L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La Carmenicita è un buon affare

di Carlos Rosas

La nuova coproduzione di Carmen, in chiusura della stagione 2013-2014 della Houston Grand Opera sembra puntare più al botteghino che alla realizzazione di un progetto artistico stimolante, sottovalutando anche le aspettative del pubblico. Uno spettacolo, infine, rutilante, ma anche di routine.

HOUSTON 27 aprile 2014 - Come chiusura della sua stagione 2013-2104 la Houston Grand Opera ha dato alla luce una nuova produzione della Carmen de Bizet, opera che secondo le statistiche dell'associazione Opera America è la seconda più rappresentata al mondo dopo la Traviata. Carmen è realmente un titolo talmente popolare da essere una pietra angolare delle stagioni liriche, ma negli Stati Uniti, e in particolare nei teatri più importanti come Houston, si dovrebbe mettere maggiormente in evidenza un progetto artistico offrendo opere meno note al fine di ampliare il repertorio, evitando di pensare solo al botteghino, sottovalutando peraltro il pubblico quando si suppone che sia attratto solo dai titoli più famosi. Il botteghino alla fine detta il repertorio nei teatri statunitensi, come conferma questa coproduzione con la San Francisco Opera e la Lyric Opera di Chicago.

Concentrandoci sulla recita, la regia era firmata da Rob Ashford, proveniente da Broadway, che ha optato per una versione dell'opera in stile “musical” con danze e coreografie durante l'azione e la stessa ouverture, con ballerini, toreri, gitani e la sagoma di un toro che si muoveva sulla scena e si presentava ripetutamente. Anche la protagonista ballava, in una scena satura di movimenti sesuali e danze, il che sembrava anche divertire, ma anche un mod banale di travisare l'opera conferendole un tratto giocoso che non le compete. Sempre sullo stile “Broadway”, le scenografie austere David Rockwell sono state disegnate con elementi curvi o angolati che rappresentavano montagne, muri, simili a quelle del musical Mamma Mia; i costumi di Julie Weiss erano variopinti, di diverse epoche e stili, in nero per Carmen. Adeguato il disegno luci.

Il ruolo di Carmen è stato appannaggio del soprano portoricano Ana María Martínez,che ha saputo sfruttare al meglio la sua figura attraente e ha mostrato sulla scena sensualità e carattere, benché la sua voce mancasse di ombreggiature e autorità e in certi passaggi sia parsa piuttosto pallida e leggera. Martínez è un'interprete versatile che ha esplorato diversi repertori, da Rossini a Wagner e Janacek, da Verdi a Handel; tuttavia la sua assidua presenza su questo palcoscenico dà da pensare sui criteri seguiti da questo teatro per la scelta dei cast, nei quali la presenza sempre dei medesimi artisti impedisce di conoscere nuove voci. Brandon Jovanovich possiede solidi argomenti vocali per interpretare un convincente Don José; attore appasionato, esprime la sua ossessione non senza qualche gesto esagerato. Il baritono Ryan McKinny è stato un sicuro Escamillo, pulito e brillante nel suo canto baritonale. Delicata e dolce la Micaela diNatalya Romaniw, corretta nell'interpretazione della sua aria.

Discreti gli altri cantanti, anche se per le sue qualità Uliana Alexyuk, al suo quinto ruolo in questa stagione, compresa Gilda in Rigoletto, meriterebbe miglior sorte che una parte come Frasquita. Corretto il coro e di routine la concertazione di Rory Macdonald con una orchestra squilibrata e in alcuni momenti ingiustificatamente spinta sul forte. Una recita che non resterà nella memoria.


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