Uno Stradivari e un pianoforte
di Stefano Ceccarelli
La sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica è stata teatro di un concerto raffinato e magnificamente riuscito. La talentuosa e bellissima violinista Janine Jansen suona col pianista Alexander Gavrylyuk un programma che è un’antologia che scavalca i due secoli d’oro della sonata per pianoforte e violino (XIX e XX secolo). La Sonata per violino e pianoforte n. 3 in re minore op. 108 di Johannes Brahms, la Sonata per violino e pianoforte op. 119 di Francis Poulenc, i Mythes “Trois Poemes” op. 30 di Karol Szymanowski e la Sonata per violino e pianoforte n. 2 in re maggiore op. 94 a di Sergej Prokof’ev. Un programma denso, difficile, a tratti funambolico, interpretativamente complesso, che dà la possibilità di delibare quasi ogni soluzione possibile delle sonorità di questi due strumenti.
ROMA, 23 novembre 2016 – Il Romanticismo, il Tardoromanticismo, la cultura fin de siècle, la belle époque con il suo profondo simbolismo e la prima metà del Secolo Breve sono stati periodi esteticamente sensibili al suono del pianoforte e del violino, particolarmente amanti delle sonate che intrecciavano i timbri di questi due strumenti, che avevano il loro luogo d’esecuzione eletto nelle case nobili e borghesi e allietavano amabilmente serate fra amici, circoli intellettuali e via dicendo («questa musica era composta per essere eseguita tra amici, nelle serate trascorse in casa, in quei salotti accoglienti, arredati con gusto e comodità della borghesia illuminata mitteleuropea del XIX secolo» in un «intenso mondo di affetti familiari, relazioni di amicizia e dibattiti intellettuali che rendevano piena e vibrante la vita di quella società» si legge nel magnifico programma di sala vergato da Daniela Gangale, che è un piacere leggere durante l’esecuzione del concerto). Janine Jansen e Alexander Gavrylyuk ci portano in questo mondo oramai lontanissimo, vivo solo grazie alle opere musicali e letterarie che oggi possiamo gustare in sale da concerto come la raccolta sala Sinopoli. La Sonata per violino e pianoforte n. 3 in re minore di Johannes Brahms è la quintessenza del tardoromanticismo espresso «in una forma solida» (Gangale). L’esecuzione del duo è ottima, a cominciare dai decisi attacchi, alle volte vere e proprie sferzate, del violino, romantiche, profonde, se si vuole intime, nel I movimento (un’ondulata successione di solidi accessi, appunto), accompagnate da roteanti movimenti, del pari ondulati, del pianoforte. Su un delicato impasto sonoro del pianoforte, la Jansen ci fa gustare tutte le sfumature di una scrittura flebile, delicata, plasticamente dolce nel II movimento. Nel III siamo quasi nel mondo gitano per l’elaborato e fisico virtuosismo del violino: la Jansen si trova perfettamente a suo agio con repentini cambi di ritmo e scritture frastagliate, avendo ottima intesa con il pianista. La scrittura di Francis Poulenc, che potrebbe apparire spiritosa, irriverente e audace, dal midollo francese insomma, nasconde invece numerosi conflitti interiori (come non mancava di notare Benjamin Britten). Poulenc scrisse la Sonata op. 119 negli anni della Seconda Guerra Mondiale, colpito per la morte del poeta spagnolo Federico García Lorca, ucciso da militanti politici nel ’36 giacché omosessuale; fatto che lo colpiva particolarmente: Poulenc mai aveva fatto mistero della sua omosessualità. La sonata è di tripudiante brillantezza melodica, una lucentezza perennemente, però, messa in discussione e intorbidita da arditezze, turbamenti spesso ai limiti della concettosità. Proprio nell’Allegro con fuoco (I) la Jansen e Gavrylyuk mostrano di aver lavorato bene, rispondendosi precisamente e avendo un timing perfetto. Altrimenti, eseguire un linguaggio musicale basato perennemente sulla distruzione di cellule melodiche – in atmosfere stranianti, nevrotiche, scattanti – e su una precisione millimetrica così bene sarebbe impossibile. Nell’Intermezzo (II) tutto è immobile e sospeso: Jansen è magnifica nel far uscire un suono materico dal suo Stradivari, nel suonare dei filati affilatissimi, smorzando e molti effetti incredibilmente difficili. Precisissimi anche nell’esecuzione dell’interiormente drammatico III movimento, che termina con una chiara evocazione degli spari che uccisero Lorca.
Il secondo tempo inizia con l’esecuzione dell’evocativo Mythes, “Trois Poemes” op. 30 di Karol Szymanowski, simbolista sulla scia del Prélude à l'après-midi d'un faune debussiano (o, a livello sonoro, del suo Pélleas et Mélisande). Ottima l’esecuzione zampillante, acquatica, tumultuosa a livello emotivo de La fontaine di Aréthuse; straniante, esteticamente irresistibile Narcisse; ben descritti gli agresti furori di Dryades et Pan – dove la Jansen riesce incredibilmente a evocare l’effetto dello zufolo di Pan, in un momento di totale silenzio, reso accostando impercettibilmente l’archetto alle corde. Il concerto termina con la celebre Sonata per violino e pianoforte n. 2 di Sergej Prokof’ev. Originariamente pensata e scritta per flauto e pianoforte, la Sonata ebbe una seconda vita: Prokof’ev accontentò infatti il celebre violinista David Ojstrach, che ne fu anche il primo esecutore – per nostra immensa fortuna, proprio un’interpretazione di Ojstrach di questo brano è stata incisa e ora disponibile per essere ascoltata. Sulle delicatezze, gli arpeggi, gli accordi del pianoforte, la linea del violino si staglia aerea, sublime nell’elegante fraseggio della melodia inebriante del Moderato (I); sfrenato e sfrontato il dialogo fra i due strumenti nello Scherzo (II); melismi, dolcezze la fanno da padrone nell’Andante (III); il frizzante Allegro con brio (IV) e la vitale esecuzione dei due chiudono stupendamente un riuscitissimo concerto.
Un programma difficile, solo apparentemente sconnesso, ma intimamente legato nel campione incredibilmente rappresentativo di tutte le possibili soluzioni dell’arte di accoppiare il violino al pianoforte.