La scelta autobiografica
di Gina Guandalini
Il ruolo di un attore divenuto celebre fra televisione e pubblicità alle prese con il debutto nel mitico ruolo shakespeariano nella commedia, spiritosa ma non strepitosa, di Paul Rudnik sembra quasi una scelta autobiografica -e per questo azzeccata - per Gabriel Garko. Ugo Pagliai incarna lo spirito guida del grande John Barrymore e spicca Paola Gassman nei panni dell'agente del protagonista.
ROMA, 15 ottobre 2017 - Gabriel Garko non recitava in teatro da sedici anni; da quando affrontò il personaggio di Sir Claude nella complicata commedia Quel che sapeva Maisie (tratta dal romanzo What Maisie Knew di Henry James) con Mariangela Melato, Galatea Ranzi, Anna Maria Guarnieri e la regia di Ronconi. Nessun critico, all’epoca, gli diede una chance, tutti pappagallarono i vieti cliché del “bellone da telenovela” e del “novellino tra i professionisti”.
Adesso, alla Sala Umberto di Roma, Garko ha appena finito di essere protagonista di Odio Amleto, uno spiritoso testo datato 1991 del commediografo statunitense Paul Rudnick – tra le altre cose sceneggiatore non accreditato del film Sister Act: le recite romane hanno fatto parte di una lunga tournée iniziata un anno fa e che continuerà ancora.
Un attore giovane e aitante, Andrew Rally, che ha raggiunto il successo e i guadagni con un serial del filone “ospedaliero” e con la pubblicità, riceve l’offerta di recitare gratis il ruolo di Amleto nel Central Park di New York. Lascia Los Angeles e prima di decidere un di compiere un passo così arduo scopre che la sua stravagante agente immobiliare gli ha trovato l’appartamento newyorkese un tempo appartenuto al leggendario attore John Barrymore: il più grande Amleto della storia – o almeno della storia americana. Sconcertato dalla scricchiolante atmosfera gotica dell’abitazione, timoroso di misurarsi con il teatro “alto” in un ruolo impegnativo come il pallido prence di Danimarca, il giovane si lascia piano piano trascinare dall’entusiasmo della sua agente (Paola Gassman, forse la più brava del cast), dalla fidanzata (che in una sorta di sotto-plot intende restare vergine fino al matrimonio) e dalle sedicenti facoltà di medium dell’agente immobiliare, partecipando a una seduta spiritica per evocale il fantasma di Barrymore. Questo puntualmente appare, nel rituale costume di velluto nero, appena il protagonista resta solo nello spettrale appartamento. Si offre di essere sua guida, di “prenderlo per mano” nello studio del difficilissimo personaggio, come afferma di aver fatto con tutti gli aspiranti Amleti degli ultimi settant’anni. Sei settimane di studi con il fantasmatico Maestro vedono un dialogo in cui battute e brani del capolavoro shakespeariano figurano occasionalmente. Un giovane produttore televisivo californiano promette a Rally contratti pubblicitari milionari purché rinunci a quell’impresa teatrale di cui non capisce la necessità. Dubbio amletico: restare nel genere che fino a quel momento gli ha dato fama e soldi oppure impegnarsi culturalmente? In effetti dopo la prima al Central Park il nostro divo televisivo sente di non aver padroneggiato del tutto il ruolo.
Primo sospetto: che il testo di Paul Rudnick, e le sue commedie in generale, non “viaggino” bene, che il suo umorismo, apprezzatissimo e scoppiettante nella sua patria statunitense, qui da noi risulti più blando. Rudnick non è Neil Simon, ma è talmente popolare in patria da far pensare che qualcosa a noi sia sfuggito. Garko ha visto per la prima volta I Hate Hamlet a Broadway interpretato da Edward Norton ed è rimasto affascinato. Ora, le cronologie e i cronologi del teatro che ho consultato non riescono a collocare nel tempo e nello spazio questa apparizione teatrale del protagonista di Fight Club; ma va detto che I Hate Hamlet è ormai così calato nel repertorio di tutti i teatri statunitensi – grazie anche a quel canagliesco titolo, non dissimile dal giudizio viscerale che Villaggio ha dato della Corazzata Potiomkin – che ricostruirne la cronologia è praticamente impossibile..
