Barocco con rigore
di Ramon Jacques
La Carnegie Hall di New York, il Theatre des Champs Elysees, l'Opéra de Versailles, la Wigmore Hall, la Wiener Konzerthaus, La Fenice Theatre, il Wiener Musikverein, la Royal Albert Hall, Bil arbican Centre, the Great Hall of the Moscow Conservatory, il Festival di Aix-en-Provence, il Teatro Real di Madrid e il Maggio Musicale Fiorentino sono solo un esempio del lungo elenco di palcoscenici in cui si è esibita la soprano calabrese Francesca Aspromonte, già punto di riferimento del canto barocco, che a lavorato con i più importanti direttori di questo repertorio. Francesca, orgogliosa per essere stata scelta per insegnare Interpretazione del repertorio barocco italiano al Conservatorio reale dell'Aia in Olanda, ci parla in questa intervista della chiarezza e solidità delle sue idee, del suo modo di intendere il canto e del suo ruolo di artista che l'hanno portata a fare già una carriera importante
Come sei diventata una cantante? Puoi parlarci un po' dei tuoi primi passi in questo mondo? Chi o cosa ti ha ispirata?
Da bambina odiavo il canto lirico, non mi piaceva sentire quegli strilli. Infatti sin da piccola studiavo pianoforte e con questo strumento sono entrata in conservatorio. All’epoca nel corso di studi era obbligatorio frequentare il coro e dopo poco tempo il maestro mi suggerì di prendere delle lezioni di canto: chissà, magari me ne sarei innamorata. Durante un concerto in cui cantavo in coro una messa di Schumann, il soprano solista eseguì anche l’”Exsultate Jubilate” di Mozart. E amore fu. Quella sera decisi che volevo cantare.
Che personaggio o aria raccomanderesti a chi volesse scoprire per la prima volta la tua voce?
Probabilmente direi di ascoltare Almirena di Rinaldo per il lirismo e i cantabili, Atalanta nel Serse per il lato comico, Erismena di Cavalli per il quello drammatico.
Quali sono le figure che più hanno influito sulla tua carriera? Ci puoi citare un saggio principio che ti è stato trasmesso da un tuo insegnante?
Da Renata Scotto, con la quale ho studiato a Santa Cecilia, ho imparato che il cantante deve essere il ritratto dell’eleganza nei modi, nel prendere il proprio posto sul palcoscenico, nel porgere parola e suono. Da Maria Pia Piscitelli, la mia “mamma” sì può dire, la mia maestra in conservatorio, ho imparato le lezioni più importanti: ho imparato che la musica non è solo una passione, ma un lavoro che bisogna affrontare con serietà e diligenza; ho imparato che la preparazione di un cantante dev’essere una delle qualità principali, insieme all’indipendenza, l’autonomia nello studio ed il buon gusto nell’affrontare qualsiasi repertorio. Quello che mi è rimasto più impresso fu una sua frase, che mi disse perché cantavo tentennando un pezzo in cui la musica mi emozionava visibilmente: “Francesca, devono piangere loro, non devi piangere tu.” E per quanto si dica che il pubblico senta l’emozione dell’artista rimanendone commosso, dopo tanti anni ho capito quanto la mia maestra avesse ragione. La mia emozione e quella del pubblico saranno ancora più grandi se saprò controllare la mia commozione mettendola a servizio dell’interpretazione.
Come hai scoperto la musica antica e il repertorio barocco? Come è nata questa passione e come l'hai approfondita?È nato prima l'amore per questo repertorio – barocco- o è una conseguenza dello studio del tuo registro vocale?
Ai tempi del conservatorio studiavo pianoforte e canto. Le mie mani purtroppo sono molto piccole e per questo motivo dopo alcuni anni decisi passare dal piano al clavicembalo, avendo facilità e particolare sensibilità per il repertorio bachiano per tastiera. Lì venni a contatto con lo stile, la trattatistica, l’esecuzione storicamente informata, il basso continuo e l’esecuzione d’insieme. Ma questo era il mio unico legame col barocco, perché il mio studio del canto era quello che chiamo scherzando “normale”. Questa mia doppia natura ha fatto sì che mi si coinvolgesse anche come cantante nei piccoli concerti organizzati dal conservatorio. Così, molti anni dopo, i miei stessi insegnanti di musica antica mi invitavano a cantare nei loro gruppi, un concerto tirava l’altro, la voce si spargeva di un giovane soprano che cantava bene il barocco ed è stato così che ho iniziato a fare molto di questo repertorio. Non è stata una scelta, mi sono ritrovata su un treno in corsa.
