Haydn senza precauzione
di Francesco Lora
Armida in forma di concerto al Theater an der Wien: gattesca sornioneria nella direzione di René Jacobs e una compagnia di canto frenata, in quattro artisti su sei, dall’insufficiente confidenza con la prosodia italiana.
VIENNA, 21 febbraio 2018 – È sacrosanto che nei cartelloni lirici si riservi spazio ai drammi per musica di un compositore prolifico e influente come Joseph Haydn; anzi, non lo si fa mai abbastanza. Andrebbe tuttavia tenuto a mente che, al contrario di sinfonie e oratorii, le opere haydniane necessitano di qualche specifica precauzione. L’anima del filosofo ossia Orfeo ed Euridice fu composta, nel 1791, in vista dell’atteso debutto teatrale sulla scena londinese; fa storia a sé, e non solo per essere rimasta ineseguita e dimenticata fino al 1951: da poco tornato alla libera carriera e a nuove ambizioni, l’anziano autore vi aveva riversato le sue più mature risorse. Differenti sono l’origine e la fisionomia di tutte le altre opere superstiti: furono approntate non per grandi teatri pubblici di capitali europee, bensì per la meno smaliziata corte del principe Nicola I Esterházy; concepite come divertimenti di facile allestimento e fruizione anche lontano dalle più floride dotazioni metropolitane, esse si mantengono di norma concise, chiare e lineari nelle musiche, e hanno spesso alla base libretti di modesto respiro drammaturgico.
A dispetto del titolo altisonante, anche l’ultima opera della serie principesca dà esempio di quanto detto. Rappresentata per la prima volta nel 1784 nel Palazzo di Eszterháza, Armida si consuma in poco più di due ore, con un’orchestra ordinaria e senza coro, impegnando sei soli cantanti in personaggi dall’esile profilo psicologico. Ha musica fatta più per deliziare che per impressionare, con un garbo melodico che induce oggi a facile noia. Molto bene, dunque, se a darne una nuova lettura si è oggi mosso un concertatore fantasioso, disinibito e spregiudicato come René Jacobs; seguìto dalla Kammerorchester Basel e dai suoi strumenti originali, ha diretto Armida il 19 febbraio a Varsavia, il 21 a Vienna – nella stagione di opere in forma di concerto al Theater an der Wien: «L’Ape musicale» era lì – e il 23 a Basilea. Non molto bene, invece, se un direttore degno di così alte aspettative si è accontentato, in quest’occasione, di accompagnare il canto con gattesca sornioneria, assopendo musica e platea nel placido ronzio degli archi, e quasi obbligando alle tinte flautate i medesimi e rari scoppi nello stile dello Sturm und Drang.
Un peccato originale ha viziato la compagnia di canto: il prevalente ricorso ad artisti non avvezzi alla prosodia italiana. I versi poetici sono divenuti così ora duri, ora monotoni, ora inintelligibili nella pronuncia stentata di quattro cantanti su sei, invalidando il lavoro sulla parola. Inadeguato alla parte protagonistica – gratificata, a suo tempo, nientemeno che dello sfarzo di Jessye Norman e del mordente di Cecilia Bartoli – risulta il valchiriesco soprano Birgitte Christensen: non una sfumatura intacca la sua linea tanto rigida nell’emissione quanto impassibile negli affetti. Miglior impegno comunicativo si legge nel Rinaldo di Thomas Walker, che ha tuttavia precisi limiti tecnici, come quando sembra voler sgranare i trilli con lo scuotere la testa. Astratta eleganza va nel contempo riconosciuta a Robin Johannsen come Zelmira, e consueta correttezza a Magnus Staveland come Clotarco. Quanto ai due italiani in locandina, Anicio Zorzi Giustiniani come Ubaldo e Riccardo Novaro come Idreno, basta che aprano bocca per ristabilire un porgere esatto, naturale e fragrante: pericoloso dovercisi confrontare, in questa Armida.