variazioni dai suoi balletti che offrono le figure ritmiche così perfette per accompagnare i vari passi simile alla già nominata variazione della Prima Odalisca de Le Corsaire? Un esperto pianista di balletto difficilmente mancherà il loro uso.

Nel 2020, si Cesare Pugni o, meglio, Cezar’ Puni, si celebrano i centocinquant’anni dalla morte. Non solo alcuni suoi balletti (L’Ondine, Esmeralda, Pas de six de la Vivandière, Pas de deux de Le Carnaval de Venise, La Fille du pharaon, tanti frammenti de Le Corsaire etc.) si mantengono nel repertorio delle compagnie di danza e non solo i suoi pezzi fanno parte del repertorio dei maestri accompagnatori delle classi di danza. Fa ancora parlare di sé: i ballettomani moscoviti si ricordano lo scandalo scoppiato nel 2000, quando il rinomato musicista Gennadij Nikolaevič Roždestvenskij, fresco di nomina del direttore artistico del Bol’šoj, prese la decisione di eliminare dal cartellone del celebre teatro La Fille du pharaon, frutto della libera ricostruzione del conoscitore del repertorio Pierre Lacotte, a causa della “misera” musica di Pugni. Alla decisione si oppose il direttore della compagnia di balletto Aleksej Nikolaević Fadeecev e fu buttato fuori. Alla fine della memorabile stagione anche Roždestvenskij lasciò lo storico teatro moscovita. Ma La Fille du pharaon non scomparve. Dieci anni dopo tornò nel repertorio del Bol’šoj per la gioia dei ballettomani e del pubblico „normale“.

Fa parlare di sè anche attraverso i suoi discendenti di cui tre lasciarono un segno indelebile nella cultura e la scienza russe. Pugni ebbe tre figli, Cesare, Ettore e Alberto. Il primo non scelse la carriera musicale e visse in uno dei governatorati bielorussi; suo figlio, pure Cesare o, meglio, Cezar’ Cezarevič (1868-1951), fu uno dei primi dentisti diplomati russi. La vera fama andò però a suo figlio e pronipote del compositore, Avksentij Cezarevič Puni (1898-1985), il fondatore di una nuova disciplina, la psicologia sportiva.

Ettore (morì nel 1889), in Russia chiamato Viktor, suonò il flauto nell’orchestra del Teatro Mariinskij; componeva delle belle romanze, ma non sempre le fissava sulla carta e alcuni le fecero pubblicare sotto il proprio nome. Viktor (Ettore) Cezarevic generò anche lui un figlio celebre; si tratta di Aleksandr Viktorovič Širjaev (1867-1941) nato dalla sua relazione con la ballerina del corpo di ballo del Mariinskij Ekaterina Ksenofontovna Širjaeva. Aleksandr cresciuto al Mariinskij diventò un brillante interprete delle danze di carattere, coreografo, insegnante e regista di film e cartoni animati. Fu, insieme a Andrej Vasil’evic Lopukhov e Aleksandr Il’ič Bočarov, autore del libro di testo Basi della danza di carattere (Mosca-Leningrado, 1939).

Alberto Linton-Pugni (1848-1925), fu figlio della seconda moglie di Pugni, l’inglese Marion Linton. Dopo la conversione nella fede ortodossa diventò Andrej, per questo alcuni suoi discendenti assunsero il patronimico Albertovic, altri Andreevic. Suo figlio Ivan Albertovič Puni (1892-1956) fu pittore d’avanguardia, appartenente al circolo del grande pittore russo Il’ja Efimovič Repin. Fu anche scrittore, autore delle fiabe per bambini, e uno dei creatori dello stemma della Federazione Russa. Visse a Berlino dal 1920 e a Parigi dal 1924, lasciando il patrimonio artistico di tutto il rispetto.

Non ci sono dubbi, che, nel bene e nel male, il nome di Cesare Pugni, bambino prodigio, operaio delle fabbriche di balletti, vittima dei vizi, inventore delle storie del gatto che gli graffiò la mano e le candele vendute per poter mangiare, tutto per giustificare il ritardo della consegna dei pezzi di musica, padre prolifico e nonno dei nipoti talentuosi e famosi, si nomina tutti i giorni come tutti i giorni viene eseguita la sua musica. Se lo merita in pieno.


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