Un foco insolito
Roberto De Candia e Javier Camarena da una parte, Giulia Mazzola e Dario Sogos dall'altra dimostrano come la collaborazione fra generazioni differenti (anche contro i mali di stagione) sia una formula vincente. L'edizione critica di Don Pasquale offre opportunità che dovrebbero entrare nella consuetudine anche fuori dal contesto del Festival
BERGAMO 17 novembre 2024 - Don Pasquale è uno di quei capolavori in grado di innamorare ogni volta come la prima, riproponendosi sempre con rinnovate freschezza e profondità. Oggi il festival Donizetti Opera non ci ricorda solo che c'è sempre da scavare e riscoprire anche in ciò che sappiamo a memoria, ma che pure ciò che crediamo di conoscere a menadito può avere volti nascosti. Difatti, quando tutte le cronologie diligenti riportano la prima assoluta di Don Pasquale a Parigi il 3 gennaio del 1843, perdiamo di vista il fatto che, per esempio, il duetto del protagonista con il dottor Malatesta nel secondo atto è entrato in repertorio nella revisione realizzata poi per Vienna. Alla prima assoluta, poi, l'assolo consacrato per violoncello era affidato al corno. Insomma, disponiamo di varianti d'autore di cui val la pena di tener conto, né è necessario stabilire una valutazione di merito: “Cheti cheti, immantinente” suona alle nostre orecchie più sintetico ed efficace nella lezione viennese, ma nondimeno quella più estesa parigina intriga e ci pone il dubbio se non sia l'abitudine a farci propendere per l'altra versione. Converrebbe averle entrambe nella consuetudine, a disposizione di quegli artisti avveduti e di quelle direzioni artistiche consapevoli che non si adagino nel déjà vu e déjà entendu. Nella speranza in un mondo migliore in cui chi merita si veda riconosciuto il giusto spazio, ci godiamo l'opportunità di uscire dai soliti binari almeno in un Festival. E Bergamo, peraltro, si prende la briga pure di esplorare altri volti della produzione donizettiana: in mattinata, a poche ore dal debutto dell'opera, la casa natale del compositore ospira pure un prezioso appuntamento con il violino di Massimo Spadaro e il pianoforte di Francesco Libetta a esplorare il repertorio cameristico di Donizetti, inframmezzando le esecuzioni con il dialogo fra i musicisti e il musicologo Paolo Fabbri.
Nel pomeriggio è la volta di Don Pasquale in edizione critica, quindi, con molte varianti d'autore, ma anche tagli riaperti che rendono più logico il testo: ecco, per esempio, che sentiamo finalmente Norina ordinare il “pranzo per cinquanta” lamentato dal povero neosposo.
Con queste premesse, l'attenzione non può che accendersi verso un palcoscenico dove la commedia non delude, anzi. Siamo confortati dopo le voci che fino al giorno prima istillavano qualche timore per una compagnia di canto variamente colpita, alla generale, da mali di stagione: qualcuno, è vero, gioca un po' in difesa, ma questa è la cartina di tornasole del vero artista rispetto a chi fonda tutto sulla dote naturale.
Nel caso di Javier Camarena, non essere al massimo della forma significa sfoderare la classe, l'esperienza, il dominio tecnico che lo hanno reso uno dei più grandi tenori degli ultimi anni in questo repertorio. Ci dimostra cosa significhi la consapevolezza di sé nel rispetto della musica, della commedia, dei colleghi e del pubblico: l'Ernesto di Camarena è simpatico, comunicativo nel timbro, nel porgere, nella presenza, il canto sempre ben dosato nel rispondere alle esigenze della linea e della tessitura anche senza scatenarsi in variazioni, puntature e mirabilia. Speculare e non meno convincente è la prova di Giulia Mazzola, che pure non può strafare e si muove talora con prudenza, ma non lo dà a vedere anche senza contare sull'esperienza del tenore messicano. Ha già dalla sua una solidità tecnica e un'intelligenza che le permettono di conquistare il pubblico con una Norina dalla vocalità morbida, duttile e ben proiettata, dalla teatralità arguta e spigliata. Ancor più lo si nota nella definizione anticonvenzionale suggerita dalla regia, che prende alla lettera il suo essere "una spiantata" mettendola a vivere in auto con il bollitore del caffè attaccato alla batteria.
Come Mazzola, viene dalla Bottega Donizetti anche l'interprete del Dottor Malatesta, Dario Sogos, che si fa apprezzare per la pulizia e la chiarezza dell'emissione e per la disinvoltura scenica. L'altro grande nome affiancato ai giovani, oltre a Camarena, è invece quello di Roberto De Candia, che ammanisce la consueta lectio magistralis di Belcanto teatrale: non una possibile inflessione va sprecata, non una parola o una nota, sempre nell'ottica di una visione tridimensionale del personaggio, con le sue meschinità e le sue debolezze, capace di suscitare il sorriso, additare difetti, suscitare empatia, di incarnare commedia, satira, dramma umano. A definire la statura dell'attore basti il piccolo dettaglio della camminata che si altera quando indossa le scarpe scintillanti (e pacchiane) nella mise per far colpo sulla sposina.
Con il notaro di Fulvio Valenti e i servitori incarnati da Alessandra Bareggi, Hillel Pearlman e Vittorio Pissacroia si distingue sul palco il Coro dell'Accademia della Scala preparato da Salvo Sgrò, davvero gustoso nel gioco di colori di "Che interminabile andirivieni".
Iván López-Reynoso dirige con piacevole brio e adeguato respiro; l'orchestra Donizetti Opera lo segue con sonorità ben presenti ma non soverchianti, in buon equilibrio con il canto e in generale sintonia con lo spirito dell'azione. Da questo punto di vista anche Amélie Niermeyer, con le scene e i costumi di Maria-Alice Bahra, le coreografie di Dustin Klein e le luci di Tobias Löffler. La regista dichiara un riferimento al film Parasite, ma rispetto a chi sovrappone una pellicola all'opera la costringe su un letto di Procuste, qui si tratta di un'associazione collaterale (il contrasto fra le classi sociali, il giovane introdotto nella villa del ricco che porta con sé la - qui presunta - sorella e sovverte lo status quo) che non intralcia la commedia donizettiana, né la sovraccarica di altri significati. Tutto risulta chiaro, ben congegnato, il pubblico si diverte nell'assistere alla rivoluzionaria irruzione di Norina e dei suoi amici alternativi nell'alta società dei Da Corneto.
La prima è un bel successo, con ovazioni ben distribuite in una compagnia che fra astri consolidati e nascenti non mostra punti deboli ed è anzi una lezione di concreta qualità.
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