Eduardo in Ontario
di Giuliana Dal Piaz
La traduzione inglese, se necessariamente disperde il fascino dell'originale napoletano, permette a un pubblico internazionale di apprezzare la profondità dell'opera di Eduardo nell'ambito dello Stratford Festival.
STRATFORD, 31 agosto 2018 - Dopo il successo di Filumena Marturano, da lui stesso diretta nella stagione 1997 dello Stratford Festival, Antoni Cimolino ha voluto mettere in scena quest’anno Napoli Milionaria, creata da de Filippo nel 1945, proprio quando la seconda guerra mondiale volgeva alla fine. Il risultato è ottimo dal punto di vista teatrale in quanto riesce a riprodurre, nello spazio ristretto di un “basso” napoletano, il mondo che lo circonda, prima sotto il regima fascista e poi dopo lo sbarco degli Alleati nell’Italia meridionale. L’unica cosa che non riesce purtroppo a conservare è il fascino unico e l’innato senso della comicità del dialetto napoletano in cui Eduardo scriveva le sue opere. Dal momento che risulta inevitabile perdere qualcosa dell’originale, mi sembra comunque importante che questo tipo di iniziative permetta al pubblico nordamericano di conoscere meglio un autore che in Italia, e forse anche all’estero, è così importante da essere chiamato col solo nome proprio: tutti sappiamo di cosa si parla quando ci si riferisce al “teatro di Eduardo”!
In una stagione il cui filo conduttore è il libero arbitrio e l’esercizio della libertà personale e collettiva, sottolinea Cimolino nella presentazione di Napoli milionaria: “Nella concezione [eduardiana] del mondo, sembra che l’essenza dell’essere umano sia una fragilità che crea in uguale misura la tragedia e la commedia. [...] Pone l’accento sulla sfera personale e il legame con la comunità. Qual è la nostra responsabilità personale di prenderci cura di figli, amici e vicini? [...] Probabilmente è quanto fa appello al nostro senso di umanità quello che ha permesso a de Filippo di contare su un avido pubblico di tutte le classi sociali”.
Nel caso specifico di Napoli milionaria, la battuta finale del dramma, quel "Ha da passà 'a nuttata" (deve passare la notte), per noi italiani è diventata ormai un paradigma della speranza umana, della certezza che nessun male può durare per sempre e che dopo il buio dovrà pure tornare a splendere il sole.
Il protagonista maschile, Gennaro, è il centro morale dell’opera: è la sua assenza che, assieme alle mutate vicende politiche, cambia le motivazioni di Amalia e di Amedeo: nel 1º atto obbedivano allo stato di necessità, nel 2º e 3º atto è l’avidità la molla che spinge a calpestare affetti, decenza e consapevolezza del male.
L’attore Tom McCamus dà una straordinaria interpretazione del suo complesso personaggio, mostrandone tutte le sfumature e la progressiva presa di coscienza, in modo che alla fine è lui ad aver ripreso il ruolo che gli spetta, di capo e guida della famiglia e del vicinato. Senz’altro buona, ma non altrettanto sfumata, l’interpretazione di Brigit Wilson nel ruolo di Amalia, di cui rende a fatica la durezza, e direi quasi ferocia, di carattere. Dei tabù che si sente di abbattere, resta in piedi solo quello della fedeltà al marito fino a non avere conferma ufficiale della propria vedovanza. È quanto Amalia dice anche alla giovane Assunta: “Fino a che non sei sicura che tuo marito sia morto, sei sposata, anche se non hai consumato il matrimonio!”. Solo di parola è invece la sua solidità nel ruolo di madre, troppo assorbita dalla sopravvivenza prima e dall’avidità poi per accorgersi realmente di quanto avviene attorno a lei, perfino nei riguardi della piccola Rita, la cui malattia definisce inizialmente solo come una “febbre di crescenza”.
