L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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Milano Musica 30

di Paolo Petazzi

Quando Luciana Abbado Pestalozza, nel 1988, chiese a Boulez le date per alcuni concerti a Milano, era ancora coordinatrice di Musica nel nostro tempo. Si discuteva allora dei modi di un rinnovamento e rilancio della manifestazione, ed era emersa l’idea che la proposta di cicli monografici, fino ad allora esclusi, potesse avere un forte impatto nel conquistare o riconquistare il pubblico: si era pensato a Pierre Boulez e alla esecuzione a Milano di Répons (1981-84, all’epoca eseguito in Italia soltanto a Torino). L’ambizioso progetto fu realizzato nel 1990 nelle date indicate da Boulez, ma non nell’ambito di Musica nel nostro tempo, che con un nuovo assessore alla cultura della Provincia conobbe una radicale imprevedibile trasformazione e fu in breve lasciata morire. Si deve soltanto alla consapevolezza e alla tenacia di Luciana Pestalozza, che non aveva più alcuna veste ufficiale, se il progetto si realizzò in un nuovo contesto. Dal 18 al 23 giugno 1990 si svolse “Boulez a Milano”, perché Luciana Pestalozza trovò i mezzi per tener fede all’impegno preso con il compositore francese (con la collaborazione di Patrice Martinet del Centre Culturel Français, di Duilio Courir, critico musicale del Corriere della Sera, e di un comitato promotore).

La straordinaria esperienza di “Boulez a Milano” e la risposta del pubblico milanese ne fecero la premessa e il punto di partenza del Festival Milano Musica che iniziò nel 1992 con un bellissimo “Omaggio a Donatoni”. Fin da allora la collaborazione con il Teatro alla Scala ha costantemente caratterizzato i 30 anni di vita del Festival, come quella con il Comune e come il costante rapporto con diverse istituzioni culturali milanesi, italiane ed europee (citiamo almeno i consolidati legami con l’Orchestra Filarmonica della Scala, l’Orchestra Nazionale della RAI e la Verdi). Tra i soci fondatori della nuova “associazione per la musica contemporanea” c’erano alcuni di quelli che avevano promosso “Boulez a Milano” e tra il pubblico si ritrovava buona parte di quello di Musica nel nostro tempo, la stagione di concerti organizzata a partire dal 1976 dall’assessore alla cultura della Provincia di Milano con il coinvolgimento e la collaborazione di tutte le istituzioni musicali milanesi. Si è parlato di continuità ideale con quella esperienza, non senza ragione, soprattutto per ciò che riguarda l’attenzione aperta alle esperienze contemporanee, al Novecento storico e a capolavori del passato scelti in modo non casuale; ma anche prescindendo dalle concrete differenze di natura politico-organizzativa, si devono tener presenti alcune rilevanti caratteristiche nuove. Milano Musica non è una stagione, ma un Festival concentrato in un arco di tempo circoscritto, in cui è stata ed è molto significativa, anche se non esclusiva, l’impronta originaria data dai profili monografici.

Una impronta forte; ma va sottolineato che non fu mai esclusiva: fin dall’inizio fu considerata necessaria l’alternanza tra i festival dedicati prevalentemente (mai interamente) a grandi monografie e i liberi e flessibili “Percorsi di musica d’oggi”, aperti alla massima varietà, dagli autori più giovani ai protagonisti già noti, con proposte di interesse non inferiore a quello delle monografie. A partire dal 2009 si è preferito unire in ogni festival una monografia e i “Percorsi”, integrandoli attraverso accostamenti stimolanti e prospettive degne di riflessione in rapporto al tema scelto per il profilo monografico.

