Il mistero del Messiah
di Francesco Lora
Le compagini pavesi di Ghislieri Choir & Consort, dirette da Giulio Prandi, portano al Teatro Fraschini il capolavoro di Händel: un’esecuzione che impone il ruolo italiano nella lettura del repertorio sei-settecentesco.
PAVIA, 11 marzo 2017 – Qualche tratto di superficialità si coglie nella tradizione d’eseguire il Messiah a ridosso del Natale, come parte del corredo decorativo fatto d’abeti e presepi. Ben più ampio è infatti l’oggetto del più celebre oratorio di Händel, nonché il suo spettro narrativo, teologico e filosofico, che dal mistero dell’incarnazione di Dio passa a quello della passione, morte e resurrezione, fino alla propagazione del verbo e alla salvezza dell’uomo. Piace così ritrovare un’esecuzione del Messiah nella scenografica cornice tardobarocca del Teatro Fraschini di Pavia, accogliendo nella stagione sinfonica i musicisti dell’altra grande istituzione artistica cittadina; e piace ritrovarla non in mezzo alla retorica del periodo natalizio, bensì la sera dell’11 marzo e agli albori della quaresima, fatti più mattutini dalla vicinanza con Milano (dove il rito ambrosiano fa iniziare il periodo penitenziale soltanto la domenica successiva al mercoledì delle ceneri).
L’istituzione pavese citata è l’Associazione Ghislierimusica, ossia il singolare polo di attività musicali promosse dallo storico Collegio Ghislieri e condotte in un decennio a tale perfezione da meritare risonanza europea nella lettura del repertorio sei-settecentesco. Che ciò sia vero lo dimostra l’impudente vittoria sul campo del contendente. Le compagini affiliate al Collegio, Ghislieri Choir & Consort, con la stabile direzione del giovane Giulio Prandi, molto hanno infatti già lavorato sul trascurato repertorio polifonico di importanti compositori italiani come Galuppi, Jommelli, Perez e Perti, ossia là dove altri cori e orchestre d’oltralpe non hanno curiosità e fegato di seguirli. Ma meno che mai oggi temono quel repertorio che è tradizionale appannaggio di specialisti inglesi e tedeschi; senza forse volerlo, riabilitano così usi d’epoca: per i suoi oratorii britannici Händel stesso, d’altra parte, predilesse sempre la manodopera italiana.
Scrupolo filologico e disinvolti azzardi convivono nell’esecuzione al Fraschini. L’agile ma non esile organico corale e strumentale, per esempio, ricalca quello della prima esecuzione di Dublino e delle ordinarie disponibilità nei teatri di Haymarket e Covent Garden. Ma nel florilegio di versioni varianti il concertatore Prandi, anziché tentare l’adozione di un unico assetto storicamente attestato, sceglie di volta in volta le formulazioni più pertinenti alla via interpretativa: erudita attenzione alla lettera della parola e al simbolo in essa, risalto dato alle linee strumentali che la illustrano quand’anche nascoste, assortimento di pesi, passi e colori votato alla semplicità espositiva eppur sempre sorprendente per acume retorico ed effetto emotivo. Non si confida nel monumento e più spesso si preferisce la sintesi, come quando la tempestosa aria del basso nella parte II, «Why do the nations», si ascolta nella stesura breve che ricade con sorpresa sul coro che segue.
Quasi un affronto è quello della massa corale, disposta sui due file ordinate ma con i quattro registri vocali rimescolati al suo interno: come nel mazzo di fiori sapientemente assortito, le parti agiscono così non da settori separati ma da un medesimo corpo a fuochi plurimi; la pulizia di qualche attacco di fuga finisce così sacrificata, ma sempre si tocca la presenza di un popolo canoro unanime. Vuoi per la luminosa esuberanza di orchestra e coro, vuoi per una volontaria sussunzione alla loro poetica, i cantanti solisti si conservano sobri nell’espressione, oggettivi nel discorso, asciutti nelle risorse, lusingati più dalla parola che dalla musica e invero mai dal virtuosismo. Sono il soprano Rachel Redmond, il tenore Nick Pritchard e il basso Benjamin Bevan; e il fatto che ci si potesse senza timore riferire a cantanti italiani lo attesta il controtenore Raffaele Pe, superiore a tutti per risonanza e varietà di colori pur condividendo i loro stessi principii di scuola.