Magia del teatro, magia universale
di Suzanne Daumann
La ripresa del bell'allestimento di Patrice Caurier e Moshe Leiser, con una concertazione sensibile e vaporosa e una compagnia di canto perfettamente assortita, riconduce il Singspiel di Mozart e Schikaneder alla semplicità universale della dimensione fiabesca, che ne veicola nel modo migliore i significati più profondi.
ANGERS NANTES, 30 maggio 2014 - Die Zauberflöte non è un'opera perfetta: non ha la drammaturgia a orologeria delle Nozze di Figaro, né la grazia oscura di Don Giovanni; Schikaneder non è Da Ponte e i suoi personaggi non hanno la psicologia complessa e verosimile di quelli delle tre grandi opere della trilogia italiana. Die Zauberflöte non è un'opera perfetta, è di più, è universale. Die Zauberflöte è un'opera di magia, e perché la magia sia messa in opera bisogna lasciare al guardaroba cinismo, materialismo, e tutti gli i-phones postmoderni. Bisogna soltanto seguire i tre fanciulli, perché la bocca della verità è quella dell'infanzia.
Così, gli autori di questa produzione della Angers Nantes Opéra del 2006, ripresa quest'anno per la gioia del pubblico locale, Patrice Caurier e Moshe Leiser, regia, Mark Shanahan, direttore, Christian Fenouillat, scene, Agostino Cavalca, costumi, e Christophe Forey, luci, hanno restituito all'opera la sua magica semplicità. Piena di humor, questa Zauberflöte non si prende mai sul serio.
Fin dall'ouverture il clima è chiaro.. Mark Shanahan dirige l’Orchestre National des Pays de la Loire con una solennità leggera, vaporosa. Il tempo un po' lento della sua concertazione lascia al testo il modo di svilupparsi in tutta la sua profondità. L’orchestra, tuta sfumature e finezze, accompagna i cantanti con estrema sensibilità, alla maniera della musica da camera.
La scenografia è pensata in modo altrettanto chiaro e leggibile: il palco resta per lo più vuoto con qualche elemento di illuminazione, e i costumi bastano a evidenziare gli intenti di cantanti e orchestra. D'altra parte, una scena imponente avrebbe reso impossibili i coups de théâtre vari e diversi, apparizioni e sparizioni da botole e personaggi volanti.
Semplicità anche sul versante dei costumi: Tamino e Pamina sono in bianco e blu, la Regina della notte in rosso, Papageno in giallo uovo, le tre Dame multicolori e brillanti di paillettes. Sarastro e i suoi portano costumi grigi, neutri.
Elmar Gilbertsson, giovane tenore islandese, è Tamino. Con il suo fisico da bel tenebroso, dal portamento altero, e la sua voce tenera e rotonda incarna perfettamente l'innamoramento del principe, la sua ricerca audace, la parte nobile e spirituale dell’essere umano. La sua controparte terre-à-terre, più preoccupata delle esigenze del corpo che dell'anima, Papageno, è interpretato, con grande humour e fascino irresistibile, dal baritono svizzero Ruben Drole. Con timbro caldo, naturale e vellutato, canta, parla e quando gli è impedito di parlare, canticchia danzando «Non piu andrai», un vero spasso.
La principessa Pamina, figlia della Regina della Notte, rapita dal sinistro Sarastro, è interpretata dal soprano Marie Arnet con grazia indiscutibile. Il suo timbro argentino e innocente la rende convincente e profondamente emozionante nella sua aria «Ach, ich fühl’s». L’altra faccia del principio femminile è la Regina della Notte, incarnazione della mAdre castratrice. Il soprano Olga Pudova le dà vita, autorità e un pizzico di seduzione. Il suo avversario ed equivalente maschile, Sarastro, è interpretato dal basso americano James Creswell. Peccato che i trampoli gli diano un'aria un po' precaria invece di enfatizzarne l'autorevolezza. Superfuo, peraltro, perché questo Sarastro ha voce e accenti giusti: teneri e fermi.
I tre fanciulli provengono dalla Maitrise de la Perverie à Nantes, affascinano e inteneriscono di volta in volta in abiti di strada stile anni '30, in cappello e grembiule da cuoco, in camicie e cuffie da notte.
Così, questa versione purificata dell'opera permette di esplorare tranquillamente i differenti aspetti dei personaggi e le loro relazioni. Vista e sentita come semplice fiaba, la vicenda si riappropria del suo significato, il simbolo si rivela più facilmente. Si esce chiedendosi: e se fosse vero? E se la vita altro non fosse che un viaggio attraverso il fuoco e le acque della sofferenza? E se le cose materiali non fossero che un'astuzia delle tre dame della Regina della Notte?
Si esce, una lacrima nel sorriso, gli occhi spalancati sulla magia che ci circonda ovunque.
foto Jef Rabillon