L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Gilda Fiume è Amina nella Sonnambula

Addio, Amina

 di Andrea R. G. Pedrotti

Non troppo riuscita musicalmente la ripresa della Sonnambula nel suggestivo allestimento di Hugo de Ana. E, dopo l'intervallo, si nota qualche vuoto in più in sala.

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VERONA, 17 aprile 2016 - Torna al teatro Filarmonico di Verona la messa in scena di La Sonnambula di Vincenzo Bellini interamente a firma di Hugo de Ana. L’allestimento risulta sempre gradevole, con una scenografia essenziale, ma efficace, belle luci e costumi di tradizione, perfettamente in linea con l’iconografia di una Svizzera immaginaria. Il primo atto si svolge in un ameno giardino e una proiezione sul fondo, che ci accompagnerà nel corso di tutta l’opera, sottolinea i momenti salienti delle vicende: la selva è dapprima chiara e luminosa, mentre diviene più tetra nei momenti di maggior struggimento, accompagnando l'azione con gusto evitando anche incidenti dovuti a un’eventuale equilibrio precario del soprano protagonista, non costretta a camminare su cornicioni. La sua immagine viene proiettata e, d’altra parte, un sogno altro non è che una proiezione.

Durante la scena della stanza del Conte Rodolfo, nella locanda di Lisa, una grande impalcatura scende dalla torre scenica, in modo che si rimanga sulle colline che ci accompagnano perennemente, ma venga data l’idea di un ambiente chiuso. In questo modo viene salvaguardata anche l’efficacia delle proiezioni. Molto bella, nondimeno, l’idea di sottolineare il mondo irreale di Amina con uno specchio opaco che viene fatto cadere al momento del risveglio.

Secondo atto simile al primo: la scena non cambia, ovviamente e le atmosfere sono affidate al telo di fondo con l’immagine spettrale della sonnambula che vaga, a evidenziare quanto i villani elvetici ritenessero si trattasse di una fantasma sui tetti del proprio borgo.

I pochi elementi vengono retti e portati entro e fuori la scena da alcune comparse.

L’allestimento, di proprietà della Fondazione Lirica Arena di Verona ed è stato ripreso da Filippo Tonon, il quale ha omesso molte interazioni fra i personaggi, soprattutto i due amanti, che parevano quasi ignorarsi, come nel duetto del primo atto “Son geloso del zefiro errante”.

Migliore del cast è stato, senz’ombra di dubbio, il Conte Rodolfo di Sergey Artamonov, il quale fa fronte alla monocromia del timbro con una ricerca insistita di accenti e un fraseggio curato. I fiati sono ben gestiti e il suono è ben proiettato, grazie a un’emissione tecnicamente adeguata. Buona la resa scenica del basso che si palesa come l’attore più partecipe fra i tre protagonisti.

Molte perplessità desta l’Amina di Gilda Fiume, interprete perennemente anòdina. Capita talvolta di trovare artisti la cui personalità prevalga rispetto a quella del ruolo affrontato, ma, in questo caso, non emerge alcuna personalità. La cavatina “Come per me sereno…” è eseguita senza la minima cura del fraseggio e il registro acuto risulta disomogeneo rispetto al resto della tessitura. Molto brutte le variazioni, come fuori stile è la cadenza, con puntatura acuta, nella frase “Il mio anello... oh! madre!...” durante l’aria di Elvino del secondo atto. Senza carattere le due scene di sonnambulismo, specialmente la seconda, durante la quale sono indistinguibili, per chi non conoscesse l’opera, i momenti di sonno e di veglia. Meglio nel cantabile, nell’esecuzione del finale primo e di “Ah! non credea mirarti”, momenti in cui cresce la resa musicale, ma non interpretativa. Insufficiente anche la cabaletta conclusiva con l'omissione di tutte le possibili note acute nelle non troppo impervie - almeno per un soprano del suo repertorio - agilità. Resta solo un estremo sovracuto, ben centrato, ma, ancora, disomogeneo rispetto all’emissione complessiva. Tutto il ruolo è affrontato con una gestione dei fiati spesso difficoltosa.

Meglio l’Elvino di Jesús León, che esegue ogni nota scritta senza patemi particolari, anche se con totale assenza di pathos, offrendo una bella lezione di solfeggio, ma non molto di più. I maggiori problemi per il tenore sono legati a un volume notevolmente ridotto, tanto da rendere inudibili frasi come “Da quei detti è lusingata!”, nel corso della cavatina del Conte Rodolfo.

Madina Karbeli è una Lisa dalla notevole presenza scenica, accompagnata da una prova attoriale adeguata al ruolo. La voce è sicuramente meglio proiettata rispetto alla compagna di registro, anche se palesa anch’essa più d’un problema nell’emissione, quando si tenda a salire nella tessitura dove il suono diviene schiacciato e poco penetrante.

Completavano il cast Elena Serra (Teresa), Seung Pil Choi (Alessio) e Alex Magrì (Un notaro).

Molti problemi di fraseggio, specialmente per un cantante tecnicamente più affinato come Jesús León, sono da imputare alla pessima concertazione di Francesco Omassini. Le dinamiche sono eccessivamente slentate, mentre lo sviluppo agogico risulta pressoché inesistente: alcuni tempi risultano eccessivamente incoerenti e sovente gli attacchi al coro e nei concertati sono imprecisi. Nella direzione di Omassini non si trova senso del canto, ricercare intenzioni di scavo drammaturgico risulta ampiamente utopico.

La parte musicale è salvata dalla buona prova dei professori d’orchestra che eseguono pedissequamente le indicazioni del direttore, con un bel suono, proveniente specialmente dagli archi. Assolutamente non da imputare al complesso areniano la povertà di colori, che pare una precisa scelta del direttore d’orchestra.

Il coro, diretto da Vito Lombardi, mette in luce ancora una volta la sua bella pasta vocale e qualità nei singoli, pur costretto in un’espressione perennemente incolore. Dal podio giungono in più d’un’occasione indicazioni errate, provocanti leggeri sfasamenti. Il coro in un’opera come La Sonnambula ha un’importanza fondamentale nell’incongruenza emotiva dei suoi interventi, dovuti all’apparente volubilità del carattere di Amina, ma, al Filarmonico, questo non s’è avvertito.

Purtroppo dobbiamo registrare molti abbandoni in platea fra primo e secondo atto.

foto Ennevi


 

 

 
 
 

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