Campanella sale in cattedra
di Luigi Raso
Lectio magistralis in recital con Mozart, Beethoven e Schubert per il grande pianista partenopeo dottore honoris causa in Discipline della Musica e dello Spettacolo.
NAPOLI, 28 novembre 2018 - Mozart, Beethoven e Schubert sono le coordinate del recital di Michele Campanella al San Carlo di Napoli in occasione - seppur con qualche mese di ritardo- del conferimento della Laurea honoris causa in Discipline della Musica e dello Spettacolo. Storia e Teoria da parte dell’Ateneo Federico II di Napoli.
Uscito dalla gloriosa scuola pianistica di Vincenzo Vitale - didatta che ha formato, tra i tanti, musicisti del calibro di Bruno Canino, Riccardo Muti, Laura De Fusco, Francesco Nicolosi, Paolo Restani - il napoletano Campanella (classe 1947) ritorna nel “suo” San Carlo per un’unica serata dal programma impegnativo e vario, suonando un pianoforte gran coda Yamaha dotato di due meccaniche intercambiabili, una per il repertorio classico, l’altra per quello romantico e moderno, che consentono un immediatamente percettibile cambio di timbriche e dinamiche.
Si inizia con il cupo e disperato Adagio in si minore per pianoforte, K 540, del 1788: un brano isolato composto, probabilmente per uso didattico, dal trentaduenne Mozart, reduce dal successo praghese del Don Giovanni. La lettura di Campanella è intimistica, improntata a una profonda introspezione; il tocco è leggero e nitido, il suono sussurrato, a tratti secco, le dinamiche contenute. È un adagio che sembra un sospiro estatico pungolato dalle tenui pulsazioni ritmiche della mano sinistra.
La figura enigmatica del genio salisburghese affiora nel successivo Rondò in re maggiore per pianoforte, K 485 che, con la sua contrapposizione tra ilarità e finta gravità, è un invito alla profonda leggerezza. La trama musicale disegnata da Campanella è nitida, tanto nelle volute melodiche, quanto nella ritmica e nell’armonia; il tocco incisivo per poi divenire sfumato nelle modulazione in minore.
Il più complesso Rondò in la minore per pianoforte, K 511, dal flessuoso e struggente tema farcito di cromatismi, è un capolavoro nel genere dei Rondò cosiddetti isolati. Senza incrinare i rapporti formali, Mozart fa emergere e indaga l’aspetto più oscuro della condizione umana, un po’ come il Bach nella venticinquesima variazione Goldberg. E fin dalla tripla acciaccatura iniziale Campanella sembra entrare in punta di piedi nell’abisso indagato dal giovane compositore. L’aspetto intimistico, la riduzione dei pesi sonori che contraddistingue le interpretazioni dei brani mozartiani in programma, nel Rondò in la minore raggiunge il suo vertice: un ritirato soliloquio in un’atmosfera calda. Anche il più piccolo eccesso in Mozart può essere esiziale: Campanella, nello snodarsi dei brani, segue la rotta dell’equilibrio dinamico e agogico, senza cedere alle tentazioni di sdilinquimenti ad effetto.
Le celeberrime Dodici variazioni in do maggiore K 265 sull’aria “Ah, vous dirais-je maman” del 1785, sono connotate da un primigenio candore fanciullesco, quasi anticipatore, di quella innocenza “riconquistata” dell’estremo Die Zauberflöte (1791), e le variazioni consentono a Campanella di sfoderare un compendio di tecnica pianistica: suoni martellati, staccati incisivi, volatine, rarefazioni sonore. Il tutto all’interno della purezza delle linee dell’edificio formale.
Il cambio della meccanica e della tastiera del pianoforte, durante il breve intervallo, tra i brani di Mozart e la successiva Sonata n.8 in do minore per pianoforte, Op. 13 “Patetica” di Beethoven, composta tra il 1798 e il 1799, produce un suono ampio, molto più “pesante” e più proiettato. L’approccio di Campanella alla sonata beethoveniana è estremamente incisivo, violento, sin dal Grave iniziale. Il tema successivo è lacerato: non si perde il senso della misura, ma la tensione, nello sviluppo del primo movimento, è portata ai limiti del punto di non ritorno. L'adagio seguente, eseguito con tocco dall’estrema pulizia e precisione, con la melodia della mano sinistra sempre in primo piano, evoca l’atmosfera dell’aurora dopo la tempesta notturna. Il terzo tempo, Rondò, è estremamente preciso, ma sembra affiorare qualche piccolo calo di tensione emotiva, che il primo tempo aveva lasciato immaginare più vivida.
Il programma si chiude con un’altra impegnativa e celebre pagina della letteratura pianistica: la Fantasia in do maggiore, op. 15 “Wanderer-Fantasie” di Franz Schubert, di fatto una sonata in quattro tempi e dalla forma “ciclica”, con l’uso di uno stesso tema nei quattro tempi e con il suo riapparire nel finale. Composta da Schubert nel 1822 e di poco successiva alla Sinfonia Incompiuta, questa fantasia, come spesso accade per il compositore viennese, nasce da una cellula ritmica del Lied "Der Wanderer", dal quale il nome. L’esecuzione di Campanella è senza sbavature, incisiva, di estrema precisione e di controllo dei piani sonori e della ritmica: il tema non si perde mai di vista, il suono è potente, rotondo, nitido. L’Adagio del secondo movimento è di una cupezza senza possibilità di redenzione, disegnato con atmosfere sonore che quasi anticipano quelle disfatte de La Cathedrale engloutie di Debussy; si passa poi all’irruenza dello sforzato del terzo movimento e al martellato in fortissimo dell’allegro del quarto movimento. Il Campanella grande interprete di Liszt può divertirsi ad affrontare con sicurezza e senza scomporsi i funambolismi tecnici di cui è farcito il movimento finale.
Al termine del concerto Campanella è accolto da calorosissimi applausi da parte del pubblico - purtroppo ancora una volta estremamente esiguo, forse per la concomitanza della partita del Napoli in Champions League - e dichiara, sorridendo, di non voler trattenere chi volesse seguire la partita: invito non accettato, per la cronaca!
Regala un “solo bis, ma molto impegnativo”, come tiene a precisare, Totetanz, nella versione per pianoforte solo, dell’amatissimo Franz Liszt.
Dire che l’unico bis è stato il pezzo forte della serata significherebbe sminuire, e ingiustamente, il pregio dell’intero programma. L’ascolto di Totentanz non è frequentissimo a causa della sua diabolica difficoltà tecnica, tuttavia la lettura di Campanella è da manuale per lo scintillio della tecnica, la raffinatezza e la mutabilità dei suoni, per l’onnipresente, ossessiva e sarcastica presenza del tema del Dies irae gregoriano, scolpito sulla tastiera con incisività dalla terribile drammaticità, in un’orgia di glissandi, accordi e ritmiche da far tremare le vene e i polsi.