L'altra faccia dell'Arpeggione
di Roberta Pedrotti
Franz Schubert
a portrait on guitar
Eugenio Della Chiara, chitarra
Davide Cabassi, fortepiano
Mert Süngü, tenore
registrazioni effettuate nell'estate 2019
CD Decca 4819603, 2020
Far musica fra amici, senza impegno, anche all'improvviso e in qualunque situazione: facile che la prima immagine che si affaccia alla mente sia quella di un ragazzo della compagnia che estrae una chitarra. Ora, riportiamola indietro di duecento anni, a Vienna, quando in ogni casa sufficientemente - ma nemmeno troppo - benestante si fa musica, e magari c'è uno strumento a tastiera, un vecchio clavicembalo, una spinetta, un fortepiano più o meno recente. E niente di meglio, per unirsi in duetto o sostituirlo se manca, di una chitarra. Fioriscono allora, sia l'arte della liuteria, sia trascrizioni e composizioni apposite. A Vienna trova casa e fortuna il chitarrista italiano Mauro Giuliani, ma non è il solo e anche Schubert e la sua cerchia d'amici non restano insensibili al fascino intimo e versatile delle sei corde.
Il nuovo CD di Eugenio Della Chiara esplora proprio attraverso la chitarra questo Schubert privato e la sua diffusione nei salotti viennesi. Ascoltiamo allora la sonata in la minore D 821 detta L'Arpeggione perché destinata allo strumento ideato da Johann Georg Staufer, una sorta di incrocio fra chitarra e violoncello dalla fortuna tanto effimera da veder la sonata presto affidata al più familiare strumento ad arco. Ben più rara l'occasione di incontrare la chitarra, benché il dedicatario Vincenz Schuster fosse chitarrista provetto, la scrittura risulti confacente e richieda aggiustamenti davvero minimi. In più, in questa registrazione Della Chiara usa solo strumenti d'epoca realizzati dalla famiglia Stauffer (Johann Georg e Johann Anton) e coerentemente si affianca a un fortepiano Graf del 1825. La scelta programmatica si concretizza all'evidenza dell'ascolto: lo spessore sonoro è in perfetto equilibrio, il vocabolario timbrico e dinamico è condiviso e permette un dialogo naturalissimo, valorizzando sfumature delicate e intima cantabilità. Questo senso di cantabilità - intesa, sì, come afflato lirico, ma anche come gestione dei colori e articolazione di fraseggio - è comun denominatore dell'intero programma, che vede sia la chitarra unica protagonista di una serie di Lieder trascritti da Johann Kaspar Metz, sia ad accompagnare la voce nei sei brani schubertiani dell'album compilato dal compagno di studi e amico Franz Xaver von Schelechta.
Nel salotto di Schubert, incontriamo la chitarra in tre ruoli, con tre volti: in duetto strumentale, pur ereditando la parte di un parente scomparso; voce solista; accompagnamento al canto. Si rende via via evidente quanto, poi, le carte si rimescolino, la dialettica con il fortepiano sia in continua evoluzione, il discorso solistico comprenda in sé tutta l'architettura del Lied, il tenore non abbia solo un sostegno ma anche un interlocutore. La sensibilità belcantista allo stile dei primi decenni dell'Ottocento, ai tratti comuni e condivisi che attraversavano l'Europa fra accademie, salotti e teatri d'opera è, con lo spirito di ricerca, la caratteristica principale di Della Chiara e lo si avverte in una morbidezza che sta alla base dell'idea del suono e non si disgiunge mai dal senso di varietà e coerenza di senso ed espressione. La filologia, insomma, come risorsa estetica e creativa, non come arido manuale d'istruzioni. Nondimeno, il tocco di Davide Cabassi al fortepiano restituisce tutto il valore dello strumento d'epoca, di una meccanica che non offre potenza, brillantezza, ampi spettri dinamici, ma consente di cesellare sfumature morbidissime, si avvicina davvero all'ideale del "cantar che nell'anima si sente", a una dimensione poetica più vicina al mondo sonoro di Schubert. Allo stesso modo il tenore Mert Süngü, che a teatro frequenta i Mozart e i Rossini più sofisticati, ma anche il repertorio semisommerso a cavallo fra XVIII e XIX secolo, si immerge nella bolla privata di questi Lieder stretti accanto alla chitarra. I colori, le dinamiche, il peso delle parole non possono essere i medesimi con ogni strumento e Süngü dimostra scaltra intelligenza nel misurare il suo canto e cogliere un equilibrio delicato fra intimità familiare e raffinata eleganza, fra leggerezza affabile e consapevolezza intellettuale. Si fa musica fra amici, ma musica di grandissimo spessore. Una perla è, poi, fra le trascrizioni, il Lied Die Nacht, di cui non si conosce che questa fonte e, dunque, per l'idiomaticità dell'accompagnamento, potrebbe anche essere concepito in origine proprio per voce e chitarra.
Un ultimo plauso alle note di Fabio Rizza, assai utili per analisi e inquadramento storico, e dello stesso Della Chiara, prezioso approfondimento dal punto di vista dell'interprete.