Ci si dovrebbe divertire a riconoscere le citazioni shakesperiane, ma questo non avviene: quanti spettatori avranno riconosciuto nelle istruzioni che Barrymore- Pagliai dà a Andrew – Garko sulla gestualità degli attori il famosissimo discorso di Amleto ai guitti? Secondo sospetto: che la traduzione italiana abbia spento o soppresso vari divertenti puns shakespeariani. Negli USA la Bibbia e Shakespeare sono ancor oggi parte integrante del lessico familiare: da noi non lo sono mai stati. E ancora: ma John Barrymore in privato non era più “vantone”, gigionesco e sopra le righe del soave e seducente gentiluomo in calzamaglia presentato con molta classe da Ugo Pagliai ( che curiosamente non ha mai interpretato Amleto) ? Vedi le autobiografie dei giovani ingenui e speranzosi che lo avvicinarono, prima che morisse nel ’42, per ricevere una scintilla della sua fiaccola: uno per tutti Anthony Quinn.
Alla prima di I Hate Hamlet, nel 1991, il fantasma del grande mattatore era impersonato dall’ attore inglese classicissimo Nicol Williamson ( da noi noto per i film Sherlock Holmes: soluzione settepercento, Robin e Marian, Excalibur, L'esorcista III), che prese tanto a cuore il suo ruolo di Pigmalione teatrale e alle prove e in palcoscenico staffilò i giovincelli intorno a sé con tale furore che gli organizzatori dovettero sostituirlo prima della fine delle recite.
Non solo i moltissimi VIP della prima serata romana ma anche il pubblico delle repliche si è certamente posto la maligna questione: ma come recita Gabriel Garko? Prima di tutto, in scena entra un magro trentenne che da lontano non è immediatamente riconoscibile ed è in tutto e per tutto l’esatto personaggio di ’Andrew Rally; l’identificazione fisica è perfetta. Si discute della dizione, della teatralità un po’ spenta del divo: ma si dimentica che qui Garko ha scelto intelligentemente il personaggio giusto, non affronta l’Amleto, ma un dubbio amletico molto moderno: successo televisivo o impegno? Lui stesso ha fatto notare che “certi critici non aspettavano altro che vedermi in un ruolo davvero impegnato per farmi a pezzi. Ebbene, ho deciso di prendermi per i fondelli da solo. Non faccio distinzioni tra cinema, teatro o tv: quando capitano le cose giuste mi piace farle''.
Decisamente debole, anche se strappa molti sorrisi, è la scrittura di Rudnick. Lo stesso titolo della commedia ha senso solo in riferimento ad una singola battuta che Rally pronuncia durante la seduta spiritica, dopodiché ci sono scarse traccie di Amleto o di Shakespeare, in alcune citazioni buttate lì per gioco. Un po' troppo caricaturali le figure delle due spalle femminili, Annalisa Favetti, l’agente immobiliare-medium che procura il sinistro appartamento a Rally, e Claudia Toson, la fidanzata che a ventinove anni non intende perdere la verginità; e qui la colpa è dell’autore. Eccellente ma troppo frenetico nei tempi di recitazione Guglielmo Favilla, che interpreta come un rapper il personaggio dell’amico californiano che ridicolizza Shakespeare e offre in sua vece redditizi contratti pubblicitari. Qui invece la colpa ci sembra della regia. Non c’è presenza o brio nella conduzione teatrale di Alessandro Benvenuti, che di solito è così goliardico per non dire cinico. La seconda parte della serata si trascina un po’, i personaggi – tranne in parte il protagonista e lo spettro di Barrymore – non si sviluppano. Adesso però non vorremmo aspettare altri sedici anni prima che Garko torni in teatro. I testi per lui ci sono, eccome!