Il cimento Olimpico
di Roberta Pedrotti
Un cast giovanissimo affronta con ardimento il capolavoro di Vivaldi e Metastasio, la cui perfezione e profondità di pensiero trova un ideale corrispettivo estetico nelle architetture palladiane del Teatro Olimpico.
VICENZA 5 settembre 2020 - Loderemo mai abbastanza l'arte di Pietro Metastasio? Organizza come genere letterario il libretto d'opera – almeno – in lingua italiana e ne condiziona, con formule, strutture, linguaggio, l'evoluzione futura. Locuzioni metastasiane ricorrono ancora in pieno Ottocento e ancora ricompaiono suoi libretti, perfino il suo primo, Didone abbandonata, che nel 1823 viene rimesso in musica da Mercadante attraverso una rielaborazione di Tottola. Tanta fortuna non stupisce se si presta attenzione alla qualità dei testi e della costruzione drammaturgica di cui L'olimpiade, uno dei libretti metastasiani più fortunati, è un esempio perfetto.
Licida e Megacle sono amici fraterni, il primo chiede al secondo, ottimo atleta, un favore da nulla: vincere i giochi olimpici spacciandosi per lui in modo da assicurargli la mano della bella principessa Aristea. Purtroppo Megacle ama, riamato, proprio Aristea, ma non vuol venir meno alla promessa fatta incautamente all'amico, il quale, peraltro, resosi conto del suo pessimo comportamento, si fa condannare a morte per espiare. Tutto si risolve, tuttavia, quando Licida è scoperto essere il fratello gemello perduto di Aristea e torna di buon grado al primo amore, Argene, nel frattempo camuffata in panni di pastorella. Resta per il padre ritrovato, re Clistene, l'imbarazzo della condanna di Licida al sacrificio sull'ara di Giove, ma proprio nel momento cruciale scade la sua autorità su Olimpia, il caso passa dal giudizio del re al voto della comunità e Licida ottiene la grazia. Un intreccio di peripezie e agnizioni a lieto fine nella miglior tradizione che va dallo Ione di Euripide al romanzo ellenistico, ma il trattamento di Metastasio fa sì che non si tratti solo di una ben ordinata e ragionevole sequela di tormenti risolti e solleciti, bensì, tematiche e riflessioni ben altrimenti profonde. Basterebbe pensare al finale per comprendere la sostanza delle questioni etiche sollevate, con Clistene diviso fra il sentimento privato (splendida l'aria “Non so donde viene” in cui preconizza il riconoscimento del figlio) e il suo ruolo pubblico e politico, fra l'affetto paterno e la minaccia dell'oracolo che avrebbe voluto il figlio futuro parricida. Quando la risoluzione è posta nel passaggio fra la responsabilità del singolo e il voto di un'assemblea è chiaro che il riferimento cruciale sia nell'Orestea di Eschilo e nell'istituzione dello stato di diritto. Ma, oltre alla dimensione etica politica e al concetto di responsabilità, in Metastasio trova spazio uno sviluppo acuto della psicologia individuale e dei rapporti privati: il conflitto fra amore, amicizia, famiglia, desiderio, dovere conferisce spessore a ogni personaggio e definisce la presa di coscienza di Licida, superficiale e narcisista al punto da invaghirsi (ignaro) di una principessa che è la sua sorella gemella, maturato poi nel momento in cui comprende i sentimenti altrui e, al pari di Edipo, conosce se stesso e le proprie origini.
Fra le decine e decine di compositori che hanno messo mano all'Olimpiade, Vivaldi arriva nel 1734, prestissimo, appena un anno dopo la prima assoluta a Vienna musicata da Caldara. Le dinamiche in nulla eroiche, ma tutte agite fra dilemmi interiori, trovano esaltazione nella finezza di una scrittura patetica e drammatica (basterebbe ascoltare l'articolazione del testo in “Se pensa, se dice”), a tratti perfino intimista, sottilissima nel dipanare slanci, reticenze, turbamenti, riflettere con amarezza o proclamare principi ineludibili. Ciò non significa che la scrittura non sia esigente – tutt'altro, tali e tante sono le finezze richieste, i colori e gli accenti necessari – o che pagine come “Per que' tanti suoi sospiri” non comportino una brillantezza assertiva anche nella grazia della scrittura fiorita o che “Lo seguitai felice” non solleciti nell'inquietudine e della risoluzione di Megacle tutte le armi retoriche del virtuosisimo negli anni '730. Tuttavia, è Aminta, come altri personaggi metastasiani drammaturgicamente secondari all'apparenza e funzionali comunque allo scioglimento finale, a esprimersi con una vocalità più appariscente e spericolata, tanto che la ricerca di un soprano agilissimo rischia talora di sacrificare l'autorevolezza di quello che si svelerà essere il non più giovane pastore che aveva salvato Licida in fasce.
