L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Tormenti russi

di Roberta Pedrotti

Straordinario concerto diretto da Dmitri Liss, con Sergej Krylov solista, per il ciclo slavo, filo conduttore della stagione sinfonica del Comunale di Bologna. I tormenti del XIX secolo, con il tragico confronto fra l'individuo e la società nel Concerto per violino e orchestra di Čajkovskij, si specchiano in quelli del XX, con la riflessione amara e profonda sulla guerra e la Rivoluzione nella Sesta Sinfonia di Mjaskovskij. Due capolavori accostati con intelligenza nella lettura di due grandissimi interpreti.

BOLOGNA, 13 marzo 2014 - Dopo concerto dal programma assai ben strutturato ma non troppo intrigante nell'interpretazione e un altro privo di un preciso filo logico, per quanto assai ben diretto, ecco che la stagione sinfonica del Comunale ci propone una serata da ricordare per l'intelligenza dell'accostamento e la qualità dell'esecuzione. Un pezzo popolarissimo, innanzitutto, e un altro di un autore assai poco noto ai nostri cartelloni: il richiamo della fama e quello della curiosità, la possibilità anche per i più refrattari alle nuove scoperte di essere condotti su nuovi terreni allettati dal dolce miele delle muse. Ma anche un vertice della musica russa ottocentesca, della grande e composita tradizione slava prerivoluzionaria e un capolavoro dell'iniziatore della grande scuola sovietica, modello sinfonico di Šostakovič e Prokof'ev. Il Concerto in re maggiore per violino e orchestra op. 35 di Čajkovskij e la Sesta sinfonia in mi bemolle minore di Nikolaj Mjaskovskij (1881-1950). Protagonista indiscusso della prima parte della serata è uno scatenato e generosissimo Sergej Krylov, capace di esprimere il dibattersi di un animo tormentato nel rapporto fra il singolo e la collettività, nell'oscillare fra l'ideale classico occidentale e le radici slave che riflette anche un anelito razionale, all'ordine formale e alla pace interiore, contrapposto all'impeto dell'istinto, della passione, dell'inquietudine. Forse mai come in Čajkovskij l'infelicità è stata dipinta in musica con tanta verità, né forma musicale meglio si presta a tradurre tutte le sfumature della dialettica individuo/società come il concerto per solista e orchestra; lo stesso virtuosismo ne diviene voce significativa e il cantabile conosce l'ansia e il turbamento che ne increspano il fraseggio, reso con incisiva misura da Krylov in perfetto accordo con la direzione salda e acuta di Dmitri Liss. Il pubblico, foltissimo, esplode in un'ovazione e il violinista non si risparmia nei bis, offrendo dapprima l'estesa trascrizione della Toccata e fuga in Re minore che Bruce Fox-Lefriche realizzò per Maxim Vengerov, suscitando ancora una volta entusiasmo per la precisione, l'intensità e la cura dinamica e degli effetti d'eco e di resa fra le diverse voci della polifonia. Instancabile Krylov appaga le ovazioni che non tendono a scemare e chiude in gloria la prima parte del concerto con un Capriccio paganiniano.

Dopo l'intervallo torna sul podio Liss, e impone la sua autorità di sommo interprete del repertorio russo con una magnifica esecuzione della Sesta di Mjaskovskij. Purtroppo abbiamo notato qualche defezione in sala: peggio per loro, hanno perso l'occasione di conoscere una sinfonia interessantissima – e per nulla ostica all'ascolto – dimostrando una concezione dell'arte come di consumistico e superficiale sollazzo fermo all'eterna ripetizione del già noto. Composta fra il 1921 e il 1923 e ancora segnata dal trauma della Prima guerra mondiale (e della Rivoluzione, nel corso della quale morirono il padre e l'amatissima zia), la Sinfonia sembra anticipare lo spirito laico, pacifista e universale della Sinfonia da Requiem e del War Requiem di Britten. I quattro movimenti (Poco largamente, ma allegro; Presto tenebroso; Andante appassionato e Allegro, molto vivace) sviluppano come in un vortice senza speranza il senso d'orrore e violenza, l'atra caligine dell'inutile strage, punto di non ritorno nella storia dell'umanità, abisso imprescindibile cui s'intreccia il suono pietoso del Dies irae affidato all'evanescenza angelica (e spettrale) della celesta, di una cantabilità afflitta e accorata, nel terzo movimento, che tuttavia continua a essere torturato da un raffinatissimo gioco di timbri e reminiscenze che costruisce una vera e propria drammaturgia unitaria attraverso tutta la partitura. La salvezza può essere l'utopia della libertà e di un mondo migliore, come la Rivoluzione che interrompe l'intervento russo nel conflitto mondiale. Ecco irrompere trionfanti e gioiose, nell'ultimo movimento, La Carmagnole e Ça Ira, emblemi d'ogni rivoluzione, d'ogni sogno di giustizia e redenzione. Ma alla Dichiarazione dei diritti dell'Uomo e del Cittadino seguì il Terrore; quando al canto gioioso segue il lamento del caro, il canto funebre tradizionale ortodosso “Come l'anima si separa dal corpo” (proposto qui nella versione latina) sembra riecheggiare le parole di Mao: “La rivoluzione non è un pranzo di gala, non è una festa letteraria, non è un disegno o un ricamo, non si può fare con tanta eleganza, con tanta serenità e delicatezza, con tanta grazia e cortesia, la rivoluzione è un atto di violenza”. I modi slavi tradizionali al nostro orecchio risuonano istintivamente nella forma e nel contesto in cui Musorgskij che li ha fatti conoscere e ce li ha resi familiari, massime nella scena dell'incoronazione e nei lamenti del popolo oppresso del Boris Godunov, ovvero in una delle massime riflessioni sul potere della storia delle arti. L'effetto è così, se possibile, ancor più profondo e impressionante e il finale suona come un delicato postludio che pare implorare pace e speranza dopo aver sperimentato l'orrore di cui è capace l'uomo, i suoi aneliti ideali e l'accidentato cammino verso un avvenire migliore. Il controllo, la consapevolezza, la cura e l'ispirazione di Dmitri Liss, sul podio per questo gioiello, pietra angolare della storia della musica russa (e non solo), chiarissimo apripista alle esperienze di tutti i grandi compositori sovietici a venire, non son meno che rivelatori, il suo debutto sul podio bolognese entusiasmante, con una risposta d'alto livello da parte dell'orchestra e del coro preparato da Andrea Faidutti. Ottima cosa vedere i complessi di un teatro d'opera affrontare sempre più regolarmente anche con un repertorio concertistico impegnativo e raffinato, cimentandosi in sfide che si rivelano sempre prezioso stimolo di crescita artistica. Il ciclo dedicato alla musica russa, filo conduttore della stagione sinfonica 2014, difficilmente avrebbe potuto fregiarsi di una gemma migliore.


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