Wien, der Traum im Walzertakt: il sogno a tempo di Walzer
di Andrea R. G. Pedrotti
Monika Czernin
Hotel Sacher. L’ultima festa della vecchia Europa
pp. 344
ISBN 978-88-5922-515-7, 2015
Collana La Biblioteca di Ulisse
EDT
[…] si va all’Opera, che si abbandona già dopo il primo atto, si mangia al Sacher, e si prosegue la serata nel séparé contiguo…[…]
Questa è una citazione dal libro di Roman Sandgruber Traumzeit für Millionäre: Die 929 reichsten Wienerinnen und Wiener im Jahr 1910, proposta da Monika Czernin in principio di uno dei capitoli del suo meraviglioso libro Hotel Sacher, l’ultima festa della vecchia Europa. Troviamo all’interno della frase lo spirito giocoso e trasgressivo che faceva parte – e qui citiamo l’autrice stessa- del “[…] normale fermento della vita culturale che la metropoli danubiana offriva con assoluta nonchalance.”
Anna Sacher nacque il 2 gennaio 1859 nella cattolica famiglia dei Fuchs, nel Leopolstadt, la porzione della città di Vienna che venne destinata a ospitare il ghetto ebraico. Trascorse la sua infanzia fra uomini in caffettano, donne che si recavano a fare la spesa dal macellaio kosher (concorrente del padre di Anna), ascoltando persone parlare yddish e annusando il profumo del matze (pane azzimo) nel periodo della Pesach. Fu la società della Ringstrasse, fiorita dopo l’abbattimento di Porta Carinzia, nel luogo dove verrà edificata la novella Wiener Hofoper, attuale Wiener Staatsoper, la Erste Haus am Ring (la prima casa sul Ring), come venne detta in seguito. Vienna viene descritta come una città in cangiante mutamento, quando, negli anni Sessanta, arrivarono i primi flussi migratori che tramutarono la capitale austro-ungarica nella patria di personaggi come Theodor Herzl, Sigmund Freud, o Victor Adler. Quel periodo e il successivo decennio rappresentarono la massima ascesa dell’antica Vindobona. Il Wien (fiume malsano che scorreva proprio nei pressi del teatro di corte e dell’Hotel Sacher) venne reso sotterraneo, restando ben visibile nella zona solo grazie al nome del prossimo Theater an der Wien, ossia “teatro sopra il Vienna”.
L’antisemitismo, che andava diffondendosi in Europa, è trattato lungamente nel libro della Czernin, poiché fu proprio una della cause che portarono alla fine l’epoca dorata di Vienna. Dopo la rivoluzione borghese del 1848 furono i principi liberali borghesi della classe giudaica a dare un’importante impronta alla città. Classi mobili e un notevolissimo fermento umano e culturale che traspare da ogni pagina del testo. Fa impressione notare l’umanità dei grandi personaggi, come Gustav Klimt, Arthur Schnitzler, il principe ereditario Rudolf, Gustav Mahler, Karl Wittegenstein, Carl von Hasenauer, l’arciduca Francesco Ferdinando o l’imperatrice Elisabeth. Un luogo evitato, viceversa, dal sindaco Karl Lueger, ossia da una delle principali forze motrici dell’antisemitismo locale.
Vienna è la città dei caffè, delle chiacchiere del sospeso, dell’immaginazione, del gioco, del sogno. Il Walzer viennese venne nominato da Carlos Kleiber con un evocativo “un, due e…non si sa…” Questo perché il Walzer era per la borghesia locale autentica rappresentazione della loro “viennesità”, che nemmeno il sindaco Karl Lueger poté mettere in discussione. Monika Czernin è discendente di Ottokar Czernin, ultimo ministro degli esteri della monarchia asburgica e quel mondo lo conosce, lo ricorda (anche se non in prima persona) e lo racconta splendidamente con i discorsi diretti, i racconti, le riflessioni, degli avventori dell’Hotel Sacher.
La sospensione, la voglia di fare, il non sentire mai finito il proprio lavoro e i propri stimoli: questa fu la grande forza di Vienna, narrata in un percorso cronologico preciso (ogni capitolo è segnato con l’anno del racconto che ne seguirà), che è bellissima fabula narrativa, nell’intreccio di quella dinamica umanità.
Viene evocata l’umanità degli avventori come della proprietaria, che da giovane vedova aveva saputo costruire un autentico impero. Solo a Vienna era possibile tutto questo grazie alle idee, senza che fosse necessario armarsi di picozza e partire per il Klondike. Il titolo del libro da cui è tratta la citazione con cui abbiano iniziato l’articolo contiene in sé una parola eccezionalmente evocativa come “Traumzeit”, ossia “il tempo del sogno” vissuto nella realtà di quella che fu la città del sogno. La musica viaggia nell’aria e lì fiorì come grande forma d’arte, unita alla filosofia, alla pittura, danza alla linguistica filologia e a una notevole moltitudine di altre scienze. Vienna non sapeva limitarsi, perché il sogno è l’elemento più inconscio e più trascendente per antonomasia. Sembra, infatti, di sognare, leggendo questo libro e, quando capita di passeggiare ancora oggi per la Ringstrasse, ammirare la statua d’orata di Johann Strauss jr. allo Stadtpark e la grandiosità mai oppressiva dei palazzi imperiali, fino all’intimità dei mercatini di natale e, ancora una volta, all’intimità dei caffè. Questo libro ci fa sentire prossimi a un mondo che sembra lontanissimo e, invece, ci è ancora prossimo, grazie alla straordinario fermento, innovativo e conservatore al tempo stesso, di Vienna.
Non solo l’Hotel Sacher, ma anche sedendosi al Café Central di Vienna, ci pare di essere in un tempo fuori dal tempo, in una grande “prigione di lunga durata”, come l’avrebbe chiamata Fernand Braudel. Si sorseggia qualcosa, dopo aver ordinato la consumazione a una cameriera in abiti del tempo che fu, naturalmente indossati, ma pronta a estrarre un taccuino elettronico.
Progresso, ma anche memoria e tradizione, amore per il ninnolo e l’ornamento, come per il rigore e la sobrietà. Questa era ed è Vienna e buona parte di essa è contenuta in un libro che canta il ricordo di una festa che per la “vecchia Europa” viene definita “ultima”. Ultima, ma non “conclusiva”, come la sospensione del tempo del sogno, un sogno a tempo di walzer…