La tradizione: il progresso che ha avuto successo
di Carla Monni
Un nuovo allestimento del Rigoletto di Giuseppe Verdi chiude la Stagione operistica 2018 del Teatro Lirico di Cagliari.
Cagliari, 23 dicembre 2018 – Dopo undici anni dalla sua ultima rappresentazione, il Rigoletto verdiano – prima opera che rese famoso a livello europeo il compositore di Busseto – è tornato a calcare il palcoscenico del Teatro Lirico di Cagliari con il nuovo allestimento firmato da Pier Francesco Maestrini, già reduce dal successo di pochi anni prima della Turandot pucciniana con la scenografia di Pinuccio Sciola [leggi la recensione]. Si riconferma inoltre lo staff della sua Campana sommersa – rappresentata nel capoluogo sardo nel 2016 [leggi la recensione] – con le scene e le proiezioni di Juan Guillermo Nova, i costumi di Marco Nateri e le luci di Pascal Mérat.
Il Rigoletto cagliaritano è un connubio di storia, cultura e tradizione, nel rispetto assoluto delle didascalie, della musica e delle scene, come le aveva pensate lo stesso Verdi per la prima rappresentazione al Teatro La Fenice di Venezia, avvenuta nel 1851. Si pensi già alla scena di apertura del I atto dell'opera, in cui nella bellissima sala cinquecentesca del Palazzo ducale di Mantova – un chiaro rimando agli ambienti più segreti del Palazzo Te, costruiti e arricchiti dagli affreschi dell'architetto Giulio Romano, e arredato da drappi rossi e da statue rinascimentali – si svolge un'orgia alla corte del vizioso duca di Mantova, qui rappresentato dall'audace voce tenorile di Stefano Secco. La scena – apparentemente azzardata, che sfoggia, al fianco di dame e cavalieri, meretrici a seno nudo e cortigiani – rispecchia letteralmente la visione verdiana, confermata poco dopo dall'ira sprezzante di un convincente Christian Saitta, che nei panni del conte di Monterone rivendica l'onore della figlia, sedotta dal duca, strepitando «Ah sì, a turbare sarò vostr'orgie».
Anche i bellissimi abiti di Nateri – pensati per ogni singolo personaggio – rimandano alla tradizione della metà del Cinquecento, e in particolar modo alla moda iberica, in cui evidenti sono i corsetti costrittivi e le gonne voluminose per le donne, e i farsetti ricamati in oro e pietre preziose per gli uomini, indossati in questa occasione dall'intero coro diretto da Donato Sivo. Inoltre la bellissima Desirée Rancatore nei panni di Gilda – abile e commovente per canto e recitazione – riesce a essere ancora più credibile con le acconciature ad hoc, cardine del fascino femminile rinascimentale. Semplice negli abiti e avvolto nel suo mantello nero è invece il Rigoletto dell'eccellente Marco Caria, la cui voce penetrante e i gesti incisivi ben si adattano a rappresentare il buffone di corte nella sua duplice natura umana e intima – un padre dall'animo benevolo e un indulgente vendicatore –, peculiarità che stanno ancora a valorizzare il pensiero verdiano, in cui è cruciale la potenza lirica e drammatica dei suoi personaggi.
Un lirismo e una drammaticità che caricano piuttosto la limpidezza della musica, diretta per l'occasione dal toscano Elio Boncompagni, che sceglie di rimanere fedele al manoscritto verdiano, consegnando al pubblico una lettura filologica dell'opera. Il direttore ritorna alla partitura autentica, priva di pause eccessive, note ridondanti, puntature arbitrarie e intervalli rimpiazzati, suggerendo nella scelta dei tempi la struttura compatta dell'opera.
Attorno alle vicende dei protagonisti si estende un paesaggio mantovano iperrealista e disincantato, come nella suggestiva scena del III atto, dove in lontananza si intravede il cinquecentesco campanile della basilica palatina di Santa Barbara, che si affaccia sulle valli del fiume Mincio. A fare da corredo all'impianto scenico inoltre le illustrative proiezioni di Nova, che amplificano il significato dell'azione. A tal proposito plateale è il cielo tetro che si incupisce sempre di più quando Rigoletto si accorge che è Gilda ad essere stata uccisa da Sparafucile (Alessandro Guerzoni, affiancato da Anastasia Boldyreva come Maddalena) e non il duca. O ancora la riproduzione di un focolare nella casa del buffone di corte o delle acque torbide del fiume in cui remano i protagonisti. Nova inoltre si affida all'utilizzo dell'elemento cinematografico della prolessi narrativa, anticipando in apertura del I atto il tragico finale dell'opera, con una sequenza dove annuncia la morte della protagonista e l'epilogo della vicenda.
Il cast e l'intero staff creativo è riuscito a trasmettere un Rigoletto genuino, dove nella sua implacabilità sono imperniati pathos e spontaneità verdiani.
foto Priamo Tolu