Le sinfonie della Scala
di Roberta Pedrotti
Bellini, Boito, Catalani, Donizetti, Giordano, Leoncavallo, Puccini, Ponchielli, Rossini, Verdi
Overtures, Preludes & Intermezzi
Riccardo Chailly, direttore
Filarmonica della Scala
Milano, Teatro degli Arcimboldi, 26 e 27 giugno 2016
CD DECCA 483 1148, 2017
Sacrosanto è il principio ispiratore di questo CD: ricordare, a dispetto di ogni pregiudizio, che la produzione musicale italiana del XIX secolo, e decenni limitrofi, non patisce alcuna inferiorità congenita rispetto alla tradizione strumentale e armonica d'Oltralpe. Riconoscere che il melodramma ha costituito il fulcro musicale della Penisola non significa rinnegare la circolazione internazionale di idee, né tantomeno avallare il superficiale luogo comune che vede da un lato fiorire sinfonia e dottrina armonica, dall'altro melodia ed effetto teatrale. Giustamente Fabrizio della Seta, nelle note di copertina, non manca di sottolineare quanto abbiano dato al canto e alla scena Schubert o Wagner, quanto Rossini o Verdi abbiano saputo dare valore all'orchestra ed escogitare finissime soluzioni, solo indirizzate a contesti diversi.
Ben venga, allora, l'incisione prestigiosa di pagine strumentali più o meno note della nostra tradizione dal Belcanto al Verismo; tutte d'origine teatrale, ma non per questo svilite da una pretesa schiavitù alle convenienze melodrammatiche. Eletto il debutto alla Scala a filo conduttore, per quanto non rigorosissimo (molte sono le opere, come il Mefistofele o Madama Butterfly, che differiscono assai nella versione definitiva o consolidatasi come corrente rispetto a quella effettivamente nata al Piermarini), il programma in realtà si profila piuttosto eterogeneo, soprattutto per la distribuzione in ordine non cronologico. Senza affidarsi unicamente alla trattazione piacevole, eloquente, ma comunque discorsiva dell'ottimo Della Seta, utile sarebbe stato, pertanto, porre subito sotto gli occhi anche dell'ascoltatore interessato non necessariamente edotto di finezze musicologiche le date d'esordio di ogni titolo e le versioni di riferimento utilizzate per questa incisione, che rischia altrimenti di presentarsi come un classico pot-pourri senz'altre ambizioni.
Saltando da un brano all'altro, anche senza seguire un percorso predefinito, balzano all'attenzione ancora una volta la squisita fattura della sinfonia da Un giorno di regno (a torto ritenuta opera poco riuscita e ammantata di leggende) o di quella miniatura di concerto per violino e orchestra che Verdi inserì nei Lombardi alla prima crociata. Si ammira il paradigma formale dell'ouverture rossiniana, generata e riplasmata da classicissimi, ferrei studi, e la successiva sintesi sia in Norma sia in Ugo, conte di Parigi, partitura dallo straordinario, torvo potenziale drammatico, drammaticamente tarpato dalla censura che ne azzoppò caratteri e intrigo già sul nascere. Il magistero d'orchestratore di Puccini è evidente in Madama Butterfly, ma desta stupore nel (giustamente) negletto Edgar, in cui echi di valzer oscillano fra l'evocazione del puro idillio con Fidelia e la perdizione al fianco di Tigrana.
Sul secondo Ottocento si allunga l'ombra di Wagner a rintuzzare le ambizioni delle nuove generazioni, affascinate dal mito del demiurgo del dramma musicale, sovente bramose di recidere l'ingombrante cordone ombelicale con Verdi, Bellini, Donizetti, Rossini, scrollandosi di dosso quella che ormai sentono come etichetta provinciale. D'altro canto, l'accusa di wagnerismo rinverdisce quella di filogermanismo mossa già al Pesarese e tocca inopinatamente tutta la maturità verdiana, là dove si smorzino cabalette, si saldino numeri chiusi, si sviluppi la drammaturgia e l'importanza del tessuto orchestrale. In questo scontro fra seduzioni wagneriane vere o posticcie, sdegnate o bramate, si pone sicuramente lo sguardo di Catalani, se non geniale almeno franco nel tracciare una via personale che non rinneghi la tradizione italiana e guardi con interesse anche alla tragédie lyrique. V'è, poi, il genio indomito di Boito, coltissimo, idealista, impossibile da ingabbiare in una definizione univoca. Non altrettanto Leoncavallo e Giordano, per i quali l'attenzione, più o meno animata da aneliti intellettuali, al panorama internazionale e all'emancipazione da quelli che son sentiti come formule e stereotipi rischia di sfociare nell'imitazione di altre formule e stereotipi, pagine anche di ottima fattura (specie il Preludio al second'atto di Siberia) e indiscutibile efficacia teatrale, benché non del tutto svincolate dai modelli e condotte ad alti e altri esiti. Le vie tortuose del melodramma italiano fra XIX e XX secolo, così ben delineate fra squarci audaci e suggestivi o vicoli ciechi da Rubens Tedeschi in Addio fiorito asil, sembrano sempre dibattersi fra i due poli, opposti e insidiosamente simili, individuati da Boito: Forma e Formula.
Anche in un ventaglio così variegato d'intenti, ispirazioni e risultati, è encomiabile la volontà di Chailly di improntare la sua direzione musicale alla valorizzazione di un repertorio sottovalutato (pensiamo alla povera Giovanna d'Arco verdiana, che l'inaugurazione scaligera del 2015 ha ripresentato nel massimo fulgore musicale, vocale e teatrale - leggi le recensioni: Milano, Giovanna d'Arco, 07/12/2015 e Milano, Giovanna d'Arco, 21/12/2015 ), aprendo un discorso più ampio di quello stantìo che vuole l'Italia del melodramma come provincia retrograda dell'arte europea. Proprio per questo, però, ribadiamo quanto sarebbe stato più opportuno puntare con decisione a un'impostazione che valorizzasse maggiormente il progetto culturale sull'immagine della semplice raccolta di brani amati dal maestro, allettante biglietto da visita per il suo lavoro con l'Orchestra.
La Filarmonica della Scala suona senz'altro bene, tersa e fine nel seguire la bacchetta di Chailly che con questo CD pare voler fare anche un manifesto programmatico della sua personalità d'interprete alla guida del teatro meneghino. Soprattutto nel primo Ottocento, ama tempi spediti (emblematico il precipitarsi della sinfonia di Un giorno di regno, qui citato con l'originario titolo Il finto Stanislao, per la gioia postuma del compianto Alfredo Mandelli), si fa apprezzare in particolare nell'amatissimo e congenialissimo Puccini, piacevolmente esatto e scevro da ogni melensaggine. Questa stessa ricerca di pulizia, questo contegno espressivo che rifugge ogni effetto giova sicuramente al repertorio più tardo, per quanto la levità scattante impressa alla Danza delle ore si sarebbe forse giovata di un gioco un po' più spiritoso, quasi, invece, Chailly, asciugasse ogni discorso tendendo a una sorta di cristallino grado zero dell'interpretazione, a un'essenzialità estrema di lettura. Scelta coerente, non priva di efficacia in più d'un caso, ma altrettanto insidiosa là dove un fraseggio più chiaroscurato, un pizzico d'ardimento in più nel gioco di colori, dinamiche e agogiche - così nitide e rigorose da ammiccare ai margini dell'algore - avrebbe contribuito non poco alla causa di un'incisione che non ambisce ad essere semplicemente una collana di brani ben eseguiti da una buona orchestra con un direttore di pregio e registrata con tutti i crismi che l'occasione sollecita.