L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Bellini: i colori del canto

 di Roberta Pedrotti

 

V. Bellini

Arie da camera

Maxim Mironov, tenore

Richard Barker, pianoforte

Illiria Production (www.illiria.de) 2017

Non c'è un solo modo per intendere che un'incisione sia una bellissima incisione. Può trattarsi di esecuzioni eccelse, di programma ricercato, di qualità tecnica superiore, di riscoperte e ricerche adeguatamente valorizzate. Ci sono splendide antologie di pezzi celebri che di per sé non avrebbero nulla di speciale ma meritano un posto d'onore per il come e per il chi più che per il cosa; ci sono gemme rare che splendono di per sé anche al di là dell'interpretazione. E poi ci sono casi in cui un progetto d'altissimo interesse musicale, storico ed estetico investe magari un repertorio non ignoto ma nemmeno iperpopolare e lo fa in maniera indissolubile dalla qualità, dall'intelligenza e dalla personalità degli interpreti. Ecco, allora, La Ricordanza, un piccolo capolavoro firmato da Maxim Mironov e Richard Barker per Illiria, nell'ambito di un progetto che prevede una serie internazionale di concerti, la possibilità di ascolto e acquisto in formato digitale o tramite CD fisico, disponibile pure in una speciale serie limitata.

La lista delle tracce inanella arie da camera di Bellini, nella maggioranza piuttosto celebri come amati pezzi da concerto di tanti cantanti ambosessi. Bene, l'occasione è sempre gradita per rispolverare con la dovuta attenzione, in un programma monografico che non le veda schiacciate da più ingombranti presenze melodrammatiche, queste perle degne di figurare accanto al blasonato repertorio liederistico. C'è, però, molto di più: per undici tracce è utilizzata una copia di un pianoforte Graf, mentre per le restanti otto abbiamo un Pleyel parigino originale. Si tratta, quindi, di strumenti in tutto e per tutto simili a quelli che suonavano Beethoven, i coniugi Schumann-Wieck, Chopin, Rossini e, inevitabilmente, lo stesso Bellini. Si tratta di strumenti che, grazie alla maggiore tensione delle corde resa possibile da elementi metallici, crescono in pienezza di suono rispetto ai modelli precedenti, benché siano ancora troppo delicati per l'irruenza di un Liszt già proiettata verso il pianoforte moderno, dotato anche di un'incordatura incrociata assente nell'Europa degli anni '30. Il primo, evidente, effetto è riconoscibile nel colore, assai meno standardizzato che nella meccanica attuale (il Graf suona leggermente più chiaro e metallico, più morbido e lievemente nasale il Pleyel). Queste specifiche timbriche sembrano nate appositamente per accompagnare la voce, e non stupisce che questa sia stata un'epoca d'oro del Lied tedesco e che Rossini, da bravo alfiere del “cantar che nell'anima si sente”, possedesse appunto un Pleyel. Maxim Mironov sviluppa un'incantevole sintonia poetica nel duettare ora con il Graf ricostruito ora con il restaurato Pleyel, sfoderando, con la grazia del poeta, un fragrante ventaglio di sfumature. Questo anche grazie alla sensibilità di Richard Barker: facile, troppo facile, sotto dita meno attente, far apparire questi strumenti d'epoca come reperti archeologici perfino goffi e polverosi, mere curiosità un po' fini a sé stesse. In realtà alle caratteristiche tecniche corrispondono esattamente caratteri estetici e musicali. L'elaborazione del sistema di scappamento dei testi (in sostanza, quello che determina i tempi e le modalità di rilascio della corda da parte del martelletto e il loro controllo con il tocco del tasto) si evolve proprio in questi anni e, insieme con la disposizione parallela delle corde, determina gli armonici, le risonanze simpatiche, i tempi minimi e massimi di espansione di una nota. Incidono quindi sull'agogica, sulla dinamica, sul fraseggio. Leggermente più veloce, appare per esempio l'esecuzione sul Graf e in generale i tempi sono più svelti rispetto alla consuetudine consolidatasi con pianoforti moderni. L'ascolto, soprattutto quando (con La Ricordanza e Vaga luna che inargenti) si compara una stessa aria su due diverse tastiere, rivela non solo una nuova tinta, ma una nuova tinta che proviene da nuovi, anche sottilissimi, dettagli nel tempo e nell'armonia. Il fatto che, poi, nel recente concerto pesarese con Michele Pertusi [leggi la recensione] Barker abbia staccato su un luccicante Steinway per Malinconia ninfa gentile un tempo assai simile a quello che ascoltiamo qui su un Graf dimostra come non solo lo studio degli strumenti d'epoca possa offrire illuminanti esecuzioni con gli stessi, ma offra anche preziose indicazione per approcci con strumenti moderni. Lo “storicamente informato” può, insomma, ribaltarsi felicemente anche in “informato della storia”.

Quale sarà, dunque, la discriminante per determinare non solo una bella incisione, ma una grande incisione? Chi, cosa e come in questo caso coincidono, ché i brani non sarebbero tali se non fossero interpretati in questa maniera, e l'arte di tenore e pianista si esalta, in perfetta fusione, proprio per il progetto condiviso, per la scelta interpretativa, per la sua applicazione a questi pezzi. E così, questo non è solo uno splendido CD, è un piccolo, raffinatissimo capolavoro.


 

 

 
 
 

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