La farfalla straziata
di Roberta Pedrotti
Hirofumi Yoshida e Valentina Brunetti, direttore e regista, firmano un ottimo lavoro di squadra al servizio di Madama Butterfly. Si loda anche l'iniziativa del Comunale di mettere a disposizione, per il debutto della Brunetti, il versatile allestimento già di proprietà del teatro. Nulla vale, però, a salvare la serata se la protagonista è totalmente insufficiente.
BOLOGNA, 14 febbraio 2015 - L'annuncio è sintetico, essenziale, senza ulteriori spiegazioni: “Questa sera il ruolo di Cio Cio San verrà sostenuto da Mina Tasca Yamazaki”. Il soprano già previsto in seconda compagnia è dunque subentrato in prima, come possiamo dedurre non ancora dal sito e dalle locandine del Comunale, ma dalla pagina web dell'agenzia di Olga Busuioc, vincitrice nel 2011 del concorso Operalia a Mosca e annunciata come Cio Cio San della première, che indica chiaramente l'avvenuto scambio di recite.
Resta il dubbio sulla motivazione dell'avvicendamento, mentre nessun dubbio è dato sull'esito della serata, che conferma come, se normalmente la solidità di regia e direzione possono garantire il decoro della recita, in Madama Butterfly il valore del soprano è fondamento imprescindibile su cui si basa quello dell'intera produzione. E qui, nonostante i buoni uffici di Hirofumi Yoshida sul podio e di Valentina Brunetti per la direzione scenica, scivoliamo inesorabilmente nella profondità dell'abisso.
Già dalla sortita, la Yamazaki mette i brividi, e non in senso positivo, per il legato macchinoso e brachilogico, per gli acuti stanchi e calanti, per un timbro chioccio e raggrinzito che risulterà particolarmente petulante non solo nell'annunciare i “Quindici netti netti”, ma perfino in “Pigri ed obesi son gli dei giapponesi”. La voce è fioca e opaca nel registro centro-grave, pervasa da una spossatezza che le impedisce anche solo di dire le frasi più drammatiche – nelle quali non riesce nemmeno a rifugiarsi in un parlato che sarebbe stato censurabile nel gusto ma almeno volonteroso nel temperamento. “Vespa! Voglio che tu risponda!” o “Va', va'. Te lo comando.” sono solo alcuni momenti che affogano nella nebbia di un tentativo impotente.
Manca l'artista, manca la voce. “Un bel dì vedremo” ci affligge, ma non per lo strazio della povera fanciulla abbandonata, bensì per quello della musica pucciniana, fraseggiata in modo tanto goffo, stentato, senza mai una scintilla di smalto o, almeno, personalità. Stessa sorte anche per “Che tua madre dovrà” o “Tu, tu, piccolo Iddio”, ma irradiata capillarmente in ciascuna delle piccole, preziose frasi che rendono la tragedia di Cio Cio San il capolavoro straordinario che è. Sarebbe, peraltro, inutile cercare una linea interpretativa, un'idea, un guizzo a increspare tanta desolazione. Voce frusta, limitata, tecnica insufficiente, musicalità latitante, personalità trasparente. Tutto l'opposto di quel che si richiederebbe non solo per Madama Butterfly, ma per un qualsiasi ruolo di primadonna: avendo sostenuto tutte le prove, prevista in locandina, anche se non i prima compagnia, dall'inizio non possiamo concedere l'attenuante della sostituzione all'ultimo momento, e, anche se fosse possibile, i problemi erano tali e tanti da non poter trovare giustificazione se non in una totale inadeguatezza o in una grave indisposizione.
