Illica carissimo…
di Antonio Caroccia
Giacomo Puccini. Epistolario II. 1897-1901
a cura di Gabriella Biagi Ravenni e Dieter Schickling
pagine XXVII+701, 26 tavv. f.t. a colori
Firenze, Leo S. Olschki Editore, 2018
ISBN 978 88 222 6581 4
«Illica carissimo, [...] Qui urge tua presenza, per Tosca dovendo fare qualche cosuccia al primo atto per ora = Vidi Sardou e propose qualche posposizione e qualche cambiamento – e tutto ciò molto logico e necessario [...].»
A distanza di qualche anno, l’Edizione Nazionale delle Opere di Giacomo Puccini pubblica il secondo volume dell’epistolario di Giacomo Puccini curato da Gabriella Biagi Ravenni e Dieter Schickling. Un nuovo volume contenente ben ottocentocinquantacinque lettere, più otto senza testo nell’Appendice, scritte da Puccini dal 1897 al 1901 e di cui trecentoventisei pubblicate per la prima volta. Una mole di inediti materiali che permettono di conoscere a fondo la personalità dell’artista in anni cruciali della sua attività. Attraverso la lettura di queste missive è possibile conoscere la grande rete intessuta da Puccini con diverse personalità del tempo; difatti, a differenza del precedente volume notiamo un incremento di rapporti e conoscenze al di fuori della cerchia familiare. 1897-1901: cinque anni intensi, in cui non mancano le riflessioni personali e le aspirazioni, come quelle comunicate alla sorella Ramelde il 21 settembre del 1898:
«Cara Ramelde, parto per Torre domani Giovedì [...] Io sento (a giorni) la 40na! e sono proprio stanco della vita che faccio e cioè sono un temperamento incontentabile (perché non dovrei lamentarmi) – Orta il lavoro mi pesa e non sono contento proprio nulla del mio lavoro d’oggi – [...] nevrotico, isterico linfatico, degenerato Malfattoide, erotico musico-poetico cardiaco fratello GPuccini»
Non mancano poi le lettere autobiografiche, è il caso della missiva indirizzata a Eugenio Checchi del primo ottobre del 1897, in cui è possibile ricavare numerose informazioni riguardanti gli anni milanesi e notizie sul giovane Puccini:
«Caro Eugenio, Tessere la mia storia? non saprei come cominiciare! La mia infanzia è l’infanzia di tutti – ti dico solo che ero refrattario alla musica, e fu a 17 anni che udendo l’Aida a Pisa mi sentii aprire lo sportello musicale – Andai a Milano e mi presentai al corso di contrappunto facendo vedere i contrappunti e la messa tutti a Lucca sotto l’Angeloni e ottenni il lascia passare al conservatorio [...] Finalmente mi feci fuori con un Capriccio sinfonico che ottenne un gran successo [...]. Dopo vennero Le Villi che finii perché la mia povera mamma colle preghiere e il continuo starmi addosso me le fece terminare [...] ho tra le grinfie Tosca che m’attosca l’esistenza per la sua difficoltà – dio voglia che possa riuscire [...]. Ritornando indietro e cioè all’epoca della Bohème ante e post Villiana ti dirò che con Mascagni si era legati a giorno e... a notte perché a volte mi veniva a trovare alle 4 della mattina d’inverno sempre in miseria si mangiava a chiodo [...]»
Diverse poi le lettere che delineano i personaggi che circondano la vita dell’artista, come la sua futura moglie Elvira. Puccini la descrive ruvida ed è evidente fin dalle prime lettere la distanza che intercorre tra i due. La gelosia maniacale di Elvira è emblematica. Tra gli altri familiari troviamo il cognato Giuseppe Razzi e sua moglie Ida Bonturi. Punti di riferimenti per Puccini insieme a Fosca Gemignani. Tra gli amici emerge Alfredo Caselli che l’artista considera fidati e sicuri, come anche Ferruccio Pagni e i fratelli Vandini.
In questo quinquennio la situazione finanziaria dell’artista è stabile, ciò consentirà l’acquisto delle case di Chiatri e Torre del Lago, nonché il trasloco milanese da via Solferino a via Verdi: tutti i lavori sono minutamente descritti dal compositore.
Non mancano poi i racconti della vita quotidiana, fatti di viaggi e progetti, come anche quelli personali legati agli hobby. La caccia, per esempio, è una passione e un argomento predominante fin dalla prima lettera del volume del 18 gennaio del 1897 a Luigi Illica per il libretto di Tosca: «Caro Gigi, fammi gli accomodi da parti tuo e allo ti spedirò della caccia – Oggi ho ucciso un cignale di 240 libbre – ed una volpe – sarò di ritorno non prima di sabato». Non da meno saranno le passioni per i mezzi di locomozione: la bicicletta, le imbarcazioni e le automobili. L’amore per le arti visive, lo porterà poi ad intrattenere rapporti gli amici Pagni e Fanelli.
Avendo consolidato la sua collocazione nel panorama operistico nazionale ed europeo, il compositore osserva il passato compiacendosi dei successi e guarda ai futuri progetti promuovendo le proprie opere, stimolando gli editori a future rappresentazioni. In questo volume emerge, poi, il rapporto problematico con la critica e i critici del tempo: ringrazia coloro che lo apprezzano (Eugenio Checchi, Primo Levi) e disapprova le stroncature di Eduard Hanslick su La bohème andata in scena il 5 ottobre al Theater and der Wien: «La stampa dicon buona e generosa c’è qualchedun che grida e crucifige [.] La frei presse dice che gran cosa non è il terz’atto [...]».