Sei sensibile alle ricerche musicologiche e alle esecuzioni "storicamente informate"?
Assolutamente sì, ma senza mai venir meno all’ideale di belcanto come bellezza del suono. È importantissimo saper discernere tra gli abbellimenti monteverdiani e quelli haendeliani, rendere tutte le sfumature del recitar cantando, saper variare in stile anche quando la differenza è di soli quarant’anni, approcciarsi ai vari tipi di recitativo con le debite differenze. L’istinto è una dote importante, ma nell’avvicinarsi al barocco, secondo me, sarebbe fondamentale affrontarlo anche a livello teorico. La musica è di certo immediata nel muovere gli animi, ma non per questo deve essere eseguita con faciloneria pensando “tanto è barocco, la musica della libertà e fantasia”. Solo perché in questo repertorio viene lasciato considerevole spazio all’improvvisazione, non significa che non ci siano delle regole: tutt’altro! Sei e Settecento sono pieni di trattati, di codici, si basano su concetti di retorica e non soltanto nella musica, anche nell’architettura, la pittura. Inoltre, credo che il suono emesso debba restare il più giusto e bello possibile. Non mi piace il costante ricorrere a certi effetti alla moda, riducendo l’intero repertorio barocco ad imitazione della musica pop soltanto per fare colpo. È barocco, ma non vuol dire che non sia lirica.
Hai lavorato con alcuni fra i principali specialisti del barocco: Rousset, Dantone, Onofri, Fasolis, Pichon per citarne alcuni. Cambia l'approccio musicale, interpretativo, stilistico con diversi direttori?
L’approccio cambia sicuramente molto a livello geografico. Il gusto artistico è storicamente sempre stato diverso nelle varie nazioni d’Europa ed anche ora le richieste di un direttore francese rispetto all’estetica di suono, fraseggio e concertazione sono diverse rispetto a quelle di un direttore inglese, tedesco o italiano.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Probabilmente il compositore che amo di più è Mozart, ma onestamente tra i miei passatempi non c’è quello di ascoltare l’opera, se non quando mi interessa particolarmente l’interpretazione di grandi cantanti come la Gencer, la Zeani o la Scotto: allora ascolto Bellini e Donizetti. La musica che ascolto in casa è di solito tutt’altra: molto jazz, un certo tipo di cantautori, musica strumentale dall’Ottocento in poi. Quello che non mi succede davvero mai è di ascoltare musica barocca: bastano le overdose lavorative!
Qual è il tuo rapporto con la musica e le opere di Handel e Cavalli due compositori di cui hai cantato molto?
Haendel e Cavalli sono due compositori completamente diversi che difficilmente posso mettere a paragone, ma amo molto la musica di entrambi. Tratto le loro partiture con lo stesso rispetto di qualunque altro compositore.
Quali sono le pietre miliari, le esperienze e i risultati che segnaleresti ora nella tua carriera?
Ogni impegno avuto fin ora è stato il pezzo di un puzzle ed ognuno di essi mi ha insegnato molto, sia in positivo sia in negativo. Il passo più importante è aver avuto più volte modo di incidere dei dischi, fino ad arrivare alla mia esclusiva discografica con Pentatone e vedere il mio nome stampato su una copertina Deutsche Grammophon. Nell’era in cui il CD sta lentamente morendo, sorpassato dallo streaming, la fortunata collaborazione con Pentatone mi permette di vedere realizzati dei progetti a cui mi dedico completamente dalla genesi all’uscita del disco. Mi viene offerta la possibilità di dire qualcosa al pubblico: per me è, oltre a un onore, una grande responsabilità.
Oltre alla tecnica, che importanza dai all'interpretazione e al fraseggio?
L’una dipende dall’altra. La tecnica è quella fondamentale, la base che ci permette di essere liberi e sereni nel fraseggio e nell’interpretazione. Nel fraseggio si vede la qualità dell’artista, la conoscenza del repertorio (qualunque esso sia) la capacità di adattarsi con gusto, coerenza e cognizione di causa a ciò che si sta cantando. Per ultima, l’interpretazione, è quella che ci consente di mostrare la nostra unicità, quella per cui ogni voce, ogni cantante ha qualcosa di diverso da dare.