Il resto del cast fa da contorno, come è normale che sia in quest'opera. Luciano Ganci ha squillo che esibisce con stentorea baldanza, ma gli manca la musicalità per tornire e sostenere sempre a dovere le frasi più liriche, come nella perfida e sventata seduzione del primo atto o nel tardivo pentimento del terzo. Filippo Polinelli è un sicuro Sharpless di tradizione, mentre Antonella Colaianni come Suzuki conferma le qualità interessanti già notate in precedenti occasioni, e le si consiglia solo di evitare ogni rischio di compiacimento nella ricerca di un suono mezzosopranile che è già nella sua natura. Saverio Bambi presta una vocalità ormai stanca e infiacchita a un Goro che dovrebbe, invece, essere quantomeno pungente. Curioso, poi, come si sia pensato a un bravissimo baritono comprimario e caratterista come Nicolò Ceriani per un ruolo da basso come lo Zio Bonzo (che risolve sempre con professionalità), mentre si trova nelle poche ma decisamente baritonali battute del Commissario imperiale il basso Luca Gallo, pure valida risorsa per le parti di fianco. Alessandro Busi è Yamadori, Enrico Picinni Leopardi Yakusidé, Mauro Marchetto l'ufficiale del registro, Marie-Luce Erard, Rosa Guarracino e Maria Adele Magnelli le parenti di Cio Cio San, Francesca Vergata il bimbo. Il coro compie il suo dovere con puntualità.
Si diceva che la débacle della protagonista ha reso inutili i buoni uffici di concertatore e regista. Non per questo non possiamo non render merito a Hirofumi Yoshida di aver lavorato con estrema cura, mettendo in luce soprattutto una scansione dinamica fluida, vivace e assai teatrale sia sotto il profilo metrico-ritmico sia sotto quello agogico. Per quanto non sia mancato qualche scollamento con il palcoscenico (ma la responsabilità sembrava tutta della musicalità ondivaga della protagonista) sono piaciuti sia la teatralità sia la sensibilità al dettaglio e ai colori, con una buona resa dell'orchestra soprattutto negli archi e nei legni. Valentina Brunetti ha alle spalle una solida gavetta attorno alla cabina di regia e apprezziamo molto l'idea sacrosanta di utilizzare un allestimento – elementi scenici e costumi, a firma rispettiva di Giada Abiendi e Massimo Carlotto – già di proprietà del teatro per permettere a un giovane regista di firmare i suoi primi lavori e accumulare costruttiva esperienza. I magazzini del Comunale traboccano di tesori, e vale senz'altro la pena non realizzare sempre nuove produzioni, poiché un talento sa farsi notare anche e soprattutto lavorando con ciò che gli viene messo a disposizione, senza considerare che sono poche le eccezioni in cui la collina sopra Nagasaki cambi di molto nella sua rappresentazione, per lo più versata all'essenzialità minimalista. Questi elementi ebbero una prima vita a Bologna nel 2009 con la regia di Osvaldo Salvi, hanno visitato numerosi teatri italiani nella nuova lettura di Fabio Ceresa, tornano ora a casa affidati alla Brunetti, che ha il pregio di non esser banale senza cercare l'originalità a tutti i costi. Qualche sbavatura o qualche dettaglio superfluo (la prolessi iniziale con il figlio di Cio Cio San cresciuto che torna in Giappone e incontra l'anziana Suzuki) si son potuti notare, ma son davvero poca cosa rispetto alla cura della recitazione – perfetta la costruzione del rapporto fra Pinkerton e la geisha nel primo atto – e alla sobria efficacia dell'insieme. Piace poi segnalare la soluzione ben trovata di collocare l'inizio dell'opera nell'ufficio del consolato dove l'ufficiale contratta con Goro, riceve i servitori e conversa con Sharpless; il cambio scena all'ingresso di Cio Cio San è ben realizzato, con coerenza e varietà narrativa. Un debutto decisamente promettente.
Ma, l'abbiamo detto, non basta. Se la farfalla non vola – come aveva profetizzato Pascoli – ma si dibatte a terra con le ali malconce fin dal suo primo apparire, c'è poco da fare. Solo constatare la generosità di un pubblico che (dopo qualche inspiegabile risolino in platea nei primi due atti, per esempio alle battute sull'ornitologia) applaude tutti indistintamente, riservando al solo Ganci un isolato – e nel complesso ingeneroso se rapportato alla pochezza del soprano – Bu.
Siamo a Carnevale: evidentemente lo spirito della festa, esplicitato anche in mises più esuberanti del consueto, ha reso tutti più buoni.
foto Rocco Casaluci