Dal buio verso la luce, e viceversa
di Michele Olivieri
Inediti debutti per inedite firme coreografiche contemporanee confermano ancora una volta la sorprendente duttilità della compagnia milanese diretta da Manuel Legris, tra due riprese in nuova produzione e un debutto assoluto.
MILANO, 9 febbraio 2024 – “Piove, senti come piove”, le parole di una nota canzone pop si prestano come preludio alla nuova serata contemporanea, nella rappresentazione del 9 febbraio. Si passa da una Milano in pieno diluvio alla prima coreografia in programma accompagnata dalla sonorità della pioggia (musica di Philip Glass). Un continuum che mostra come, in fin dei conti, il teatro sia spesso la realtà che va in scena. Il coreografo Garrett Smith riprop one la sua creazione del 2015 Reveal in una nuova produzione del Teatro alla Scala . L’idea creativa è un invito a distaccarsi dalle certezze e a mettere in discussione i pensieri severi, ponendo in essere la libertà e l’autonomia decisionale. Una sfida (o una connessione) per dare senso alla singola esistenza e al proprio essere, non per compiacere gli altri ma per favorire l’autostima. Smith ha scelto la costumista Monica Guerra nella ricerca di una estetica elegante e senza distinzione di sesso, dove la “moda” caratterizza l’istante teatrale. Otto uomini e quattro donne (Camilla Cerulli, Agnese Di Clemente, Linda Giubelli, Maria Celeste Losa, Nicola Del Freo, Christian Fagetti, Emanuele Cazzato, Andrea Crescenzi, Matteo Gavazzi, Eugenio Lepera, Andrea Risso, Gioacchino Starace) danzano l’accettazione di sé esplodendo con potere vibrante e impulsi contrastanti. Il balletto si struttura sulla formazione classica del coreografo americano che sfocia nel vocabolario contemporaneo più progressista, con rimandi ben riconoscibili ad altri stili. Da questo contrasto si fa preponderante la messa in scena: abito bianco con le scarpette da punte e vestito nero con scarpe basse. Dalla sensuale nudità della pelle al candore del tutù. Anche la musica è un contrasto dove la danza nella sua agilità consente alla compagnia scaligera di eccellere per eclettismo. L’intensificazione delle sfumature e la stretta vicinanza in termini di spazio e tempo accentuano la differenza nelle personalità opposte; si passa dall’amaro al dolce. Ciò a sottolineare il modo in cui le personali differenze ne influenzino la percezione. Il messaggio del coreografo risiede nel non sottovalutare ciò che può dare o togliere l’impatto con l’arte nella sua totalità. I lunghi cappotti indossati sul torso nudo diventano gli ideali partner che grazie alla loro leggerezza completano l’esecuzione infondendo ai ballerini l’idea del volo.
Dopo una pausa a mezze luci è stata la volta di Skew-Whiff del duo Sol León e Paul Lightfoot (anche nelle vesti di scenografi e costumisti con assistente coreografo Jorge Nozal) che sulle musiche della Gazza ladra di Gioachino Rossini hanno proposto la produzione nata nel 1996 per il Nederlands Dans Theatre in un nuovo allestimento scaligero. A riempire la scena quattro danzatori, Edward Cooper, Saïd Ramos Ponce, Rinaldo Venuti e Alice Mariani a cui è stata richiesta solida capacità tecnica, ma soprattutto capacità recitativa. La breve coreografia è composta da gestualità che culminano in smorfie estese e protratte con atmosfere ironiche ed espressioni verbali concise. Su passi di valzer una delle figure maschili abbraccia quella femminile in un lezioso moto dell’animo che cela il passe-partout della creazione: “l’amore e i suoi giochi relazionali dove sovente non c’è spazio per le ombre”.
A chiudere il trittico il diplomato alla Scuola di Ballo della Scala e già danzatore all’Opéra di Parigi, Simone Valastro, che ha presentato Memento in prima assoluta sulla musica di Max Richter e David Lang (scene e costumi di Thomas Mika). Lo spunto narrativo prende luce dalla professione dell’artista. A volte un gesto con una logica condivisa può essere un limite vincolante. Infatti qui si pone in essere l’individualità dell’esecutore nel suo ruolo di danzatore e teatrante. Man mano che una professione cresce, anche se a piccoli passi, comincia a prendere forma, a delinearsi, a maturare, a conformarsi secondo le necessità e le proposte che giungono, mentre si ricerca la concretezza nelle azioni e nei ruoli interiorizzati. Ciò avviene in modo da raffrontarsi con la propria vita al di fuori dalle scene. La coscienza dell’artista è al tempo stesso antica e a ogni alzata di sipario inedita. Il teatro coinvolge profondamente chi partecipa in prima persona al lavoro. Ma per non lasciarsi sopraffare dai sentimenti nel trasferirsi idealmente nelle vicende altrui gioca un ruolo importante l’istinto. Valastro sottolinea un aspetto che non ritroviamo solo sul palco ma anche nell’attimo prima di entrare in scena, nel dietro le quinte, e nel rientrare nella propria dimensione a sipario calato. I ballerini in Memento danno prova di comprendere chi sia l’artista per lo spettatore. E lo fanno con una danza incalzante, emozionale, energica che non da tregua, rielaborando la solitudine o la collettività, soppesando le marginalità e valorizzando il gesto. La scenografia aiuta a comprendere meglio questa autodeterminazione: i danzatori entrano dall’oscura buca dell’orchestra (vuota per l’occasione, essendo la musica registrata), scivolano nella luce del palcoscenico e ne fuoriescono dopo una salita verso il buio del fondale. In questa metafora si ritrova il tempo dell’attesa. Tutti gli esecutori qui presenti – Benedetta Monferiore, Nicola Del Freo, Linda Giubelli, Marco Agostino, Antonella Albano, Claudio Coviello, Mattia Semperboni, Domenico Di Cristo, Saïd Ramos Ponce e il Corpo di Ballo del Teatro alla Scala diretto da Manuel Legris – confermano la fiducia riposta in loro. Sono efficacissimi, si adattano allo stile rigoroso di Valastro, che un minuto prima è liscio come il raso e un minuto dopo pulsa in un ritmo frenetico in cui il movimento estenuante è implacabile. Anche in gruppo ognuno è ben riconoscibile individualmente. È una solida prova di resistenza, eppure nel finale quando gli applausi giungono copiosi appaiono pronti a ricominciare tutto da capo. Quest’ultimo “momento” in programma è risultato il fiore all’occhiello della serata.