Anna Bolena, appeal rinnovato
di Francesco Lora
Il melodramma donizettiano è stato riallestito, dopo le recite del 2011, con una nuova compagnia di canto. Per abilità belcantistica superiore spiccano la Ganassi e Costello. Funzionale senza rivelazioni risulta invece la direzione di Pidò.
VIENNA, 28 ottobre 2013 – Anna Bolena di Donizetti alla Staatsoper di Vienna: il DVD edito da Deutsche Grammophon documenta le sei recite del 2-17 aprile 2011, e trae un particolare appeal dalla presenza, a un tempo fono- e fotogenica, di Anna Netrebko, Elīna Garanča e Ildebrando D’Arcangelo (con uno sgarbo verso Francesco Meli, escluso dai nomi in copertina ad onta del suo essere più di tutti gli altri uno specialista di parti donizettiane). Lì si può vedere l’allestimento con la regìa di Eric Génovèse, scorrevole e senza intemperanze, le scene di Jacques Gabel e Claire Sternberg, scabre e oscure come la storia che contengono in sé, i costumi di Luisa Spinatelli, seta riverberante in colori freddi, il tutto rischiarato ad arte dal disegno-luci di Bertrand Couderc. Nel finale dello spettacolo c’è l’unico e ben assestato libero colpo di coda teatrale: il delirio della protagonista condannata a morte avviene sullo stipite d’una porta, quasi un arcoscenico, e intorno a lei le dame assistono la regina e nel contempo assistono a una rappresentazione della follia; è teatro nel teatro, confermato dall’attenta presenza di una principessina coi capelli rossi mista al corteggio: Elisabetta Tudor.
Un nuovo ciclo di quattro recite nel massimo teatro viennese, 25 ottobre - 3 novembre, ha quest’anno riportato in scena il pregevole spettacolo, con un rinnovo della compagnia di canto. Una punta d’eccellenza si è così avuta nel ritorno di Sonia Ganassi alla parte di Giovanna Seymour, suo cavallo di battaglia degli esordi (per esempio al Teatro Comunale di Bologna, nel 1996, accanto a una Luciana Serra trasudante carisma). Nel tempo, la vocalità della Ganassi si è irrigidita nella coloratura mentre il fraseggio si è affinato: è il giusto iter per una cantante curiosa di nuovi repertori senza per questo tradire le origini. La sua Seymour, così affettuosamente tormentata, continua del resto a vantare un fior di tecnica belcantistica, palese nell’omogeneità di registri e in una proiezione che distribuisce la voce in ogni punto della sala. Anche Krassimira Stoyanova, nella parte eponima, è una cantante di rango. Pure, è proprio la sua formazione non prettamente belcantistica a lasciarle scoperto il fianco: il saliscendi da un registro all’altro, la coloratura di forza, il contrasto di affetti in una stessa situazione drammatica, insomma l’armamentario della primadonna di melodramma italiano, la trovano provata con l’avanzare della recita; la freschezza timbrica, l’adeguatezza del volume, l’incisività d’emissione tendono così a scemare via via. Né la lettura del personaggio, sbilanciato verso la reazione istintiva della donna ferita, rende sempre giustizia al contegno di una regina.
Nel comparto maschile, Stephen Costello ha timbro non prezioso, ma è uno tra i rari tenori in grado di addomesticare l’acuta tessitura di Lord Riccardo Percy; in più, possiede la musicalità per sfumare i cantabili, l’impeto per animare recitativi e tempi di mezzo, la brillantezza per rivalutare le due cabalette solistiche. Piuttosto casuale, al contrario, è l’Enrico VIII di Luca Pisaroni: se la voce è in sé di qualità, il cantante è poco fantasioso, e l’interprete restituisce più la vigliaccheria del personaggio che non la sua regale terribilità. Assai ben sostenute le parti di fianco, con le generose qualità timbriche di Zoryana Kushpler come Smeton e di Dan Paul Dumitrescu; puntuale e stilizzato, a sua volta, Carlos Osuna come Sir Hervey. Funzionale senza rivelazioni risulta invece la direzione di Evelino Pidò (anch’egli già impegnato nello spettacolo bolognese di 17 anni fa). Nulla egli fa per alleggerire il corpo dell’orchestra, quando è ben nota la pesantezza del Donizetti orchestratore, né per disciplinare un primo oboe in serata no (a fronte di un corno inglese estasiante). In compenso, le forbici lavorano alacremente: le riprese delle cabalette cadono una dopo l’altra e le strette subiscono potature. Orchestra e Coro della Staatsoper, in ogni caso, all’altezza della loro fama.