Ci può parlare della tua passione per il canto da camera tedesco, per il Lied di Schumann, Schubert? Per un cantante quale è la difficoltà di cantare in una lingua differente cercando di sottolineare il significato delle parole?
Credo che la difficoltà di cantare in una lingua straniera sia comune a tutti. Accade certamente più spesso che uno straniero canti repertorio italiano, per la vastità dello stesso in tutte le epoche. Certo, ad esempio, Monteverdi o il Seicento italiano in generale cantati non da italiani non sarà mai lo stesso, non solo per il significato delle parole, ma anche per quella qualità della pronuncia che soltanto un madrelingua può avere. Ciò è valido ovviamente per tutte le altre lingue, il che porta, ad esempio, ad una certa chiusura per quel che riguarda il barocco francese nei confronti dei cantanti non francofoni. La lingua più difficile per il canto è secondo me l’inglese, a causa delle vocali miste e poco brillanti. Io sono sempre molto felice di cantare in tedesco: lo parlo, avendo vissuto tanti anni in Austria, e trovo sia la lingua più musicale in assoluto dopo italiano e latino. Musica sublime è stata composta in tedesco dal Flauto Magico di Mozart al Rosenkavalier di Strauss. L’amore per la liederistica, in particolare per Schumann, Mendelssohn e Strauss, nasce dal mio passato di pianista e dal piacere di poter far musica in due, con l’organico più semplice di sempre: il canto ed il pianoforte.
Ora come guardi allo sviluppo della tua voce e quindi del tuo repertorio? Che sviluppi auspichi per la tua carriera? Qualche traguardo professionale o ruolo che vorresti ancora raggiungere o affrontare?
Come ho detto prima, ho iniziato a lavorare molto presto e mi sono ritrovata immediatamente su un treno in corsa. Ho sempre cantato, di quel che mi veniva proposto, ciò che stava bene sulla mia voce ed era consono alla mia età e tuttora continuo a lavorare su me stessa con l’obiettivo di cantare più a lungo possibile e, nel tempo, espandere il repertorio. Prossimamente vorrei dedicarmi a Mozart e in seguito affrontare il primo Belcanto, ma sempre seguendo il colore e lo sviluppo della voce negli anni. No, non abbandonerò il barocco, ci sono tanti ruoli importanti che mi aspettano!
Come vivi il tuo ruolo d'artista nel mondo di oggi?
Trovo, purtroppo, che la concezione dell’artista rispetto agli anni d’oro della lirica sia completamente cambiata. Il primo comandamento nel 2021 è la visibilità: se non sei attivo sui social, se non ti promuovi garantendo la tua presenza virtuale su ogni piattaforma possibile, è come se non esistessi.
Il secondo comandamento è la felicità perenne. Sempre previo post, ogni produzione è la più bella della vita, ogni cast quello coi migliori colleghi, ogni Maestro un genio, ogni compositore quello preferito. Secondo me il cantante lirico, così come l’artista in genere, dovrebbe avere qualcosa da dire, qualcosa da condividere, avere una forte identità artistica da conservare, e alla quale non venire mai meno. La missione più alta dovrebbe essere quella di ispirare curiosità, voglia di scoprire cose nuove, di ascoltare un altro disco, di andare a vedere un’altra opera, di leggere un nuovo libro.
Per concludere, ci vuoi raccontare un episodio, un aneddoto caro, il tuo momento di maggior orgoglio della tua carriera?
È stato senz’altro l’incisione del mio primo disco “Prologue” con Il Pomo d’oro diretto da Enrico Onofri. Ricordo un po’ d’ansia nella stesura del programma, di essermi chiesta più volte se un insieme di 12 prologhi d’opera non sarebbe risultato noioso agli orecchi del pubblico. Ricordo quanto ho imparato durante le prove con il Maestro Onofri, praticamente una masterclass concentrata in poche ore. Ricordo la fatica nell’incidere un repertorio molto vasto in pochissimo tempo e la difficoltà emotiva di partecipare al montaggio. Tutti noi abbiamo lasciato un pezzo di cuore in quella registrazione, per la dedizione, l’impegno, l’alta qualità dell’esecuzione e penso che il pubblico lo abbia percepito, visto il successo di questo disco.