Borghese contro Arianna
di Francesco Lora
Al Festival della Valle d’Itria, Der Bürger als Edelmann e l’atto di Arianna tornano a ricomporre l’Ariadne auf Naxos del 1912, o meglio finiscono ancor più allontanati l’uno dall’altro nonché dal loro singolo assetto originale. Grande musica con le concertazioni di Spotti e Luisi, con il canto di Remigio, Pretti e Pratt, e con quello di eccellenti caratteristi.
MARTINA FRANCA, 25-26 luglio 2020 – Con parole di Hugo von Hofmannsthal e musica di Richard Strauss, quel capolavoro di Ariadne auf Naxos non fu sempre uguale a sé stesso. La versione oggi corrente è la rielaborazione del 1916: la costituiscono un prologo ambientato nella Vienna di Maria Teresa e un atto unico di genere eclettico, sul mito di Arianna, che funge da dramma nel dramma. La prima stesura, del 1912, ambientata nella Francia del Re Sole, dava invece luogo a uno spettacolo ibrido: Le bourgeois gentilhomme di Molière, commedia di parola ridotta come Der Bürger als Edelmann e munita di estese musiche di scena, precedeva l’atto in una versione più lunga e complessa, dove l’asse principale risiedeva non nella coppia Arianna/Bacco, ma in quella Arianna/Zerbinetta (primadonna seria contro primadonna buffa). Non funzionò, per insoddisfazioni incrociate: il pubblico del teatro di prosa non era e non è lo stesso del teatro d’opera; le istituzioni di spettacolo, specializzate, non hanno mezzi ambivalenti; Der Bürger als Edelmann è l’instabile contrafforte di un edificio, l’atto di Arianna, che sa stare benissimo in piedi da solo. Infatti quest’ultimo divenne cosa a sé. Gli autori tentarono la via autonoma anche con Der Bürger als Edelmann, aumentato di un terzo con scene e musiche nel 1917, ma Strauss lo smantellò poi presto in una suite strumentale di poche pretese.
Il Festival della Valle d’Itria ha fatto un passo per riunire le sorti del Bürger als Edelmann e dell’atto di Arianna, ma ne ha fatti parecchi in più per allontanarli l’uno dall’altro nonché dal loro singolo assetto originale. Ha innanzitutto prodotto due spettacoli distinti, con quattro recite ciascuno nell’atrio del Palazzo Ducale di Martina Franca (14 luglio - 1° agosto e 21 luglio - 2 agosto); ne ha affidato i testi a interpreti differenti e con un progetto non in comune; per Der Bürger als Edelmann ha preferito la revisione del 1917 all’originale del ’12; ha infine commissionato una versione ritmica italiana, dal tedesco, di tutti i testi cantati. Critica all’ultimo punto: la musica di Strauss è così idiomaticamente germanica da adattarsi con fatica alla prosodia italiana; la traduzione di Quirino Principe e Valeria Zaurino è referenziata ma con lessico di un secolo dopo; l’epoca dei sopratitoli e degli scambi Erasmus ha da tempo squalificato il ricorso alla lingua del luogo; una traduzione è godibile, infine, purché i cantanti la padroneggino con dizione netta e spigliata. Alla somma: se Der Bürger als Edelmann diviene Il borghese gentiluomo e Ariadne auf Naxos diviene Arianna a Nasso, il pubblico italiano non ne trae un reale vantaggio mentre quello internazionale finisce tagliato fuori. Vero è che la lingua tedesca è spauracchio dei cantanti italiani: ma qui si dirà di artisti così ferrati da non alimentare pregiudizi.
