L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Sfarzo e virtù

di Roberta Pedrotti

G.F. Handel
Theodora
Oropesa, DiDonato, Bénus-Djian, Spyres, Chest
direttore Maxim Emelyanychev
Coro e Orchestra Il pomo d'oro
3 CD Erato, 5054197177910, 2022

Il lusso non è sempre vano. Sembra un ben strano insegnamento per un oratorio agiografico che celebra la virtù e la fede difese fino al martirio. Eppure non c'è contraddizione, ché questa Theodora ci insegna come lo sfarzo della locandina non contraddica l'altezza solenne e putibonda del testo, la sottigliezza psicologica tutta ripiegata in un intimismo prezioso ed essenziale.

Lisette Oropesa, Joyce DiDonato, Michael Spyres: subito si pensa a folgori di belcanto, alle più audaci espressioni di Rossini o Donizetti. Ma quel che li ha fatti e li fa grandi nel virtuosismo ottocentesco non è (soltanto) la pirotecnia, quanto soprattutto la classe. E la classe è la cifra distintiva di questo Handel maturo, che ormai ha abbandonato l'opera ed è giunto alle ultime esperienze con il genere dell'oratorio, l'unica ispirata all'agiografia cristiana e non a soggetti biblici, mitologici o allegorici.

La libertà dai codici operistici consente, nella concatenazione delle arie, di svincolarsi dall'alternanza obbligata di carattere, fra patetico e virtuosistico, concentrandosi piuttosto su dualismo fra cristiani e pagani. Così, Oropesa come Theodora non ha da esprimere funambolica eroismo e frivolezza, ma da giostrare in punta di fioretto la fermezza ispirata e dolente di una casta nobiltà. Il suo canto deve essere celestiale, liliale e mantenere quella franchezza e compostezza che ne facciano un vero exemplum con cui simpatizzare e palpitare. Altrimenti, il rischio di freddezza o di piagnisteo sarebbero dietro l'angolo, invece di essere spazzati via dall'arte del porgere e di cesellare suono e accento di Oropesa. Parimenti, Joyce DiDonato offre una lezione di stile nella parte di Irene, che, non avendo nemmeno il crisma della protagonista martire, potrebbe facilmente derubricarsi a pallida confidente, se non fosse per la bellezza delle arie. Qui il mezzosoprano statunitense non gioca in difesa, appagandosi dello charme e dell'esperienza, ma fraseggia sapiente nella morbidezza di un'emissione ben salda. Entrambe, nobili e cristiane, privilegiano un canto disteso, pacato, patetico, condividendo il linguaggio con il Didymus del controtenore Paul-Antoine Bénos-Djian, artista in ascesa, non ancora una star come le colleghe, ma nondimeno ammirevole per l'omogeneità di un timbro vellutato che evoca il modello del primo interprete, quel Gaetano Guadagni che creò l'Orfeo di Gluck. Cristiano sì, ma anche ufficiale romano e dunque portato pure alle espressioni più baldanzose che si accentuano nel mondo pagano. Speculare, in tal senso, è il rapporto con il Septimius di Michael Spyres, collega militare e amico, uomo retto, ma pagano: la sua linea è più virtuosistica, ma l'intelligenza dell'interprete trova la forza anche declamatoria che le è propria senza puntare sulle bruniture e i contrasti ammirati in altre parti. Lo Spyres che si diverte – non senza profitto – a fare il baritenore anche più bari che tenore qui conferma la sua maestria nel dominio della voce in ogni aspetto e inventa un colore classico, eburneo, in perfetta sintonia con la scrittura handeliana, che procede verso la semplicità e la chiarezza ascendendo con lo spirito, mentre connota il mondo pagano con un'esuberanza al limite dello stravagante nell'orchestrazione e nei cori e in una scrittura parimenti assertiva ed estroversa per il governatore di Antiochia Valens, John Chest. Questi, come i colleghi, vanta il vantaggio idiomatico del madrelingua e, frequentando anche il repertorio otto e novecentesco al pari di buona parte del cast, si presta assai bene, con la giusta dose di aggressiva spavalderia ma senza scomporsi troppo, alle esigenze dell'oratorio handeliano.

Maxim Emelyanychev colpisce subito per una certa brillantezza di suono, tuttavia quando al coro dei Pagani succede quello dei Cristiani il contrasto è ben evidente, l'irrompere della severità irradiata di una luce non inferiore ma diversa dà subito la misura della tragedia che, pur concludendosi con la morte di Theodora e Didymus e trattando argomenti scabrosi (la protagonista è dapprima condannata alla prostituzione e allo stupro), s'innalza alla beatitudine. Il finale è di morte, ma anche di salvezza, incorona il trionfo della virtù e dell'amore: dunque, se il mondo pagano è colorito nella sua sensualità, quello cristiano è sereno e luminoso anche nel dolore. Sia lode, allora anche al coro e all'orchestra Il pomo d'oro, che animano questo contrasto.

E sia lode allo sfarzo virtuoso di una locandina che non si perde in vanità, ma cerca l'essenza del testo.


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