Il passato che brucia
di Isabella Ferrara
Bordello di mare con città di Enzo Moscato per la regia di Carlo Cerciello, una prima assoluta al teatro Bellini di Napoli dal 25 ottobre al 6 novembre 2016.
NAPOLI, 28 ottobre 2016 - Il Bellini apre questa stagione teatrale con la messinscena del passato che sa essere attuale, per virtù artistica che regala pezzi di vita e di teatro all’immortalità, con i suoi stessi creatori ed interpreti, o per vizio umano che ricade eternamente negli stessi errori ed orrori, che compie il suo ciclo vitale tessendo una tela, come fa il ragno, in cui essa stessa umanità resta intrappolata, ripetendo nel tempo la danza del peccato, la musica dell’amore, la cantilena dell’oscillare fra l’uno e l’altro senza mai trovare equilibrio.
In scena l’opera dell’autore napoletano Enzo Moscato, scritta nel 1987, racconta la singolare esistenza e resistenza delle abitanti di un ex bordello dell’epoca fascista, chiuso in seguito alla legge Merlin del 1958.
Quattro donne e una bambina abitano le stanze che furono luogo di prostituzione, e che sembrano diventate ospizio per la particolare santità di una ex prostituta, Assunta, interpretata da una determinata Fulvia Carotenuto, dedita da anni a una vita di sacrifici, castità e pentimento; la sua fama di donna buona e pietosa cresce nel vicolo che vive intorno all’ex bordello, soprattutto in seguito alla miracolosa guarigione, a opera di Assunta e delle sue preghiere, di alcune prostitute che frequentano la casa da uno strano male, un male di mestiere, che assume, però, sembianze di un male peccaminoso guarito dalla nuova “missione” della donna Assunta e della sua casa. Un nuovo tipo di conforto dalle pene della vita, stavolta degno dell’attenzione della Chiesa, in forma di visita del Cardinale, l’attore Lello Serao molto convincente nelle vesti del potere e della vergogna.
Accanto ad Assunta vivono e sopravvivono altre due prostitute miracolate, che continuano, in segreto, a guadagnarsi da vivere come in passato, e Titina, una donna volitiva, decisa a trarre il massimo beneficio per se stessa e per la figlia da un caso tanto unico e dal suo forte potere attrattivo di curiosità e, soprattutto, di elemosine.
Ed eccoci nel pieno della vita, e dello scandalo di alcune vite. Il sacro che si macchia del peccato della carne, dei più luridi e vergognosi, che solo con la morte dell’innocenza può presentarsi in pubblico; il peccato che tende eternamente al perdono, alla purificazione, ma non sa davvero arrivarci. Il desiderio e il bisogno del possesso materiale che procede senza lasciarsi ostacolare da alcun pentimento; la vendetta che lungi dall’avvicinare alla liberazione e all’equilibrio, conduce solo fin dentro l’abisso sul cui limitare tutti ci muoviamo.
Il testo affronta temi impegnativi con toni privi di pietà, non c’è facile moralismo, né condanne univoche e scontate, la denuncia che lo spettatore può leggere è nella propria stessa esperienza del mondo e della realtà che quelle parole scritte e recitate sanno confermare. Insomma nulla di nuovo si dice e si recita, ma nulla di vecchio resta in silenzio e dimenticato. Sul palcoscenico ciò che ha grande effetto e risonanza sono i quadri fisici e coloristici che gli attori disegnano con le loro movenze, le loro fissità ed immobilità, con i corpi che sono stati e sono esempio di peccato, strumento del peccato. La regia di Cerciello e le luci di Cesare Accetta sanno magistralmente intensificare l’impatto dei colori scelti per colpire l’occhio di chi guarda e corteggiare quel senso comune del già visto e già sentito, nella conferma che il bianco è purezza, è una bambina cresciuta in un bordello diventato santuario, e il rosso è peccato, è vizio carnale, è sangue, è morte di una bambina in un santuario eretto da un ex bordello.
La presenza sul palco dell’autore Enzo Moscato, nelle vesti di un giornalista che legge i fatti mentre risuonano le voci disperate nell’epilogo della tragedia, rimanda ancora a un’idea di teatro del passato, che si è lanciato nel presente con musiche battenti, e che si àncora all’eternità con quel quadro raffigurante in scena la donna del passato che spinge Assunta ad una vita nuova, e fuor di scena l’immagine di Annibale Ruccello, grande voce dell’arte napoletana, scomparso tragicamente, di cui l’autore fu grande amico. E fu proprio alla morte di Ruccello che quest’opera fu commissionata a Moscato, il quale la scrisse versandovi tutto il bruciante dolore della perdita.
Il giornalista alias Moscato, che ha scritto di questo caso, suggerisce a noi pubblico e spettatori, abitanti del vicolo di ogni città e paese, pronti a condannare e poi a osannare e poi di nuovo a bruciare l’altro che pecca, come e quanto noi, di non restare solo a guardare e giudicare, ma di agire con più determinazione nel tentativo di imparare dal passato, di alimentare quel fuoco della vita e della creatività che fanno sopravvivere al di là del materialismo, del possesso, della vendetta, “Chi avette fuoco campaje, e chi avette pane murette”, come sentenzia in scena una delle ex prostitute miracolate.
foto Andrea Falasconi