Johnathan Sousa è adeguato e convincente nel ruolo dell’irrequieto Amedeo, dalla dirittura morale poco solida, ma riscattato dall’autentico amore per la famiglia.
Non mi ha convinto invece Shruti Kothari nella parte di Maria Rosaria, di cui dà un’interpretazione alquanto accademica. Bravo Michael Blake nella parte del “guappo” di quartiere Errico Settebellizze, che calpesta con disinvoltura le regole dello Stato ma si preoccupa dei guai in cui sta incorrendo Amedeo e rispetta le riserve di Amalia nei confronti del suo corteggiamento.
Assolutamente straordinaria nella parte di Assunta, con il suo fare svampito, le risate incontrollabili e la mimica efficace, la vivace Alexandra Lainfiesta.
Bella e accattivante la scena di Julie Fox, che apre lo spettacolo sui tradizionali panni stesi attraverso i vicoli napoletani, che vengono giù con i bombardamenti, e il “basso” squallido del 1º atto che si trasforma nel rinnovamento kitsch da nuovi ricchi degli atti seguenti. Geniale l’idea di far eseguire la trasformazione tra il 1º e il 2º atto a scena aperta, con alcuni dei comprimarî sul palcoscenico, mentre la radio suona le canzoni di Carosone (di varî anni successive alla data della vicenda, ma particolarmente adatte).
Non mi è piaciuta, invece, l’idea di far parlare l’inglese agli attori come italiani immigrati in Canada, idea che immagino voglia suggerire in qualche modo l’uso del dialetto che nell’originale parlano tutti meno il Ragionier Spasiano.
L’acustica dell’Avon Theatre non è particolarmente buona ed esiste certamente un’amplificazione ambientale, che tuttavia l’altra sera non funzionava bene: a tratti il fischio di un microfono difettoso disturbava l’ascolto, mentre diventava difficile distinguere le parole pronunciate a voce bassa da Gennaro, quando non guardava direttamente il pubblico.
Mi piace concludere con una citazione dalla rivista locale Stage Door: “A prima vista – scrive Christopher Hoile – Napoli milionaria presenta un vivace ritratto realistico della vita nella città prima e dopo l’occupazione americana. Sotto la superficie, si tratta invece di una complessa parabola sulla corruzione morale in tempi di guerra. [...] Comincia con le risate ma si trasforma poi in una profonda riflessione sull’umanità e su quanto ci dobbiamo l’un l’altro per il semplice fatto di vivere...”
Foto di scena di David Hou
NAPOLI MILIONARIA, di Eduardo de Filippo. Nuova traduzione di John Murrell basata sulla traduzione letterale dal napoletano di Donato Santeramo. Stratford Festival 2018.
Avon Theatre, Stratford, dal 17 agosto al 27 ottobre 2018.
Produzione dello Stratford Festival. Regia: Antoni Cimolino. Scenografie e costumi: Julie Fox. Luci: Michael Walton. Suono: Thomas Ryder Payne
Personaggi e interpreti:
Amalia Jovine – Brigit Wilson
Gennaro Jovine – Tom McCamus
Amedeo, loro figlio – Johnathan Sousa
Maria Rosaria, loro figlia – Shruti Kothari
Errico “Settebellizze” – Michael Blake
Peppe “’o crick”, amico di Amedeo – Emilio Vieira
Riccardo Spasiano, ragioniere – Tom Rooney
Federico, amico di Amedeo – Farhang Ghajar
O Miezo Prévete” (altar boy) – David Collins
Il Brigadiere Ciappa – André Sills
Adelaide Schiano, vicina – Chick Reid
Assunta, sua nipote – Alexandra Lainfiesta
Donna Peppenella – Martha Farrell
The Doctor – E.B. Smith
Pascalino ‘o pittore – Sébastien Heins
Teresa, amica di Maria Rosaria – Mamie Zwettler
Margherita, amica di Maria Rosaria – Oksana Sirju