Vivide appaiono le testimonianze sui colleghi: su Mascagni rievoca le antiche frequentazioni, deplora il wagnerismo, testimonia l’affetto per il concittadino Catalani, esprime un giudizio poco lusinghiero sulla Resurrezione di Cristo di Perosi e dispensa elogi per il suo maestro Angeloni. Ringrazia poi Massenet per il biglietto di congratulazioni per il debutto di Bohème. Meritano attenzione i giudizi verso i cantanti e i direttori d’orchestra. Si lamenta perlopiù dei primi apostrofandoli ‘cani’, per fortuna non tutti. Giudica “divino” Enrico Caruso nella Tosca bolognese nella lettera a Giulio Ricordi del 20 novembre 1900:
«Stasera a Bologna c’è la seconda. – Alla prima la Giachetti appena aprì la bocca le fece cecca. Io non volevo andare in scena ma i sozzi impresarii non mi dettero ascolto. La prova di scena era necessaria che feci il giorno della recita dalle 11 alle 3! Sarà stata la causa dell’abbassamento repentino – ma era troppo di prima necessità detta prova – poiché tanto lei che Caruso di scena ne facevano una burletta. Caruso fu divino! Sempre meglio Giraldoni. Messa in scena vile, insieme scucito, forse per mancanza di prove.»
Tra i direttori d’orchestra svettano Leopoldo Mugnone e Arturo Toscanini, entrambi amati da Puccini tanto che il secondo viene più volte definito “principe”, “sublime”, “eccelso e inarrivabile condottiero”. Non mancano poi missive che fanno riferimento a Tosca e Madama Butterfly. Frequenti gli scambi epistolari con Giulio Ricordi per l’invio dei testi, le correzioni, gli aggiustamenti.
«Non vedo l’ora di affidarti Tosca – son sicuro che mi farai passare dei bei momenti – Perché come tu sai, i più bei momenti per un compositore sono 2, quando si concepisce e si mette su carta una idea che piace e quando si sente la propria musica sorgere dall’orchestra alla lettura e quando questa lettura è guidata da Popi.» (Lettera del 10 novembre 1899 a Leopoldo Mugnone).
Il completamento e il debutto di Tosca è uno degli argomenti centrali del volume: l’incontro con Sardou, i colloqui in Casa Ricordi, le varie consulenze, il lavoro di orchestrazione, le rifiniture al pianoforte con gli interpreti rappresentano il complesso mondo pucciniano che in quest’opera appare evidente attraverso la lettura delle numerose missive:
«[...] Ritorna sempre la preoccupazione di Tosca per la ben simulata caduta di Mario e relativo suo contegno davanti ai fucilatori suoi – Quanto alla fine duetto (il cosidetto inno latino (che non ho mai avuto il bene di vederlo scritto dai poeti) i miei dubbi ce li ho anch’io – ma spero che in teatro venga fuori e magari bene. Il Duetto del 3° atto è stato sempre il gran scoglio – I poeti non mi hanno saputo dare (parlo della fine) niente di buono – e di vero soprattutto – sempre accademia accademia solite sbrodolature amorose.» (Lettera a Giulio Ricordi dell’11 ottobre 1899).
Le missive a Illica e a Giacosa, a Giulio e Tito Ricordi, a Clausetti e a Mugnone, per il completamento di Tosca, si intrecciano con quelle progettuali di Madama Butterfly che chiudono il volume con la notizia che la composizione dell’opera è iniziata: «Caro Gigi, Bene, bravo! lavora e raccoglieremo. Attendo sempre la fine d’atto dal Budda – ma il suo ombelico rientra e il parto non vien fuora!» (Lettera a Luigi Illica, 11 novembre 1901).
Le lettere, ordinate cronologicamente e trascritte secondo i criteri editoriali esposti chiaramente all’inizio del volume, sono corredate da note che forniscono informazioni/commenti, dagli opportuni apparati critici, che permettono di conoscere le personalità e i luoghi citati nelle missive attraverso brevi schede biografiche e storico-geografiche. Seguono, poi, le sigle bibliografiche dei contributi citati, le sigle delle biblioteche e degli archivi, la tavola di comparazione, ossia l’elenco completo delle lettere, con numero progressivo e numero d’ordine, e i corrispondenti numeri progressivi delle pubblicazioni precedenti. Il volume è corredato da una serie di apparati dedicati a personalia e localia, da un indice dei destinatari e dei nomi, nonché da sedici finissime tavole a colori.
Un’opera encomiabile che ci restituisce un Puccini inedito e sconosciuto, che guarda al futuro e al nuovo secolo con interesse e rinnovata curiosità.
«Caro Gigi, bene! Bene! Sono così contento del tuo lavoro, specie del primo quadro, che è una vera bellezza. Pensami dunque al secondo: l’incontro delle donne e all’ultimo che coll’intermezzo cupo-lento e suggestivo del drago, attacco (dello stesso colore) senza vivacità né allegria sino alla fine.» (Lettera a Luigi Illica, 1 ottobre 1901
Antonio Caroccia