Violetta c’è, nella buona e nella cattiva sorte
di Luigi Raso
La traviata torna al San Carlo in forma di concerto e continua a entusiasmare, nonostante le difficoltà, grazie soprattutto a una compagnia di canto ben assortita, in cui brilla la Violetta di Nino Machaidze.
NAPOLI, 23 ottobre 2020 - La Traviata, da anni saldamente in testa nella classifica delle opere più rappresentate al mondo, sembra conservare il proprio primato anche al tempo del Covid-19. Non c’è pandemia e coprifuoco - in Campania è in vigore da ieri - che possa offuscare l’amore di Violetta e Alfredo. Violetta resiste, come tutti noi in questo lungo tempo sospeso e angoscioso. E dopo le recenti rappresentazioni a Milano, Modena e Savona, La traviata torna in scena, seppur in forma di concerto, anche al San Carlo di Napoli; Roma si prepara ad accoglierla nei prossimi giorni.
Questa ripresa sancarliana della Traviata - programmata ante Covid-19 in forma scenica e con numerose repliche - è un’edizione nel complesso pregevole ed entusiasmante.
La direzione è affidata a Stefano Ranzani, il quale, coadiuvato dall’ottima orchestra del San Carlo, dà del capolavoro verdiano una lettura estremamente pulita, sempre ben calibrata e attenta alle esigenze del canto. Ranzani ha il merito di saper scegliere agogiche appropriate, idonee ad assicurare una narrazione musicale tesa e coerente. La perfetta conoscenza della partitura (dirige a memoria, dalla prima all’ultima nota) gli consente di apprestare un costante e adeguato supporto alle esigenze dei cantanti: tutto è ben incastonato in una concertazione solida e sicura; raramente si lascia prendere la mano dall’enfatizzazione l’accompagnamento verdiano. L’Orchestra del San Carlo sfoggia suono tornito e compatto in tutte le sezioni ed è perfetta come sempre nel tradurre in suoni le indicazioni dinamiche, esaltando anche i più sensibili assottigliamenti fonici.
Ben partecipe di questa concertazione musicale orientata all’immediatezza e alla polpa della narrazione musicale è il Coro della Fondazione, diretto da Gea Garatti Ansini: la loro è una prova di grande professionalità, precisione e di buon amalgama sonoro tra sezioni maschile e femminile.
Nel cast a brillare è la Violetta di Nino Machaidze, che ritorna sul palcoscenico del San Carlo in dolce attesa. Al soprano georgiano basta il Brindisi iniziale per calare gli assi della propria vocalità: timbro brunito, voce corposa e ricca di armonici, robusta nel volume; possiede una tecnica agguerrita che le consente di dominare con estrema naturalezza le difficoltà di cui è disseminata la parte di Violetta. Gli acuti risultano sempre centrati, rotondi e ben emessi. Ma ciò che stupisce maggiormente, soprattutto se paragonata all’ampiezza della colonna di voce, è la capacità di assottigliare l’emissione, di emettere pianissimi sempre sostenuti dal fiato, l’intensità e l’analiticità del fraseggio, la precisione alle colorature dell’Atto I. Tutte doti che, unite a uno spiccato acume interpretativo, contribuiscono a fare della Machaidze un’artista nel pieno della maturità e consapevolezza vocale: la sua è una Violetta innamorata, ferita, dolente, carnale e passionale, che riesce con naturalezza a trasmettere emozioni. "È strano! È strano..." è un misto di stupore, meditazione e passionalità amorosa che sfocia nella vorticosa ebbrezza canora della successiva cabaletta "Sempre libera": le colorature sono affrontate con sicurezza, si ascoltano tutte le singole note, gli acuti sono rotondi e ben girati. Chiude l’Atto I guadagnandosi la prima meritatissima razione di applausi scrosciati della serata. Nel lungo duetto dell’Atto II con Germont padre, Machaidze dà voce e anima a una Violetta che appare una tigre ferita; prova a reagire alle imposizioni del perbenismo borghese incarnato da Giorgio Germont: il suo "Dite alla giovine", tutto in pianissimo e perfettamente accompagnato da Ranzani, è un flebile sussurro che nasconde una sanguinosa resa. Il suo "Amami, Alfredo" è un’esplosione catartica e dolorosa. L’evoluzione psicologica e vocale della Violetta di Nino Machaidze trova compimento nell’ultimo atto: la perla della serata è "Addio del passato". Qui, per esprimere il disfacimento del mondo di Violetta, Nino Machaidze fa leva su tutte le proprie potenzialità espressive e sul dominio del fiato: il risultato è una nenia sfumata, oscillante tra disperazione e ricordo.
Dotato di voce dal buon volume, dal bel timbro luminoso, di acuti sicuri e squillanti, Francesco Demuro è un Alfredo forse fin troppo passionale e generoso: canta molto bene il Brindisi e "Lunge da lei per me non v’ha diletto!", ma qualche forzatura nel registro acuto (in particolare nella cabaletta "Oh mio rimorso! Oh infamia!") rischia di incrinare una linea di canto di per sé elegante, raffinata e attenta al peso della parola.
Giovanni Meoni è un Giorgio Germont dalla solida professionalità, benché vocalmente alquanto ruvido, ma funzionale al ruolo: è efficace e imperioso nel duetto con Violetta. La sua "Di Provenza il mar, il suol" è cantata correttamente, ma il fraseggio risulta non molto scavato.
Di buon livello le parti secondarie, a cominciare dalla Flora Bervoix di Cinzia Chiarini e l’Annina di Marta Calcaterra.
Completano degnamente il cast Lorenzo Izzo (Gastone), Nicola Ebau (Il barone Douphol), Nicolò Ceriani (Il marchese d’Obigny) e il veterano Francesco Musinu nei panni del dottor Grenvil.
Al termine, il pubblico non numeroso - l’inizio del coprifuoco alle ore 23 deve aver scoraggiato dal recarsi a teatro il pubblico non residente a Napoli - tributa applausi calorosi e prolungati per tutti.
È questo un momento cupo per la vita dei teatri in Italia: su di loro aleggia, proprio in queste ore, lo spettro di una nuova temporanea chiusura.
Non resta che sperare di poter rivivere al più presto serate come queste, nella quali, malgrado tutte le limitazioni, appare ancor più sincero e tangibile l’affetto del pubblico nei confronti del proprio teatro.