Quanto alla partitura, Der Bürger als Edelmann non è appunto un’opera ma un set di musiche di scena. L’allestimento martinese fa piazza pulita del testo di Molière e, drammaturgicamente, procede su una coppia di binari ben separati. Da una parte sta la mise en espace firmata da Davide Gasparro: essa prende atto di un contesto non adeguato a riportare le musiche entro l’originale commedia parlata; ossequia dunque le partiture nell’asciutta astrazione del colpo d’occhio, e insieme attua il paradosso di uno spettacolo in tempo di pandemia: sul palcoscenico nessuno si tocca, compresa la coppia di danzatori, ed è virtuosismo di coreografia. In alternanza alla mise en espace si pongono i tre monologhi scritti da Stefano Massini e da lui protervamente recitati alla “prima”: monologhi dove si indaga il ruolo sociale, nel mondo contemporaneo, dei nuovi ricchi (altra cosa, però, rispetto al Monsieur Jourdain molieriano) e dell’artista odierno (“inutile”, vista la non-immanenza del suo prodotto professionale); monologhi lunghissimi, troppo lunghi, così da far sembrare la musica un vacuo riempitivo anziché il centro dell’operazione; monologhi che non riconoscono dunque Der Bürger als Edelmann come testo, ma lo declassano a loro pre-testo. Quando nelle repliche essi passano a Gasparro stesso, attore dall’eloquio più amabile, non è un caso che incorrano in copiosi e sacrosanti tagli.
Si ammira la concertazione di Michele Spotti, lucidamente padrona del testo e conscia della sua tradizione esecutiva (Erich Leinsdorf su tutti), nonché pronta a svelare con genuino divertimento e nessuna vanità accademica la selva di citazioni (Rigoletto di Verdi, Das Rheingold di Wagner, oltre che molto Strauss). Piace che l’Orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari segua il giovane maestro con la stessa alacrità prestata a Fabio Luisi, il famoso, esperto ed esigente concertatore cui spetta dare lettura dell’atto di Arianna. Da lui procede una direzione che ammalia, non si saprebbe dire se più per teutonica precisione o per latina fluttuazione, se più per metallici bagliori o più per setose morbidezze, se più per deferenza storica o per vigore innovativo: un’interpretazione tra le sue in assoluto più onnivalenti, mobili e sorprendenti, in amoroso rapporto con le prime parti d’orchestra e ancor più con le voci. Se però si coglie la complicità tra Spotti e Gasparro, non si può dire lo stesso di chi lavora con Luisi. Alla regìa di Walter Pagliaro manca infatti una bussola chiara e condivisa, cui supplisce la sempre geniale inventiva del costumista Giuseppe Palella. Dalla staticità dell’insieme emergono soprattutto gli errori: come quando ombrellini chiari fendono l’oscurità onde nascondere le maschere che li reggono; o come quando due attori iniziano a chiacchierare sacrileghi sopra il sublime monologo di Arianna.
Il monologo è ancor più sublime se ad animarlo è Carmela Remigio: al suo sterminato repertorio mancava Strauss, ed ecco – capolavoro che commuove – un’Arianna finalmente restituita a un calibro lirico, a un timbro naturale, a un porgere immediato, a una fervida comunicativa, a una tavolozza di risorse belcantistiche troppo spesso negate alle eroine dell’opera germanica. Gli italiani cantano meglio dei tedeschi, anche in Strauss; dirlo è politically incorrect, ma ne fa fede Piero Pretti, cui qualcuno ha fatto perdere tempo in Anna Bolena o nel Pirata, e che diviene invece il primo Bacco seducente e autorevole dell’ultimo mezzo secolo. E Zerbinetta, che nel 1912 cantava più ampiamente e temibilmente, sul trapezio del virtuosismo senza rete? Jessica Pratt non è la scoppiettante soubrette che il ruolo attenderebbe come interprete ideale; è però una primadonna massima, forse quella che oggi sa meglio sbalordire, con simpatia da gran diva, in questa parte micidiale: chi non sa godere del dono di questo debutto, dubiti della propria melomania. Eccellenti i caratteristi, per prestanza canora ed effervescenza scenica: Barbara Massaro come Naiade (già Pastora nel Borghese), Ana Victoria Pitts come Driade (già Pastore), Mariam Battistelli come Eco, Vittorio Prato come Arlecchino (già Monsieur Jourdain), Vassily Solodkyy come Scaramuccia, Eugenio Di Lieto come Truffaldino e Manuel Amati come Brighella.