La classe de danse
di Michele Olivieri
Eccellente riscontro alla Scala per il Trittico firmato da uno dei nomi più significativi della coreografia mondiale, con The Prologue nato per il corpo di ballo scaligero ad introdurre gli schemi di The Barre Project (ideato via zoom in piena pandemia) e Blake Works I (architettato per il Ballet de l’Opéra di Parigi).
MILANO 17 maggio 2023 – Non è stata semplicemente una serata di danza, ma bensì un concetto, anche solo per il restyling estetico applicato alla nobile arte. Il tutto ha inizio come fosse una lezione tersicorea, sognata, immaginata e certamente idealizzata. La sua struttura, combinata dal riscaldamento, sbarra e centro, è un momento per istruire il pubblico alle difficoltà che incontrano quotidianamente i ballerini nel loro lavoro e nella loro intimità. La disciplina accademica la fa da padrona, con l’idea di classico rimodernato supportata da uno stile inusitato, ironico, atletico, e soprattutto dinamico. La velocità di esecuzione è l’autentico Leitmotiv dell’evento. Le varie ripetizioni di cui si compone lo schema dei passi avviene in maniera fluida, con tensioni continue, il lavoro è costante e la forza esplosiva ben calibrata permette l’attuazione degli esercizi ad una velocità che, pur rispettando l’armonia di movimento, lascia spazio ad ulteriori accelerazioni. Al centro della creazione di Forsythe, come del resto dell’alfabeto della danza, esiste la ripetizione che è un elemento primario. Quello che si vede ad apertura di sipario è una ripetizione via via leggermente variata, la musica viene percepita con certi passi, poi con altri variati, per proseguire in direzione di altre variazioni. In tale modo il pubblico ha la giusta capacità di avvicinarsi e di visualizzare il processo ideativo. A seguire si presenta nuovamente la ripetizione e questo è un altro livello di contrappunto: così procedendo per reiterazioni mutevoli si risolve il problema della chiarezza strutturale. Non è necessariamente obbligatorio conoscere i passi ma ciò che conta è la netta intuizion e ciò avviene grazie al procedere delle ripetizioni che presentano un’alternanza e una successione di elementi o aspetti differenti. Forsythe ha studiato sia danza classica sia la tecnica di Martha Graham con un occhio al teorico della “danza libera” Laban e in Blake Works V i retaggi della sua formazione con diverse influenze - come l’impostazione metodologica di Balanchine-Vaganova, Bournonville, Cecchetti e non di meno quella con Olga Preobrajenska - hanno forgiato nell’artista l’esatto funzionamento del movimento inverso, delle rotazioni, flessioni ed estensioni. Lo spettacolo racchiude questa miscellanea di vocabolari. Ogni quadro poggia l’essenza sulla tangibilità della disciplina ed è incredibile ammirare come vengano sviluppate le abilità per sciogliere le sfide della forza di gravità e soprattutto dell’equilibrio. Naturalmente, il tutto senza tralasciare i canoni estetici, depositari della bellezza. Ciò è davvero complicato, sia da insegnare sia da recepire. La resistenza richiesta ai danzatori, le linee geometriche disegnate con un immaginario compasso, la memoria sia mentale sia muscolare, la laboriosità degli intrecci è una meraviglia da cogliere, perché avviene con una palpitante energia. La scelta musicale è il motore sognante per assoli, duetti e formazioni di gruppo in rapida evoluzione. Complessivamente le coreografie sono appariscenti, con i grandi salti, il lavoro magistrale sulle punte, i vorticosi giri, le leggiadre pirouettes, i piedi che sfiorano ritmicamente il suolo, le piccole batterie, i delicati port de bras e l’uso sapiente degli épaulements che unitamente danno la misura della solida preparazione tecnica. Ogni sfumatura è stata tradotta in virtuosismo e a tratti in dinamiche inaspettate. Lo spettatore non è sempre accompagnato dal netto battito musicale, però, quando quest’ultimo si palesa, gli esecutori sono obbligati ad una perfetta fusione, altrimenti dalla platea lo si noterebbe. È fondamentale, più che mai, rimanere connessi con il pubblico. Il risultato è una difficile elaborazione teatrale del lavoro durante la lezione quotidiana di danza. Tra la fine della creazione introduttiva e il secondo pezzo The Barre Project, cala un telo bianco in palcoscenico e un breve filmato mostra le mani in movimento sulla sbarra. Ciò per aiutare la comprensione che grazie al contrappunto delle articolazioni introduce al progetto con maggiore chiarezza. Prologue, nato appositamente per il corpo di ballo della Scala su richiesta esclusiva del direttore Manuel Legris, si inserisce al momento giusto come riempitivo della serata. È un elogio alla creatività e all’amore per il balletto, per la versatilità che oggi è richiesta come punto irrinunciabile nelle compagnie internazionali. È un sentirsi a proprio agio nel danzare ruoli in produzioni sia classiche sia d’avanguardia, con un senso di collaborazione e di fiducia tra creatore ed esecutore verso il coronamento della maturità. Non esiste astrattismo nella serata proposta, ma bensì il valore della disciplina, della determinazione e del duro lavoro con una buona dose di impegno, dedizione e rispetto delle regole imposte dai canoni di comportamento. Costumi basilari ed accademici, a ricordare gli anni di studio verso il diploma, firmati dallo stesso Forsythe (con l’aggiunta di Dorothee Merg per Blake Works I). Se non ci fosse stato il lungo intervallo ad interrompere il fil rouge, sostituito magari con una breve pausa a mezze luci, forse la serata sarebbe risultata ancor più perfetta di quella che già è stata. Da segnalare le essenziali luci di Tanja Rühl, e gli assistenti coreografi per i primi due pezzi, Jodie Gates e Noah Gelber, mentre per l’ultimo Stefanie Arndt e Ayman Harper. Applausi calorosi per tutti i danzatori della quarta rappresentazione, nelle figure di Maria Celeste Losa, Giulia Lunardi, Domenico Di Cristo, Navrin Turnbull, Edward Cooper, Francesco Mascia, Saïd Ramos Ponce, Martina Arduino, Alice Mariani, Linda Giubelli, Federico Fresi, Frank Aduca, Gioacchino Starace, Gaia Andreanò, Alessandra Vassallo, Marco Agostino, Christian Fagetti, Darius Gramada, Eugenio Lepera e Andrea Risso. In platea nomi storici legati alla Scala, per rendere omaggio agli ineccepibili ballerini, con il massimo rispetto rivolto a William Forsythe, capace di “vestire” il pubblico di contagiosa freschezza e di ariosa esuberanza. L’impressione è quella di essersi sentiti in mezzo a una grande festa e di lasciarsi trascinare. Forse è proprio questo il segreto del successo.
Michele Olivieri