Di tutto questo gioco di equilibri i recitativi sono parte integrante e fondamentale a reggere l'espansione patetica delle arie sviluppando i caratteri, i loro rapporti, i loro principi e i loro conflitti. Non c'è, insomma, un solo dettaglio che valga la pena di sacrificare, ché stiamo parlando di un capolavoro che richiede solo la cura di una fruizione attenta al suo linguaggio specifico, non di un'intricata esibizione di vari affetti ed effetti musicali.
In questo caso, a Vicenza, abbiamo una contingenza ben precisa a stringere d'assedio le ampiezze del dramma metastasiano: le norme sanitarie limitano il numero di persone anche dietro le quinte e sul palco, la durata complessiva dello spettacolo deve essere contenuta e i corridoi angusti dell'Olimpico sconsigliano gli intervalli, la gestione delle prove e dell'operastudio per un cast giovane non è propriamente agevole. Dunque, l'organico si riduce all'osso – ridistribuendo all'occorrenza qualche assolo – e la partitura si riduce di circa mezz'ora; neppure troppo, tutto considerato. “Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole”, viviamo in un momento in cui le contingenze hanno forza maggiore, né si può mettere in discussione la necessità di agire in sicurezza, tuttavia non bisogna smettere di ricordare che il taglio è anche in questo caso un sacrificio, che il valore di un testo come quello dell'Olimpiade si gusta tutto nella sua completezza, nei suoi rapporti interni, nei suoi raffinatissimi equilibri. Ricordiamo quel a cui stiamo rinunciando per poterne godere pienamente quando sarà possibile
Ciò premesso, Francesco Erle imprime alla sua concertazione la giusta misura e, nel contempo, la debita mobilità dinamica alla guida del buon ensemble barocco di Vicenza in lirica e di un cast giovane ed entusiasta, preparato – e si sente – in collaborazione con Sara Mingardo. Destano ottima impressione le voci gravi di Patrizio La Placa ed Elcin Huseynov quali Clistene e Alcandro, così come Daniela Salvo e Francesca Leone, rispettivamente Aristea e Argene, attente alla parola e al senso teatrale di un canto che è prima di tutto recitazione all'ennesima potenza, specie per la seconda, dama pastorella tradita, volitiva e ardita. Colpisce molto positivamente anche la duttilità, la freschezza, la chiarezza espressiva di Emma Alessi Innocenti come Megacle, forse la migliore del cast. Graziosa, ma ancora la voce di Maddalena De Biasi quale Aminta e in via di perfezionamento quanto a continuità d'emissione e nettezza di fraseggio il Licida dalle intenzioni ardimentose di Sandro Rossi. Trattandosi di una compagnia in cui nessuno passa i trent'anni e la media anagrafica punta più decisamente verso i venti, non si può che lodare i risultati conseguiti, buone premesse a traguardi futuri, talenti promettenti, qualità già degne di nota e legittime speranze. Per tutti, con l'auspicio di tante proficue occasioni di lavoro e di crescita, l'invito a proseguire con caparbietà nello studio.
In un quadro come quello del Teatro Olimpico nulla sembra che si possa e si debba aggiungere se non l'azione dei cantanti attori. Da vecchia volpe delle scene Bepi Morassi non chiede che minima attrezzeria, suggerisce a Carlos Tieppo di ispirare i costumi ai gruppi scultorei dello stesso teatro palladiano, ricorre al ben collaudato stratagemma del museo o dei fantasmi del palcoscenico che prendono vita, si fa prendere a sua volta la mano con qualche gag, punta su un consolidato apparato di gesti e atteggiamenti, come il volgere le spalle al pubblico sul fondo e voltarsi decisi per attaccare il Da capo di un'aria. Tutto scorre liscio e senza intoppi verso il meritato festeggiamento finale dell'intero cast cast.