Cautela e coraggio
di Roberta Pedrotti
Giovanna D'Arco e La cambiale di matrimonio riportano il Rossini Opera Festival al teatro Rossini. Il coraggio del ritorno in scena al chiuso fa il paio con la prudenza con cui Dmitry Korchak e Laurence Dale realizzano una concertazione e una messa in scena "old style". A due tenori passati alla bacchetta e alla regia, risponde come punto di forza della serata un bel cast che affianca nuove leve a consolidate certezze rossiniane.
PESARO 13 agosto 2020 - L'opera al chiuso. Sembra un miracolo, una riscoperta inaspettata, si avanza in silenzio, quasi in punta di piedi, attenti a tutte le precauzioni. Eppure, è così naturale. Come di ritorno da un viaggio, si rientra al Teatro Rossini e ci sembra di tornare a casa, di ritrovare tutto come lo avevamo lasciato. O quasi, certo: molti amici e conoscenti non sono qui come ogni anno, sono comparsi i distributori di igienizzanti, sono scomparse le caraffe ben in vista al bar, niente più poltrone in platea, niente buca, ma l'orchestra diffusa al centro, tanto che nei palchi del primo ordine ci si trova al livello degli strumenti. Una prospettiva ottocentesca, sembra un dipinto di Degas, per quanto gli strumenti odierni (si pensi solo alle corde in acciaio e non in budello per gli archi) abbiano sonorità che si temperano meglio in buca, mentre così rischiano di soverchiare. L'orecchio deve farci l'abitudine, soprattutto per chi siede nei primi ordini, e affinarsi in direzione delle voci.
Al direttore designato si prospettava un debutto sul podio pesarese ben altrimenti tranquillo e riparato: Dmitry Korchak tante volte ha calcato le scene del Rof come cantante, ma da qualche tempo intende cimentarsi con maggiore assiduità con la concertazione. Fra produzioni importanti come i previsti Moïse ed Elisabetta, questo esordio di un volto familiare in nuova veste avrebbe dovuto avvenire in modo più discreto, semmai facendo leva sulla curiosità per la presenza di un altro (ex) tenore come Laurence Dale alla regia. Ora che La cambiale di matrimonio resta l'unica opera superstite della triade principale (ma conquista maggior spazio Il viaggio a Reims) gli sguardi si concentrano inevitabilmente qui, sul solo titolo che si rappresenti al chiuso in uno spazio tradizionale seppur reinventato. Aumenta la responsabilità e forse aumenta anche la cautela di Korchak, diligente, sì, ma un po' spento nello spirito, con una gestione agogica che talora scivola nella stasi senza assecondare al meglio il respiro del canto e dell'azione. Ci appagano i sorrisi eloquenti dei professori dell'Orchestra Sinfonica G. Rossini, confcon Daniela Pellegrino al cembalo, tornati ai loro leggii, ma resta l'impressione di una guida con il freno a mano tirato e la prima sempre, prudentemente, ingranata.
Anche Dale sceglie la via della prudenza, con uno spettacolo che sembra guardare alle mode di qualche decennio fa, quando Ponnelle era vivo, sì, ma era anche unico e non tutti, alla sua ombra, avevano la medesima grazia e arguzia. Un lavoro minuzioso, senz'altro, anche ben movimentato e chiaro, ma pure zeppo di mossette e mossettine, gag (lo ammetto, l'orso domestico di Slook non ha intercettato il mio senso dell'umorismo) e, sotto sotto, ligio a quella che un tempo pareva essere una legge incisa sulle tavole del Monte Sinai: alla fine, nei concertati, i cantanti si dispongano sempre in fila. Naturalmente, è comprensibile che le norme sul distanziamento possano tarpar le ali ed evidenziare stereotipi, che la difficoltà nell'interazione si compensi con qualche smorfia o balletto in più, che sia meglio talora fissare chi canta in posizioni opportune e lasciar muovere dietro i figuranti. Da questo punto di vista, nulla da dire. Anzi, si apprezza come molte soluzioni abbiano fatto quasi dimenticare le limitazioni. Per esempio, funziona molto bene il gioco di ambienti che alternando interni, esterni, saloni, camere, cucine, parchi giustifica e smussa i distanziamenti. Chapeau, allora, anche allo scenografo Gary McCann e al curatore delle luci Ralph Kopp, nonché - verrebbe quasi da dire soprattutto - ai laboratori del Rof, che a tempo di record e fra mille difficoltà creano un vero gioiellino scenico in questa dimora in continua evoluzione. Idem, un plauso merita la sartoria per l'ottima realizzazione dei bozzetti sempre di McCann: tessuti fantasiosi e continui cambi per gli "affettati" europei, tenute in stile L'ultimo dei Mohicani per Slook e i suoi compagni di viaggio.
