La carne e lo spirito
di Antonino Trotta
Nella seconda compagnia di canto impegnata nelle recite di Carmen al Teatro Regio di Torino brillano le prove di Martina Belli e Giuliana Gianfaldoni.
Torino, 19 dicembre 2019 – Non è detto che per cantare, anzi essere, Carmen, il physique du rôle serva necessariamente: la seduzione, di cui la gitana è regina, scomoda tutti sensi che vanno dalla cintura pelvica in su. Del resto per soggiogare gli uomini, creature istintive e semplici, non occorre nemmeno troppo sforzo. Non è detto che il physique du rôle serva, ma se c’è, è tanto di guadagnato, specialmente nel momento in cui si individua nel bipolo Carmen-Micaëla e nel gineceo che Bizet quindi descrive il contrasto tra le possibili declinazioni della femminilità: quella della carnalità dannata e della purezza assoluta.
Sarebbe allora da ipocriti licenziare con sufficienza la bellezza prorompente di Martina Belli, viepiù se ella è sì virtuosa dell’accavallamento di gambe, ma anche e soprattutto artista elegantissima che qui al Regio di Torino dà vita a una Carmen ricca di nuance, sulla scena e nel canto. Belli è una cantante intelligente, attenta a limitare al minimo l’utilizzo di emissione di petto, come del resto avevamo già notato in occasione della scorsa Italiana in Algeri. Di ciò beneficia innanzitutto la voce, già interessante per il colore brunito e vellutato, che si conserva timbrata ed omogenea in tutta la gamma e assicura facili ascese all’acuto; ne beneficia inoltre l’interprete, prodiga nell’abbigliare con vesti voluttuose una donna passionaria, perché no fragile dinnanzi al diniego del dragone imbelle, sempre ammiccante e sensuale nel fraseggio ma mai volgare o scontata. E la linea di canto nitida e generosa di sfumature attesta peraltro il puntuale lavoro di approfondimento condotto sul personaggio: strega, ammaliatrice, diavolo, donna, femmina, tutte queste figure ora si intersecano, ora si sommano nella Carmen della Belli.
Se con Carmen si gravita nelle cerchie dell’inferno, la Micaëla di Giuliana Gianfaldoni, nemmeno fosse la Beatrice dantesca, ci accompagna direttamente in paradiso: con voce d’angelo nell’accezione più celeste del termine, musicalità spigliata e fine, fraseggio nobile e accenti dolenti, Gianfaldoni incanta il pubblico del Regio a suon di eterei filati – e, in tutta sincerità, non vediamo l’ora di riascoltarla come Nanetta al Municipale di Piacenza a gennaio! –. La sua Micaëla è l’espressione corporale della purezza, ma pure del candore, dell’ingenuità, dei valori convenzionali, insomma di quel mondo “semplice” da cui anche Don José proviene ed entro cui meglio si legge il dissidio interiore dell’antieroe bizetiano, anch’è a suo modo diviso tra carne e spirito.
Quanto al resto del cast, di valore è anche la prova di Andrei Kymach, baritono dalla voce rotonda, solida e ben proiettata che certo giova alla baldanza del torero. Meno entusiasmante il Don José di Peter Berger che ha bel timbro ma è spesso messo alle corde da suoni forzati e appesantiti. Tra il comprimariato invece, che forse nella recensione del primo cast abbiamo un po’ trascurato, vale la pena ribadire le belle prove di Costantino Finucci, Moralès tonitruante, e Sarah Baratta, Frasquita deliziosa per l’insolenza con cui le luminose puntatore svettano nei pezzi d’assieme.
Nulla da aggiungere in merito della direzione di Giacomo Sagripanti, all’ottava replica sopportata da un’orchestra smagliante. Sempre perfetto il coro. Ancora una volta platea gremita per questa Carmen che ha portato un po’ di calore latino nei freddi giorni prenatalizi.
foto Edoardo Piva