Destino maledetto, non ce la puoi ficcar
di Roberta Pedrotti
Non dimostra per nulla i suoi venti anni, anzi, guarda al futuro con determinazione Il viaggio a Reims voluto da Alberto Zedda per i giovani dell'Accademia Rossiniana che ora porta il suo nome. Costretti dalla pandemia a rimandare i corsi per le nuove leve, lo spettacolo si rinnova come una delle portate principali di questo ROF rimodulato e raduna un entusiasta cast di "ex".
PESARO, 12 agosto 20220 - Chissà cosa direbbe Alberto Zedda. Questo Viaggio a Reims è una sua creatura, la sua prima iniziativa da direttore artistico del Festival nel 2001, banco di prova per i "suoi" ragazzi dell'Accademia Rossiniana, cantanti e direttore, con uno spettacolo affidato allora a Emilio Sagi e ripreso ogni anno da Elisabetta Courir senza perdere - anzi - un briciolo della sua freschezza. Sarebbe contento, immaginiamo, e sembra di sentire il suo spiritello in piazza del Popolo che sorride guardando questa schiera di "ex" dell'Accademia di ritorno all'Albergo del Giglio d'Oro per far vivere anche questo Festival 2020 minacciato e reinventato in tempo di pandemia, aspettando non l'incoronazione di un re, ma la messa a punto di un vaccino.
Con Alberto Zedda, con tutti coloro che non ci sono più, in questo momento che più che mai ci porta a guardare il mondo con occhi diversi, forse in piazza, invisibile, c'è anche Lubomir Màtl, storico maestro del coro al Rof dal 1983 al 2010, anche al fianco di Claudio Abbado per la storica riscoperta proprio del Viaggio a Reims. Più delle formule classiche o cristiane sul riposo eterno, echeggia quella ebraica: il loro ricordo sia (è) di benedizione.
E per tre ore possiamo anche noi abbandonare il fango e il loto e indossare come fossero panni reali e curiali gli accappatoi del Giglio d'Oro, sognare un'Europa il cui destino "sempre sia" "felice appien", che sorga "dell'aurea età l'albore" e che "sempre agli umani in core regni fraterno amor". Possiamo farlo anche giocando a celebrare un Carlo X che tanto illuminato non era in realtà, anzi, e immedesimandoci nei dibattiti politici urgenti due secoli fa, come quello dell'indipendenza greca.
Possiamo ritrovare questi giovani che negli ultimi anni avevamo visto pressoché esordienti e ora tornano, con nuove esperienze e con la gioia palpabile e condivisa di tornare sul palco, di fare musica, di far teatro. C'è chi - siamo anche all'aperto e con amplificazione - si mostra in piena forma, chi maturato rispetto a come lo ricordavamo ai tempi dell'Accademia, chi magari meno a fuoco, o con un repertorio che si sta volgendo ad altri lidi. Ma basta vederli lì, tornare a questo Viaggio a Reims, vederli agire nella musica, ballare traboccanti d'entusiasmo ed energia per far valere la serata.
Lo spettacolo è ripensato in dettagli minimi. Non manca il quotidiano attuale quando Don Prudenzio usa un termoscanner, igienizza il telefono o gli inservienti del Giglio d'Oro si disinfettano le mani e utilizzano massaggiatori senza toccare direttamente gli ospiti. Maddalena non può fare la manicure a Madama Cortese, ma ciascuna si rifà il trucco da sé, così come il piccolo Re Carlo non stringe la mano ai sudditi/spettatori, limitandosi a cenni distanziati. Si fa quel che si può, ed è molto e funziona bene ugualmente. Sì, ci manca l'essere del tutto liberi nei contatti, ma si può fare teatro, eccome, anche così.
Ed è bello incontrare di nuovo Corinna di Maria Laura Iacobellis, una di quelle artiste capaci di raccontarci che le strofe interminabili della poetesa son sublimi e non tediose, o la brillante Folleville di Claudia Muschio, o la Melibea dal timbro smaltato di Chiara Tirotta, il Don Profondo così ben delineato da Diego Savini, il Don Alvaro del giovanissimo e promettente Jan Antem. Rinnova la sua teutonica simpatia il Trombonok di Michael Borth, Nicolò Donini torna con un signorile Lord Sidney, Matteo Roma è ancora un esuberante, agile Belfiore e Pietro Adaini presta una vocalità irrobustita all'orgoglio di Libenskof. E, ancora, Claudia Urru torna a Madama Cortese, Alejandro Sanchez a Don Prudenzio, Antonio Garés a un interessante Don Luigino, Carmen Buendìa a Delia, Valeria Girardello a Maddalena, Francesca Longari a Modestina, Oscar Orè a Zefirino e Gelsomino ed Elcin Huseynov ad Antonio. Elisa Cerri torna al continuo per i recitativi, Elena Giri è il flauto solista e Irene Piazzai l'arpa gentil dell'Orchestra Sinfonica G. Rossini.
Convince un po' meno Giancarlo Rizzi, che dal podio sembra elargire qualche pesantezza di troppo, senza che il vigore si trasformi sempre in vera energia, gonfiandosi piuttosto in qualche zavorra. Date le condizioni non proprio ideali dell'esecuzione in piazza - vediamo microfoni ambientali, che al chiuso per le registrazioni live possono essere preferibili, ma qui sembrano dare un ritorno un po' appiattito e macchinoso rispetto ai recital solistici - gli concediamo attenuanti e aspettiamo di riascoltarlo in contesto più confortevole.
Intanto, però, ci siamo. Per qualche ora "Aura serena inebbria il cor" perché Rossini non si ferma, la creatura di Zedda per i giovani e per il futuro continua a lanciare il suo messaggio e si reagisce senza dimenticare, con una nuova consapevolezza di quel miracolo che è, ogni volta, il teatro musicale dal vivo. E se ora tornano a festeggiare e sperare i ragazzi dell'Accademia di ieri, già si prepara per l'autunno, indomita, l'Accademia di domani. Appuntamento in novembre, allora, per una nuova tappa del Viaggio a Reims.
foto Amati Bacciardi