L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

The Big Band Theory

 di Carla Monni

Il Bologna Jazz Festival ha festeggiato i sessant'anni di jazz nel capoluogo emiliano con la Big Band del Conservatorio “G. B. Martini” e qualche ospite d'eccezione.

Bologna, 20 novembre 2018 – Tappa fondamentale delle tournée europee di band e solisti americani, come Duke Ellington,  Ella Fitzgerald e Benny Goodman, Bologna già dal dopoguerra fu una delle città italiane tra le più attive musicalmente. Ne furono un esempio le formazioni jazz nate sotto il segno delle due Torri: la Criminal del clarinettista Pupi Avati – poi divenuta Doctor Chick Dixieland Orchestra – e la Rheno Dixieland Band; ma in particolar modo per il primo Festival Internazionale di Jazz, nato nel 1958 grazie all'intuizione di due promotori culturali quali Antonio “Cicci” Foresti e Alberto Alberti. A distanza di sessant'anni il Bologna Jazz Festival ha voluto rendere omaggio a questo anniversario con un concerto al Teatro Testoni, che ha visto ospiti alcuni dei più affermati esponenti del panorama jazzistico bolognese: il pianista Teo Ciavarella, la cantante Silvia Donati, il vibrafonista Pasquale Mirra, il sassofonista Piero Odorici e il chitarrista Jimmy Villotti.

Protagonista la Big Band del Conservatorio “G. B. Martini” di Bologna, scelta idonea per questa dodicesima edizione, che celebra – tra l'altro – le grandi orchestre. Non solo, quest'anno ricorre anche la VI edizione del Progetto Didattico Massimo Mutti, riproposto grazie alla collaborazione della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, del Conservatorio e il Liceo musicale bolognesi. Il progetto è dedicato al ricordo di colui che ha fatto rinascere il Festival, e che dall’anno 2006 ne era diventato il direttore artistico, Massimo Mutti. L’iniziativa è nata con l’obiettivo di promuovere conferenze e lezioni-concerto inerenti alla conoscenza storica, stilistica ed estetica di musicisti che annualmente vengono invitati, affiancando dunque la teoria e la pratica dello strumento e della musica d’insieme. Durante la serata concertistica conclusiva del progetto, ogni anno viene assegnato il Premio Massimo Mutti, che consente a quattro dei migliori allievi, due del Dipartimento Jazz del Conservatorio e due del Liceo musicale, di partecipare ai corsi internazionali di perfezionamento estivi 2019, realizzati dalla Fondazione Siena Jazz – Accademia Nazionale del Jazz.

Il programma della serata, affidato alla direzione di Michele Corcella e intitolato Plays the Music of Harbie Hancock, ha previsto alcuni capolavori del pianista chicagoiano arrangiati appositamente dagli studenti del Conservatorio bolognese. Tra le bellissime pagine – edite per la maggior parte dall'etichetta discografica Blu Note tra gli anni Sessanta e Settanta – spicca l'inquietante Speak like a child, arrangiata da Alain Pattitoni, che estende la melodia hancockiana a sei parti vocali e la arricchisce con numerosi voicing affidati ai fiati, lasciando ampio spazio all'avvenente solo di Ciavarella.

Sulla stessa linea malinconica, almeno nell'intro iniziale, la famosissima Dolphin Dance, in cui Giovanni Ghizzani – vincitore del Premio Massimo Mutti – asseconda la struttura di Hancock, dai lussureggianti movimenti armonici; e quando il basso lancia il sax tenore di Piero Odorici la composizione si trasforma in un pezzo frizzante e swingante. Di grande lirismo è invece la ballad Alone and I, in cui Canio Coscia riesce a dare un forte senso di profondità, grazie soprattutto a una delicata e robusta combinazione armonica di fiati. Imponente, nella ritmica e negli intrecci di ance ed ottoni, è Three Bags Full – arrangiata da Gerardo Pepe – in cui emergono i soli del trombone di Federico Pierantoni e della tromba di Gabriele Polimeni.

Ancora la tromba è protagonista in Little One, che da mera ballad viene guarnita da Andrea Bisello con un groove prettamente ritmico e da variegati tappeti sonori. Dominanti sono le impennate, i trilli e le rapide note del solo di Massimo Greco.

La linea galoppante di Riot, arrangiata da Gabriele Quartarone – altro vincitore del Premio Massimo Mutti – con i lunghi pedali e i riff serrati fomenta invece i soli del clarinetto prima e del vibrafono di Pasquale Mirra poi. Inoltre i suoni metallici del vibrafono di Mirra ben si adattano alle atmosfere impressionistiche di Death Wish – prima traccia di apertura della colonna sonora del film conosciuto in Italia come Il Giustiziere della Notte, edita dalla Columbia Records (1974) – arrangiata per l'occasione da Davide Angelica, che adatta gli elementi funk e le sperimentazioni con i sintetizzatori hancockiane dei primi anni Settanta alle sonorità più strettamente jazz, non rinunciando alla suspence scandita da un ritmo compatto in stile Hancock.

Altro brano edito dalla Columbia Records, Chan's Song (1986), ha visto come interprete delle parole di Stevie Wonder la voce duttile e grave di Silvia Donati, che Elisabetta Dall'Argine fonde con un coro a sei voci, un plausibile omaggio alla tradizione “black” del cantante e polistrumentista statunitense. Impregnato invece di un'atmosfera blues declamatoria è Driftin', in cui al centro dell'arrangiamento di Alessandro Medda c'è la chitarra di Jimmy Villotti, che a mo' di call and response, dialoga con tutta l'orchestra.

Gli arrangiatori e la Big Band bolognese hanno ben intuito ed esaltato la poliedricità, l'esplorazione e l'introspezione della musica del pianista chicagoiano; e per dirla alla Hancock le differenze «sono interessanti, e dialogando con gli altri nella musica possono essere create moltissime cose nuove, forme fantastiche che da soli non saremmo mai riusciti a realizzare».


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