L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

der meistersinger von nurnberg

Dell’individuo e della società

di Valentina Anzani

Profondi e appassionanti i wagneriani Maestri cantori alla Royal Opera House.

Londra, 28 marzo 2016 – Die Meistersinger von Nürnberg è un’opera che di per sé tratta tematiche su cui è impossibile non soffermarsi a riflettere, ma quando poi l’allestimento è come quello firmato da Kasper Holten in scena alla Royal Opera House di Londra, con un cast di tutto rispetto e la direzione di Pappano, assistere al penultimo lavoro wagneriano non può che essere un’esperienza che lascia il segno.

Molto efficace nel rappresentare una società autoreferenziale, fondata su regole autoimposte, cui gli individui si aggrappano tanto più sono insicuri, Holten precipita in mezzo a damerini impomatati Walther (Gwyn Huges Jones), un cavaliere in T-shit rock pieno di furore e passione, le cui regole sono invece quelle dell’incontro e delle relazioni tra le persone. Egli è  spavaldo e pronto a far evadere la giovane Eva (Rachel Willis-Sørensen) da quel gruppo sociale che la vuole sposata al proprio statuto e al proprio ideale di buono e giusto. A quest’ultima, inviluppata in un reticolo di convenzioni sociali, è impedito di scoprire ed esercitare il proprio libero arbitrio: il padre (Stephen Milling) crede di poter individuare il migliore tra coloro che stima, ovvero i poeti, dandola in sposa al vincitore di una gara canora. 

Bryn Terfel (Hans Sachs) è in piena forma, impeccabile nel delineare un personaggio tutelare, bonario, sensibile ma non privo di contraddizioni. In lui si vede l’artista che ha profonda conoscenza dei propri mezzi espressivi e conquista ad ogni nota.

Johannes Martin Kränzle è bravissimo, così convincente nell’impersonare il più puro spocchioso del mondo da farci comprendere le sue ragioni, muovendo quasi a pietà e compassione con un personaggio altrimenti negativo.

Rachel Willis-Sørensen (Eva) è interprete consapevole del proprio personaggio ancora mezza bambina, e sfrutta il generoso mezzo vocale con la giusta parsimonia e controllo, non andando mai sopra le righe fintanto che non trova una giustificazione drammaturgica, e dunque solo nel terzo atto si abbandona al canto spiegato, come se il tentativo di raggiungere l'età adultia le fornisse progressivamente anche voce.

Gwyn Huges Jones (Walther) delinea vocalmente un percorso, dall'impetuoso primo apparire, alla nervosa prova davanti ai giudici, in un crescendo espressivo perfettamente in linea con la caratura del proprio personaggio.

Grande plauso anche a William Spaulding per la finissima preparazione delle masse corali.

La vorticosa, densissima, travolgente direzione di Pappano è coniugata a un apparato visivo coerente, sia nei costumi di Anja Van Kragh (che passano dal casual contemporaneo, ai frac sofisticati, alle sgargianti tuniche cerimoniali), sia nelle scene crude (di Mia Stensgaard), ma soprattutto in una gestione drammaturgica geniale nel ritmo, che fa delle attese, degli indugi, delle pause i momenti di maggior stupore. La regia di Holten accompagna l’ascolto con una visione chiara, interessante e dinamica, anche per le curatissime controscene, delicate ma tali da dare il massimo realismo e far scorrere velocissimo il tempo; per contrasto, appare ancora più affascinante – e convincente per le sue implicazioni metaforiche – la rappresentazione fantasmagorica proposta in chiusura dell’atto secondo, quando il battibeccare tra Sachs e Beckmesser degenera in una sempre più allucinata visione onirica, e poi va addirittura oltre, risvegliando un baccanale di creature diaboliche impegnate in un sabba orgiastico: un enorme, impressionante tableaux vivant che è rappresentazione visiva delle energie sotterranee che si nascondono sotto le regole, tanto più incontrollabili quanto più le si cerca di contenere. 

Nemmeno l’approfondimento psicologico dei personaggi è dato per scontato, e da parte di tutti i cantanti c’è un tentativo di scandagliare nel profondo le loro interrelazioni: un’interpretazione che mette in luce il fatto che molti sentimenti che appaiono anticonvenzionali o eversivi sono in realtà molto più ovvii. Quanta dolcezza, e quanta verità c’è in quel doppio bacio fatto dare a Eva ad Hans e poi a Walther! Quanta profondità nel suo ultimo sguardo: quando, ironia della sorte, anche l’outsider malvestito pieno di passione è infine sedotto da quella stessa società che aborriva, è forse chiaro – a lei e a noi – quanto sia impossibile estirpare quel bisogno atavico di essere parte di un gruppo, nonostante quanto sacrifichiamo pur di esserne ammessi.

Se tutti gli elementi dell’allestimento concorrono ad evidenziare quanto spesso le regole non siano altro che un teatro, non c’è tuttavia alcun giudizio, ma una ben più abile posizione critica: la sua forza d’impatto sta proprio nella sua capacità di far uscire il pubblico dalla sala entusiasta sì, ma anche pieno di domande.

foto Clive Breda


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