Fidelio prima di Fidelio
di Roberta Pedrotti
P. Gaveaux
Léonore ou l'amour conjugal
Kimy Mc Laren (soprano) Léonore/Fidélio
Jean-Michel Richer (tenore) Florestan
Tomislav Lavoie (basso) Roc
Pascale Beaudin (soprano) Marceline
Dominique Coté (baritono) Pizare
Keven Geddes (tenore) Jacquino
Alexandre Sylvestre (basso baritono) Don Fernand
Orchestra e coro Opera Lafayette
direttore Ryan Brown
regia Oriol Tomas
registrato a New York il 23 febbraio 2017
DVD Naxos 2.110591, 2018
Prima di Fidelio c'era Léonore; è scritto in ogni manuale di storia della musica, in ogni nota d'accompagnamento all'unica opera di Beethoven: il libretto viene direttamente da quello francese di Jean-Nicolas Bouilly per l'opera del 1798 di Pierre Gaveaux, ispiratrice anche di due partiture omonime di Paër e Mayr. Nomi e date che si registrano e sbiadiscono sulla carta, dimenticando troppo spesso la loro sostanza reale, la loro vita nella storia e nel teatro, anche il motivo per cui il compositore dell'Eroica fu colpito da questo breve opéra-comique termidoriano e ne trasse ispirazione per il suo sofferto cimento teatrale.
Pierre Gaveaux, seppure passato nelle fila dei compositori elencati sommariamente dietro i grandi condottieri della musica, è a ben guardare tutt'altro che un Carneade del suo tempo. Come tenore, innanzitutto, fu primo interprete di Floresky in Lodoïska e di Jason in Médée di Cherubini; come compositore lo si ricorda anche per un inno rivoluzionario, Le Réveil du peuple, che per qualche tempo contese la fama della Marseilleise e denunciava gli eccessi del terrore giacobino appena concluso. Era un artista politicamente impegnato, Gaveaux, ma era anche un musicista di vaglia. Di fronte alla sua Léonore non si può non esser subito colpiti dal rapporto strettissimo con il Fidelio, che la ricalca quasi letteralmente (stessi personaggi, stessi nomi, stesse situazioni, un finale d'atto con un commuovente coro di prigionieri durante l'ora d'aria) solo ampliando le proporzioni. Così sintetico, il testo di Bouilly risulta ancor più esplicito nei suoi riferimenti di stretta attualità al Terrore e al Direttorio; la musica di Gaveaux rivela una mano felice che non sa mai di maniera, ma si muove con disinvoltura fra lo spirito accattivante dell'opèra-comique e una ricercatezza timbrica, una cura dell'orchestrazione aggiornata come lo è il trattamento dei temi e dell'armonia. Gaveaux ha assorbito alla perfezione il linguaggio della tragédie lyrique di cui era interprete di riferimento, di Cherubini, ma anche di Gluck e Salieri, oltre a soluzioni che echeggiano quelle dell'ultimo Mozart, della Clemenza di Tito o Die Zauberflöte. Non si tratta della scoperta di un genio rivoluzionario (per quanto, seppur con posizioni non estremiste, in politica lo fu), ma di un esponente significativo di una fase storica che troppo spesso si riduce a transizione fra la morte di Mozart e l'ascesa, a nord Alpi, di Beethoven nella musica strumentale, a sud di Rossini in quella operistica. Conoscere Gaveaux aiuta a contestualizzare i grandi capolavori, a comprendere meglio il suono, il linguaggio di un'epoca, ma offre anche l'occasione di godere di un dramma musicale dall'incedere fluido, ben articolato, costruito con abilità. Non solo il soggetto della pièce à sauvetage - tipica dell'opera semiseria che andrà poi smussando i riferimenti più provocatori all'attualità politica per abbracciare ideali più ampi - colpisce Beethoven, ma si ha anche la netta impressione che certi colori, la ricerca di atmosfere più fosche, un lirismo accorato e malinconico abbiano toccato la sua fantasia anche dal punto di vista strettamente musicale. Non sarà un caso che anche in Léonore, come in Fidelio, uno dei momenti più ispirati sia proprio il coro dei prigionieri: potremo leggere Fidelio pensando all'influenza di Beethoven sui posteri, ma può non essere male leggerlo anche pensando al suo tempo e a ciò che l'ha influenzato, tanto più che non si tratta di pura curiosità documentaria, ma di un ascolto di per sé validissimo.
Sia reso merito, dunque, anche all'entusiasmo della compagnia canadese Opera Lafayette, che trae il nome del marchese francese che servì la causa della rivoluzione americana per poi sostenere in patria la via della monarchia costituzionale. Un eroe dei due mondi liberale ma non giacobino sembra il patrono ideale per la riscoperta oltreoceano dell'opera francese fra Rivoluzione e Impero napoleonico. L'ensemble rende giustizia all'espressiva orchestrazione di Gaveaux, tutta la compagnia convince sia per la resa musicale sia per la partecipazione attoriale, sotto la guida di Ryan Brown sul podio e del regista Oriol Tomas, cui si deve un allestimento semplicissimo che gioca sull'economia dei mezzi per far risaltare l'essenzialità della pièce, la caratterizzazione dei personaggi, l'ambiente delineato da un'idea di sbarre e dall'attrezzeria minima.