L’aspetto centrale e decisivo, esplorare la ricchezza delle esperienze musicali di oggi e del secondo Novecento, stimolando la diffusione di un nuovo “repertorio”, si affianca alla attenzione al Novecento storico, senza dimenticare che cosa ha rappresentato o rappresenta il dialogo con il passato nella poetica di molti protagonisti aperti a ricerche radicali. Era un’idea cara a Bruno Maderna quella di far convivere nei programmi dei suoi concerti musiche di epoche diverse, scelte ovviamente in modo non casuale.

Maderna scomparve troppo presto nel 1973. Nel corso degli anni Settanta ci fu chi sperò in una diffusione normale della musica contemporanea e dei grandi del primo e del secondo Novecento, tale da rendere superflua la esistenza stessa dei Festival. In seguito quelle speranze sono state deluse e nel suo insieme la situazione della vita musicale italiana ha visto drasticamente ridursi gli spazi dedicati alla creatività contemporanea. Molti degli autori più interessanti delle nuove generazioni vivono e lavorano all’estero, o trovano comunque in altri paesi europei spazi e possibilità da noi carenti, nonostante i meriti delle iniziative più aperte e l’attività di alcuni pregevoli complessi. E i grandi protagonisti del secondo Novecento, che sono quasi tutti scomparsi, non soltanto non sono entrati nella “normalità” del repertorio, ma, dopo la morte, in Italia sembrano quasi rimossi. Eppure appartengono alla coscienza musicale del presente in modo imprescindibile: ignorarli costituirebbe un grave impoverimento per la generazione dei compositori che si sono affermati nel XXI secolo non meno che per il pubblico che non ha mai avuto occasione di conoscerne numerose opere fondamentali. Riconoscere e promuovere le novità della musica degli ultimi decenni non significa chiudere gli occhi sugli aspetti di continuità con le vicende della seconda metà del secolo scorso, anche se appartengono alla storia e sono già oggetto di studi musicologici. Al loro riconosciuto valore non corrisponde peraltro adeguata circolazione in Italia.

Per contribuire a superare i limiti di questa soffocante situazione è nata e si è nel tempo consolidata l’esperienza di Milano Musica. È nata dunque da una esigenza profondamente sentita, da una necessità che andava oltre la consapevolezza e gli sforzi della fondatrice. Questa necessità è stata affermata in un processo di arricchimento e consolidamento organizzativo che testimonia la crescente vitalità dell’iniziativa. Ogni tentativo di bilancio in termini sintetici renderebbe inevitabile un lungo elenco di nomi e titoli (oppure richiederebbe un ampio discorso storico-critico); ma si può forse tentare qualche osservazione generale. Nei suoi 30 anni di vita Milano Musica ha proposto monografie di Franco Donatoni, Edgar Varèse, Luciano Berio, György Kurtág, Luigi Nono, György Ligeti, Iannis Xenakis, John Cage, Toru Takemitsu, Hugues Dufourt, Helmut Lachenmann, Niccolò Castiglioni, Morton Feldman, Fausto Romitelli, Bruno Maderna, Gérard Grisey, Salvatore Sciarrino, Kurtág, Luca Francesconi, Nono. La monografia dedicata a Berio nel 1996 includeva la prima assoluta di Outis alla Scala, e quelle degli ultimi quattro anni hanno approfondito gli autori di cui nella stagione scaligera era stata programmata un’opera, autori peraltro cui era stata dedicata costante attenzione. La monografia di Sciarrino ha coinciso con la prima assoluta di Ti vedo, ti sento, mi perdo (in attesa di Stradella). Quella di Francesconi si è legata alla ripresa di Quartett, dopo il successo della prima nel 2011 e una ampia diffusione internazionale. Il “ritorno” di Kurtág si poneva in rapporto con la rivelazione della sua prima esperienza teatrale, le “scene e monologhi” di Samuel Beckett: Fin de partie. La seconda monografia su Nono, interrotta dalla forzata chiusura subito dopo l’avvio del Festival 2020, si sarebbe dovuta legare a un nuovo allestimento di Intolleranza 1960.

