L’Ape musicale

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Rossini in Arena

La fortuna esecutiva di Rossini nell’antico anfiteatro veronese, lungo 100 festival dal 1913, è in un certo senso parallela alla riscoperta dell’autore pesarese nel Novecento. È il Rossini serio, corale, monumentale, che debutta in Arena nel 1925 con 8 recite del Mosè, traduzione italiana (“in edizione popolare” scrissero i manifesti dell’epoca) del Moïse et Pharaon, a sua volta rimaneggiamento del precedente Mosè in Egitto, già in italiano ma evidentemente considerato non definitivo. Protagonista il già celebre basso Nazzareno De Angelis (1881-1962) dal repertorio vasto e documentato anche da incisioni coeve. Nella stessa stagione lirica va in scena per la prima volta anche un titolo destinato ad eclissare il successo del Mosè e di lui più ricorrente nella storia dell’Arena: La Gioconda di Ponchielli.

Rossini torna con un altro colossal nel 1931, un grand opéra, ossia Guglielmo Tell, in traduzione italiana e per 5 recite: parte delle scenografie disegnate da Ettore Fagiuoli, tra scorci boschivi e architetture da villaggio alpino ma sempre imponenti, tornano utili anche per Mefistofele e I Maestri cantori (di Norimberga), tutti con la regia di Giovacchino Forzano, per un’estate decisamente irripetibile. Il Rossini serio, in Arena, termina qui: troverà maggiore spazio in altro ambiente nella seconda metà del secolo.

Nel 1948 però si impone l’opera rossiniana per antonomasia: Il Barbiere di Siviglia (già presente in uno degli isolati esperimenti lirici ottocenteschi in Arena) con una locandina eccezionale, tra cui spicca una grande voce al suo debutto areniano, Giulietta Simionato. Solo 3 serate, cautamente, cui ne seguono 4 otto anni dopo, quando il titolo viene riproposto in occasione del centenario dalle prime recite ottocentesche dell’opera a Verona, nell’allestimento di Maestrini-Casarini e un cast rinnovato, guidato da un altro grandissimo debuttante quale Figaro, Ettore Bastianini, che tornerà ininterrottamente fino al 1961. Rossini non rimette piede in Arena per quarant’anni se non con lo Stabat Mater in due occasioni concertistiche, nel 1971 e, per il duecentesimo della nascita, nel 1992.

Nel frattempo nasce a Pesaro il Rossini Opera Festival, centro di riscoperta e filologia, di approfondimento e irradiazione della musica rossiniana, mentre Verona si dota di un palcoscenico stabile al Teatro Filarmonico, dove proporre titoli meno noti. Le 9 recite areniane de Il Barbiere nel 1996, celebri per la mongolfiera ideata da Tobias Richter, sono quindi primo frutto di una prassi critica e consapevole: garante ne è la bacchetta di Claudio Scimone, tra i pionieri dell’opera omnia del pesarese. Dal 2007 infine, con l’elegante giardino sovradimensionato di Hugo De Ana, Il Barbiere di Siviglia è diventato un ospite assiduo del Festival, passando dallo status di azzardo ed eccezione a quello di elemento trainante della programmazione (anche grazie a cast interessanti, per 31 recite in 5 edizioni, cioè gran parte delle 47 totali del titolo dalla sua prima comparsa in Arena).

Se si può considerare conclusa quella fase di Rossini-Renaissance, con la scomparsa di Claudio Abbado, del M° Scimone, di Philip Gossett (1941-2017) e Alberto Zedda (1928-2017) che ricordiamo con doverosa gratitudine e ammirazione, proprio il 150esimo dalla fine terrena di Rossini ha fatto constatare che ovunque, nel grande repertorio, Figaro non è più solo. Nella stessa Arena, in tutta la sua austera e nuda bellezza con cavea adattata a palcoscenico centrale, nell’anomala estate 2020 è andato in scena il Rossini Gala con cast d’eccezione e un programma finalmente vario, con Semiramide, Cenerentola e Tell.


 

 

 
 
 

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