Chi si impone, però, allacalla fin fine propellente della serata sono i cantanti in attività, quelli sul palcoscenico, più che quelli sul podio o in cabina di regia. Apre la serata Marianna Pizzolato: il progetto iniziale vedeva la Cambiale abbinata a un piccolo concerto con un'inedita sinfonia alternativa per L'equivoco stravagante e la cantata Giovanna d'Arco nell'orchestrazione di Salvatore Sciarrino. Anche per ragioni di tempi - uno spettacolo al chiuso non può protrarsi troppo a lungo - cade la sinfonia, ma resta la cantata, composta dopo l'addio al teatro mentre La cambiale è il primo titolo rossiniano a debuttare sulle scene, malinconica ed eroica mentre l'opera è un fulminante ingranaggio comico, storia di una fanciulla che si getta nei campi di battaglia da una parte, di una giovane che combatte fra le mura domestiche per la sua libertà e dignità l'altra. Pizzolato ha quel puro velluto contraltile che nel linguaggio rossiniano declina la femminilità come l'eroismo, risultando così una perfetta Giovanna d'Arco, toccante soprattutto nel meraviglioso cantabile "Ah mia madre, e tu frattanto", dispiegato con bel legato ed eloquenza poetica, prima di una cabaletta parimenti in grado di esprimere slancio e tenerezza, anche se una concertazione un po' più movimentata avrebbe certo giovato.
Nella Cambiale Carlo Lepore fa la parte del veterano alla guida in una compagnia giovanissima. In effetti il suo Tobia Mill è una lezione di arte buffa: voce ben timbrata, proiettata, robusta, sempre a fuoco senza trucchi o sconti, non risulta mai inutilmente ammiccante, mai sopra le righe, sempre con gusto nel personaggio del mercante pronto a negoziare su qualunque cosa, ingenuamente sedotto dallo spirito del nuovo mondo, ma pur sempre un buon uomo, a suo modo. La vocalità di Giuliana Gianfaldoni, così come la sua figura, aiuta a definire una Fannì più volitiva del consueto, meno assimilabile al cliché dell'amorosa tutta colorature, candore e malizia, più vicina a un'idea anche letteraria di autodeterminazione femminile. La voce è morbida, il canto duttile, il piglio risoluto, l'espressione varia. Tutti, è bene sottolinearlo, possono vantare un'ottima dizione, sia i madrelingua sia i non italiani. È ucraino, ma non si sente, Iurii Samoilov, che interpreta uno Slook giovane e di bell'aspetto per il quale non si può che provare simpatia: non un arricchito gradasso d'oltreoceano, ma un ragazzotto estroverso, onesto e di spirito, spaesato di fronte ai costumi europei. La voce è molto interessante e, con i suoi trentadue anni, ancora passibile di evoluzione, ma già ora risulta spigliato, sicuro e convincente. È rumena Martiniana Antonie, che rende molto bene l'arietta di Clarina. È spagnolo Pablo Galvez, un Norton ben presente, attento e complice. È nato invece solo a un centinaio di chilometri da Pesaro, a Civitanova Marche, Davide Giusti, che interpreta il fortunato innamorato di Fannì, Edoardo. La parte è invero ingrata - un duettino, un terzetto - ma il tenore si dà da fare con profitto per non far soccombere il personaggio alla verve delle voci gravi e della primadonna. L'edizione critica cui sta lavorando Eleonora Di Cintio potrebbe proprio offrire qualche soddisfazione in più a Edoardo, ma, ahimé, la pandemia ha chiuso oltre ai teatri anche le biblioteche e anche la revisione delle fonti della Cambiale di matrimonio ha subito un rallentamento.
Per ora, quindi applaudiamo La cambiale così come l'abbiamo sempre ascoltata, in una serata senza scossoni o sorprese, ora che già tornare in teatro mentre c'è chi suona, canta, recita fisicamente nello stesso ambiente sembra un miracolo che non diamo più per scontato. Diamoci, però, appuntamento quanto prima per riscuotere gli interessi di una nuova cambiale, in edizione critica, che ripaghi il coraggio e la prudenza di quest'estate 2020.
foto Amati Bacciardi