La ricchezza delle esperienze musicali del secolo scorso e degli ultimi decenni non si esaurisce ovviamente in venti monografie; ma il semplice elenco mostra che aperture e curiosità in diverse direzioni hanno sempre caratterizzato le scelte di Milano Musica nel segno costante dell’attenzione allo spirito di ricerca, nella consapevolezza della molteplicità delle prospettive dischiuse dal pensiero musicale dopo il secondo dopoguerra, della impossibilità di univoche parole d’ordine, della avventurosa varietà delle esperienze compiute. Dopo l’ansia di un radicale rinnovamento del linguaggio, in un dopoguerra in cui si sentiva con urgenza il bisogno di voltare pagina, dopo il superamento delle tecniche seriali ad opera anche di quelli stessi che ne erano stati i primi protagonisti, non ci sono più stati tentativi di fondare una qualche koinè, un linguaggio comune, e forse in termini molto schematici soltanto nella concretezza del rapporto con il suono e con la percezione, e nell’esigenza di riprendere il dialogo con la storia, con il passato, si possono ravvisare gli unici denominatori comuni di una straordinaria varietà di esperienze.

Non ne sono prova soltanto le opere dei diciotto autori dei quali è stato proposto un profilo monografico, e sarebbe molto riduttivo dimenticare ciò che Milano Musica ha proposto nei “percorsi di musica d’oggi”. Basta uno sguardo all’archivio online di Milano Musica; ma se mi è consentito un solo esempio posso ricordare che nel corso di Milano Musica 2009, il primo anno che integrava una monografia (Takemitsu) e i “percorsi”, tra i vertici del Festival c’erano stati il Terzo Quartetto di Lachenmann e i “giapponesi” Sei canti del Kochin Shu di Giacomo Manzoni, autore peraltro presente più volte con opere di eccezionale rilievo.

Apertura, curiosità, rigore hanno sempre caratterizzato Milano Musica, nel segno di una duttile riconoscibile continuità attraverso i cambiamenti che ne hanno caratterizzato la storia e la crescita. Luciana Pestalozza aveva voluto sempre accanto a sé un comitato artistico, in cui, senza mancare di rispetto a quelli che in diversi anni si sono alternati, bisogna ricordare almeno il contributo delle presenze più costanti, quelle di Gianmario Borio e di Mario Messinis, che ci ha lasciato nel settembre 2020. L’ampliarsi e il rafforzarsi dell’attività di Milano Musica avevano comportato dal 2008 una nuova figura di consulente artistico, che fino al 2013 è stato Andrea Pestalozza, dal 2014 Marco Mazzolini. Sempre nel 2008 la direzione organizzativa era assunta da Cecilia Balestra, poi divenuta vicedirettore e designata da Luciana Pestalozza a succederle dal 2012 nella direzione del Festival. Continuità e coerenza nella storia di Milano Musica non riguardano soltanto l’attenzione agli autori che si cimentano con la complessità del comporre, con strenua tensione di ricerca, e il sostegno ai loro più qualificati interpreti; ma anche, inseparabilmente, il rapporto con il pubblico, la cui fedeltà e crescita sono un dato costante e un’apertura per il futuro. La crescita e il consolidamento che cominciavano a delinearsi da più di un decennio negli ultimi anni hanno avuto ulteriore, impetuoso slancio e hanno conquistato a Milano Musica un riconosciuto ruolo istituzionale. Accanto all’ampliarsi del numero dei concerti e delle commissioni va ricordata la nuova cura nella scelta delle sedi, che ha valorizzato luoghi non tradizionali come il Planetario o come spazi segnati da fortissime suggestioni di natura visiva: penso all’Hangar Bicocca dominato dalle sette torri e dai dipinti di Anselm Kiefer, alle sale delle Gallerie d’Italia, o alla Sala delle Cariatidi in Palazzo Reale. Le potenzialità degli incontri tra arti diverse sono forse anch’esse un auspicio per il futuro.


 

 

 
 
 

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