L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Delusioni d'Amour

di Andrea R. G. Pedrotti

AA.VV L'amour

arie di Boieldieu, Bizet, Donizetti, Adam, Delibes, Massenet, Thomas, Offenbach, Gounod

tenore Juan Diego Flòrez

basso Sergey Artamonov

Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna

direttore Roberto Abbado

CD Decca 478 5948, 2014

All'acquisto di un CD deve sempre essere chiaro che ci troviamo di fronte a un prodotto che, specie quando si tratta di repertorio operistico, non potrà mai riprodurre fedelmente l’atmosfera e la magia del teatro e della fruizione dal vivo; la presenza di un filtro e il mutare del sistema comunicativo, con un effetto di traduzione, quindi di tradimento, che richiede come ragion d'essere del disco un ben preciso progetto artistico.

La Decca e il celebre tenore peruviano Juan Diego Flòrez presentano una raccolta di arie del repertorio francese del XIX secolo che già dal titolo, L’amour, risulta ambire a una suggestione che non si realizza, invece, in un risultato ben poco evocativo e intrigante.

Da un divo riconosciuto come Flòrez ci si aspetterebbe un lavoro di alta qualità, di ricerca filologica, di interpretazione, ma tutto questo è assente. La definizione di tenore contraltino lo renderebbe teoricamente ideale per spaziare in molti titoli del repertorio operistico d’oltralpe, nel quale, tra l’altro si esibisce in diversi teatri europei, con numerose recite de La Fille du régiment, Le Comte Ory, o i recenti debutti nel Guillame Tell e La Favorite. Ci saremmo, dunque, aspettati una ricerca stilistica sull'evoluzione della tipica vocalità dell'haute-contre, dal repertorio classico e preromantico (Flòrez aveva già inciso l'Orphée di Gluck nella versione tenorile francese) fino ai sui esiti tardo ottocenteschi. Al di là del registro vocale, della lingua e di un tema generale non emerge una riflessione, un rapporto fra le arie proposte, oltretutto ordinate senza seguire un percorso cronologico, di senso, o di autore. A riprova di questo, il fatto che le due arie tratte da La Dame blanche di Boieldieu vengano inserite rispettivamente in apertura e quasi in chiusura, senza un’apparente spiegazione, nemmeno puramente estetica.

D'altra parte, quel che manca è proprio un lavoro d'interpretazione che colga la peculiarità di ogni brano, che scorre quasi senza distinzione, in un unico flusso monotono per pathos, sentimento e accento. Chi non conoscesse il repertorio faticherebbe a distinguere un autore dall’altro, un’opera dall’altra, una situazione dall’altra. Dispiace che si sia persa l'occasione di una più approfondita analisi o introspezione psicologica di personaggi così differenti, tutti espressioni di una tradizione vocale tipicamente francese e, tuttavia, non priva di influenze sulla storia del canto anche al di là dei gallici confini.

L'arco cronologico dei grandi ruoli tenorili proposti (seppur ordinati, come abbiamo detto, senza una logica precisa) spazia dalla La Dame blanche (1825) sino al Werther (1892). Il primo brano di Boieldieu (“Ah!quel plaisir d’être soldat") è letto senza nessuno slancio giovanile, piatto sia nell’amore sia nella spensieratezza, mentre il secondo (“Viens, gentile dame”) è totalmente privo della suggestione e della malizia necessaria. Più che di mancata distinzione degli accenti, si potrebbe parlare di assenza degli stessi e di meccanico ricorso a stereotipi espressivi. Gli attacchi, per esempio, sono sempre presi alla stessa maniera, senza mordente, per lo più uniformemente querimoniosi, l'ampliamento lirico cercato soprattutto per Massenet e Gounod va a discapito della piena lucentezza del registro acuto.

“À la voix d’un amant fidèle”, da La Jolie Fille de Perth di Bizet, è aria da eseguire quasi interamente a mezzavoce (non con degli stentati mezzoforti) ma, soprattutto, richiederebbe ben altro lavoro sul fraseggio e sul colore, ben altra realizzazione della didascalia “tristement”. Stesso discorso vale per La Favorite, dove l’amore nascente e sognante, ma non privo di sensi di colpa, si traduce in una lettura anodina e monocorde, mal supportata peraltro dal pessimo Balthazar di Sergey Artamonov. Assenti le atmosfere melanconiche e la rêverie classica di “Ồ blonde Cérès” (Les Troyens ). Poco amorosa nella scrittura e per nulla ammiccante e divertito il racconto di Flòrez delle vicissitudini del "Jeune et galant postillon". Così le considerazioni si potrebbero estendere a tutto il CD. Un'annotazione a parte va, però, ascritta alle due arie di Werther, vero azzardo per il tenore peruviano, dove tutto il dolore, la delusione e la disperazione del giovane poeta sono completamente ignorati, così come manca l'alta ispirazione dell'invocazione alla Natura.

Gli altri brani in programma sono “Prendre le dessin d’un bijou” (Lakmé di Delibes), “Oui, je veux par le monde” (Mignon di Thomas), “Au mont Ida, trois déesses” (La belle Hélène di Offembach) e “L’amour!.. Ah lève toi soleil” (Roméo et Juliette di Gounod).

Parimenti priva di varietà e mordente la direzione di Roberto Abbado, con un solo riscatto nell’interpretazione del Werther, partitura, probabilmente, a lui più congeniale. Non al meglio neppure il Coro e l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna.

Vista l’importanza della casa discografica e degli interpreti in questione ci si sarebbe sicuramente aspettati un prodotto più pensato e strutturato, foriero di ben altri stimoli artistici. Molti percorsi sarebbero stati possibili per una raccolta di arie per tenore, contraddistinto da quella tipica vocalità, ma la sfida, se è stata accolta, non è stata vinta e l'impressione resta quella di una raccolta basata più sul potenziale commerciale del divo nel momento in un repertorio ancora non del tutto esplorato in teatro che non su un effettivo progetto culturale.


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