L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Fra Varsavia e Venezia

di Roberta Pedrotti

Mielczewski, Foerster, Zieleński, JarzębskiSzarzyński

Gems of the Polish Baroque

Ensemble Giardino di Delizie

Ewa Anna Augustynowicz e Katarzyna Solecka violini · Cristina Vidoni violoncello · Silvia de Maria viola da gamba · Paola Ventrella tiorba · Elisabetta Ferri cembalo e organo. Ospiti: Elena Bianchi dulcian · Fabrizio Carta tiorba · Amalia Ottone viola da gamba · Marco Contessi violone

Registrazioni effettuate a Nepi in aprile e maggio 2019

2CD Brilliant Classics 95955, 2020

Generazioni diverse circoscritte nell'arco di all'incirca un secolo e mezzo, fra la nascita del più anziano (Mikołaj Zieleński, 1560) e la morte del più giovane (Szarzyński, 1713). Così l'ensemble Giardino di Delizie, dopo aver debuttato in CD con il barocco romano, si dedica all'altra tradizione rappresentata dalle sue componenti (e dalla direttrice artistica, la violinista Ewa Anna Augustynowicz), quella polacca.

I rapporti fra Italia e Polonia, d'altra parte, sono antichi ed evidenti. Si parla una stessa lingua, seppur con inflessioni diverse e anche quando non si hanno prove di viaggi nella Penisola, o si ha la conferma che le Alpi non siano proprio mai state varcate, l'interesse per la scuola italiana è evidente, sarà anche per le predilezioni della casa reale che, inevitabilmente, dettano la moda. Sbaglierebbe, però, chi s'incaponisse a fare della storia della musica - e delle arti in generale - storia di scuole nazionali e magari di rivendicazioni che dal patriottico possono virare al vieto nazionalismo, tanto più che all'inizio del XVII secolo questo parrebbe pure anacronistico. Punti di riferimento, scuole, centri d'attività e dottrina sono nodi di contatti, luoghi d'incontro, fuochi da cui si irradiano movimenti di uomini e idee. Il riferimento ai modelli italiani, conosciuti direttamente o meno, non esclude l'invenzione personale, la memoria non solo di composizioni e prassi subalpine, ma anche di ritmi e spunti melodici del nord Europa. Basti pensare che, se i titoli sono quasi tutti in italiano o in latino, fra le canzonette di Jarzębski troviamo una Berlinesa.

L'incontro che non si consumò solo sulla carta pentagrammata, ma anche con suggestioni intellettuali a più ampio spettro e con il movimento di strumentisti e cantanti che costituirono anche ensemble italo-polacchi. Il risultato, affidato in continuità storica proprio a un affiatato ensemble italo-polacco, dimostra tutta la vitalità di una scuola che non è composta da epigoni ed emuli diligenti, ma possiede una sua propria vitalità, come sempre quando idee, dottrine, arti e tradizioni si confrontano e s'intrecciano, tant'è vero che alcune di queste musiche furono stampate anche a Venezia. L'organico di base, quartetto barocco d'archi con tiorba e tastiera (organo), si arricchisce all'occorrenza di una seconda tiorba, di un'altra viola da gamba o di un violone, in due casi anche del dulcian, un antico fagotto il cui colorito pastorale sviluppa non solo il potenziale coloristico, ma anche l'articolazione stessa dell'architettura compositiva. Là dove, nel cd dedicato al barocco romano, avevamo apprezzato la morbida compattezza degli archi, ci troviamo ora a constatare l'abilità nel declinare quella stessa concezione del suono in accostamenti diversi, magari meno sofisticati quanto a contrappunto, ma capaci di esprimere una continuità stilistica in diversi affetti, texture e fraseggi mobili, com'è giusto che sia. Siamo intorno al '600, epoca di contrasti, opposti, sorprese, l'epoca del metodo cartesiano dopo il secolo segnato nelle scienze dall'italiano Galileo e dal polacco Copernico, ma anche l'epoca dell'iperbole fantastica, del macabro e del grottesco, dell'estasi carnale e spirituale, dell'effetto stupefacente e dell'affetto ragionevole dell'Arcadia. Guai sarebbe anestetizzare anche questa musica in esercizio di stile, trasformare questi compositori polacchi inebriati di suggestioni e modelli lontani in opachi adepti di una maniera. Ecco qui, con passione e competenza, che anche un repertorio seminascosto, magari privo di scintille di genio, riluce nella sua giusta dimensione storica, nel suo intrinseco valore.


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