Il repêchage di Fedra
di Giuseppe Guggino
Con la prima ripresa scenica in tempi moderni di Fedra di Giovanni Paisiello il Teatro Bellini di Catania inaugura una stagione d’opera piuttosto interessante. Le difficoltà notevoli dei ruoli principali sono risolte in maniera varia dai due volenterosi cast radunati per l’occasione. Su tutto si segnala lo spettacolo molto elegante e ben riuscito, confezionato con cura da Andrea Cigni.
Catania, 17 e 18 gennaio 2016 - Che nel 2016 ricorra il secondo bicentenario della scomparsa di Giovanni Paisiello è fatto passato quasi del tutto inosservato alle programmazioni teatrali dei teatri italiani, di quelli dell’Italia meridionale in special modo. Non così è in quel di Catania, ove è direttore artistico il pianista catanese Francesco Nicolosi che – di formazione napoletana –del compositore tarantino ha frequentato alla tastiera i galanti concerti per pianoforte. Particolarmente felice risulta la scelta di riesumare non già un titolo buffo o larmoyante – terreno nel quale l’abilità operistica di Paisiello è sufficientemente riconosciuta – bensì un titolo serio scritto per il San Carlo che all’ascolto si rivela foriero delle architetture ampie e delle soluzioni più audaci del Rossini napoletano. Sorprende non poco, infatti, che un’opera del 1788, oltre alla sequela di arie solistiche inframezzate da recitativi secchi (tutt’altro che convenzionali e sbrigativi, bisogna riconoscere), presenti un gran numero recitativi accompagnati di grande spessore tragico, un finale primo con Teseo agli inferi dall’architettura piuttosto articolata e un lungo duetto nel secondo atto estremamente vario nelle sue diverse sezioni.
Il libretto dell’opera deriva da quell’Ippolito ed Aricia musicato nel 1759 con durate monstre da Traetta e convenientemente ridotto da cinque a due atti dall’Abate Salvioni. I ruoli solistici di Ippolito e Aricia sono modellati sulle caratteristiche funamboliche della vocalità rispettivamente del castrato Girolamo Crescentini e del soprano Brigida Giorgi Banti e prevedono – oltre al duetto di cui s’è detto – tre arie (l’ultima delle quali con cori) dalla scrittura intervallare molto spericolata per il primo e ben quattro arie, tutte dalla coloratura sbalorditiva, per la seconda. Al tenore baritonale che occorrerebbe per Teseo, scritto per quel Giacomo David padre di Giovanni, compete un finale primo (che sarebbe sbagliato definire una semplice aria giacché non ne presenta le caratteristiche canoniche, inglobando momenti strumentali a momenti di declamazione sostenuta dall’organico orchestrale, oltre che gli interventi di Tisifone, Mercurio e Plutone) e una grande aria preceduta da ampio recitativo accompagnato nel secondo atto. Più parco è l’impegno chiesto al ruolo eponimo scritto per Lucia Celeste Trabalza, onerato da due arie (una in un sol movimento, preceduta da ricchissimo recitativo accompagnato al primo e l’altra al second’atto dalla condotta melodica piuttosto imprevedibile) dalla scrittura meno appariscente ma dallo spessore tragico tale da lasciar già presagire l’Ermione rossiniana; in un punto la concezione operistica di Paisiello pare farsi fallace, quasi inspiegabilmente, ossia nel rinunciare a un grande arioso al momento del suicidio per avvelenamento, risolto in un recitativo secco prima del convenzionale, ancorché curatissimo, finale secondo.
Il quartetto radunato per il primo cast presenta Anna Maria Dell’Oste, puntuale in tutte le infinite agilità delle arie di Aricia, le interessanti (ma non ancora compiutamente rifinite) vocalità dei giovani Caterina Poggini e Artvazd Sargsyan alle prese rispettivamente con Ippolito e Teseo e, infine, una Raffaella Milanesi che gioca di rimessa nella non lunga parte di Fedra per evidente debito di allure tragico. Tanto da far risultare preferibile Anna Corvino in secondo cast, dal mezzo più ampio, il cui istinto teatrale ferino è perfetto per il ruolo, sebbene la induca talvolta a qualche eccesso, specie nei recitativi. Ugualmente degnissimo del primo cast sarebbe stato il tenore Carlos Natale che baritonale non è (anzi è un contraltino) ma che canta benissimo ed esibisce delle agilità plausibilissime; viceversa il livello di maturazione tecnica di Federica Pagliuca e – in misura talvolta anche ben oltre la soglia dell’imbarazzo – di Carmen Salamone non è ancora adeguato per i ruoli sì complicati rispettivamente di Ippolito ed Aricia, e per questo si sospende il giudizio con l’esortazione all’approfondimento dello studio.
Nei ruoli comprimariali si ritrova la temperamentosa (talvolta anche troppo) Esther Andoloro nei panni della Dea (quasi Amazzone) Diana, l’affidabile Piera Bivona nella parte del di Fedra confidente Learco (privata di due delle tre arie) e Sonia Fortunato quale Tisifone. Più evanescenti il basso Giuseppe Lo Turco come Plutone e l’intervento di Mercurio (amplificato per l’effettazione sovrannaturale) cantato da Salvatore D’Agata.
Bene fa il Coro istruito da Ross Craigmile e molto bene fa l’Orchestra capace di un fraseggio vario nonostante non molte sollecitazioni in tal senso paiano giungere da Jérôme Correas, specialista chiamato sul podio. La carta vincente del repêchage si rivela essere lo spettacolo molto riuscito di Andrea Cigni che nell’impianto scenico a due anelli concentrici disegnato da Lorenzo Cutùli (responsabile anche dei fantasiosi costumi) racconta il mito, cura la recitazione, ricorre all’omaggio barocco – giustamente – delle macchine sceniche per l’apparizione di Mercurio o per la nave che riporta Teseo e rende giustizia di qualche momento strumentale gluckiano (quasi qualche vera e propria air de danse da Tragédie Lyrique) ricorrendo a figuranti (e a un Eros alato che, saggiamente, ritrova qualche pudica copertura alla recita del secondo cast con le scolaresche in sala) ed efficaci proiezioni video, ora di filmati, ora di incipit ed epigrafi di Euripide, a cura di Mario Spinaci.
Purtroppo la sala non registra il sold out, probabilmente a causa dell’inusualità del titolo, ma c’è tempo per recuperare, con recite tutti i giorni fino a domenica 24.