L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Ghislieri Choir & Consort

Florilegio carissimiano

 di Francesco Lora

La rassegna Pavia Barocca restituisce e contestualizza la produzione oratoriale di Carissimi e Charpentier: eccellenti le compagini del Ghislieri Choir & Consort, con la concertazione di Giulio Prandi e il canto di Luca Cervoni, Michele Concato e Sonia Tedla.

PAVIA, 7 giugno 2016 – Tra coloro che hanno composto musica per la storia, Giacomo Carissimi è nella classe dei più citati che eseguiti. Ciò, malgrado da lui discenda un’importante genealogia di autori: da Celano, Charpentier, Colonna, Perti e Martini si discende fino a Rossini, Donizetti e persino Wagner. Ciò, ancora, malgrado le partiture carissimiane insegnino tutt’oggi quali vertici possano raggiungere la tecnica, la retorica e la drammaturgia musicale: il bravo concertatore, il bravo cantante e il bravo strumentista trovano lì una via privilegiata per dimostrare valore. Se ne sono accorti, da qualche tempo, i musicisti del Ghislieri Choir & Consort: residenza pavese a dispetto del nome internazionale, direzione musicale saldamente tenuta da Giulio Prandi, folta e premiata attività concertistica e discografica. La tenuta artistica e scientifica dei loro progetti è ben esemplificata dal programma presentato, il 7 giugno, nell’Aula magna del Collegio Ghislieri per la rassegna Pavia Barocca: due oratorii latini di Carissimi tanto noti quanto rari, Ionas e Iephte, intervallati con un florilegio di musica romana concomitante, da una passacaglia di Luigi Rossi al Reniement de saint Pierre di Charpentier (altro oratorio latino debitore al modello del maestro), e da uno Stabat Mater pour les religieuses del medesimo alla Sonata op. IV n. 1 di Corelli.

Con violini a parti reali (un solo strumento per ciascun rigo) e una nutrita sezione di basso continuo (violoncello, organo, clavicembalo, arpa e tiorba), sette strumenti bastano a provvedere l’intera necessità orchestrale delle partiture nonché la studiata tavolozza timbrica del concertatore: concertatore che in Rossi cede di buon grado il discorso alla tiorba sola di Michele Pasotti, e che in Corelli fa altrettanto col trio di violini e continuo. Dove Prandi si conserva signore è nel programma vocale: lo si vede dipanare il nodo gordiano dei contrappunti nelle sezioni del coro doppio, sempre attento alla nettezza della parola e all’incisività della frase, con la naturalezza che gli italiani spesso dimenticano di avere in vantaggio sugli altri; e lo si vede comportarsi, con i solisti di canto, come l’amorevole maestro suggeritore intollerante che una sola idea approfondita in corso di prove possa affievolirsi al momento del concerto. Non manca un gioco tanto periglioso quanto suggestivo, allo scopo di restituire non solo il testo musicale ma anche il milieu culturale: si dice che lo Stabat Mater di Charpentier, scarna e ripetitiva pagina concepita da un grande autore per un coro di semplici monache, sia stato letto appena pochi minuti prima di uscire davanti al pubblico; la timidezza d’esecuzione che ne consegue riconduce d’un tratto al chiostro secentesco che recò a battesimo il brano. Non manca nemmeno la responsabilità formativa nel segno e nei valori della musica: un’ampia parte del coro è costituita non dai cantori stabili, forti di spalle, ma da quelli del Coro universitario del Collegio Ghislieri, così ben preparati e responsabilizzati, in seno a un laboratorio apposito, da non poter essere più identificati tra le file.

Non mancano, infine, pregi notevoli tra quei cantori di lusso che balzano fuori dal coro per tenere di volta in volta le parti solistiche: tre musicisti in particolare. Luca Cervoni, che tiene con altre la parte eponima nello Ionas, è tenore di lieve spessore e timbro volatile, con un eloquio altezzoso da predicatore, e con ornamentazione vanitosa e pungente: caratteristiche che lo rendono a suo modo inconfondibile, testimone di uno stile forbito e personaggio non tanto per immedesimazione quanto per sottigliezza retorica. Michele Concato, che tiene con altre la parte eponima nello Iephte, è invece tenore dovizioso di corpo, squillo e proiezione, con timbro abbondante di armonici e ragguardevoli piglio e accento: al padre biblico sono così restituiti in un sol punto l’eroismo militare e la solare disperazione – ossimoro barocco – nel sacrificio della figlia. La parte di quest’ultima spetta a Sonia Tedla, soprano dalla tecnica sorvegliata e con un involo timbrico di vaporosità infantile; una singolare indifferenza espressiva ha sminuito, fino a ieri, le sue esibizioni; un vistoso ripensamento di sé stessa la rivela oggi padrona della parola in seno al canto, e non solo calata nella parte ma persino prepotente nel porgere drammatico. Virtù personali ben inquadrate nell’orto eletto del Ghislieri.


 

 

 
 
 

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