La zattera di Werther
di Roberta Pedrotti
Anche OperaLombardia continua la sua stagione per il pubblico connesso on line. Werther dal Teatro Grande di Brescia ci pone davanti al dramma del nostro tempo, alla tristezza e all'assurdità necessaria del teatro vuoto, ma anche al coraggio e alla forza di quel teatro vuoto in cui un cast giovane continua a far vivere il dramma di Massenet.
Il video di Werther è disponibile fino all'8 novembre a questo link
Brescia, 6 novembre 2020 - Ora una scialuppa di salvataggio è fondamentale, ma per arrivare al porto più vicino il prima possibile; con le scialuppe non si naviga sulle rotte ordinarie, non si attraversano gli oceani. Con le scialuppe ci si salva e la zattera del naufrago può sperare d'intercettare una nave che lo raccolga, non di raggiungere mete lontane. Lo streaming ora è quella lancia che ci permette di resistere fino al placarsi del fortunale, ma è una risorsa spietata come è giusto che sia e non ci culla fra i marosi: "l'onda s'avvolve e pesa, | l'onda su cui del misero, alta pur dianzi e tesa | scorrea la vista a scernere prode remote" speriamo non "invan".
A questi streaming dai teatri vuoti si aggrappano gli artisti, le maestranze e i tutti lavoratori che non vedono il loro impegno vanificarsi nell'annullamento dello spettacolo, a questi streaming possiamo aggrapparci noi, seguendoli da casa, ma questi streaming fanno male. Fa male pensare la platea, i palchi, le gallerie, il loggione disabitati, i cantanti soli a esibirsi per fantasmi immaginati dietro gli schermi, fanno male i finali d'atto che scivolano nel silenzio, fanno male quelle uscite finali mostrate alle telecamere con lo sparuto battimani dell'orchestra e di quei pochissimi interni alla produzione che fanno capolino in sala. Fa male ma è un male salutare, per ricordare che il sacrificio di oggi è per tornare a teatro domani, per ricordare quanto sia inestimabile il miracolo dello spettacolo unico che prende vita sotto i nostri occhi, il contatto fisico, la condivisione, la percezione tattile del suono, il pensiero che è lì, in quel momento, l'artista che sta cantando, suonando, recitando, dirigendo, danzando.
Guardare questo Werther è triste, molto triste. Se nel trascorrere dell'opera ci si lascia trasportare, e sembra quasi una normale trasmissione in diretta, l'assenza di reazioni in sala, gli atti scanditi appena dal fruscio degli spartiti e dal lavorìo dei macchinisti per il cambio scena ci riportano alla cruda realtà. Lì l'opera è sola, nel palco e in buca si fa teatro e musica senza incontrare sguardi, espressioni, reazioni. Allora, guardare questo Werther è anche un gesto di gratitudine e ammirazione, un gesto doveroso per un cast giovane che comunque ci crede, per un'istituzione (in questo caso OperaLombardia e il Teatro Grande, ma sono molte in Italia e nel mondo) che non si ferma, tiene accesa la fiamma, afferma la sua esistenza.
Possiamo, forse, immaginare cosa significhi esibirsi di fronte a un teatro vuoto, soprattutto per un cantante giovane con meno esperienza. Facile che si fatichi a calibrare il trasporto, l'emissione, l'emozione. D'altra parte, il canto lirico è canto per la scena, non per passare attraverso le casse di un apparecchio casalingo, sia il miglior impianto stereo o il notebook da lavoro. Con buona pace di chi pensa di lucrare inventandosi concorsi lirici virtuali, l'esperienza mediata dalla tecnologia non restituisce che un'immagine parziale della performance. Ci resta pertanto la curiosità di saggiare le qualità del cast selezionato nel concorso AsLiCo in future, speriamo prossime occasioni. Per ora possiamo lodare l'interpretazione ardente del protagonista Gillen Munguìa, che nell'intervista proposta nell'intervallo sfodera anche ottimo italiano, entusiasmo e consapevolezza musicale. Abbiamo l'impressione che talora tenda a spingere e forzare un po' la sua natura lirica, ma molto può dipendere dall'innaturale fruizione a distanza a cui siamo costretti. Karina Demurova è una Charlotte introversa, che ha ormai introiettato del tutto il suo ruolo sociale di figlia e moglie obbediente, incapace di esprimere i propri sentimenti, anche a costo di qualche tensione nel terzo atto: anche per lei l'esperienza, il contatto diretto con il pubblico (e per noi l'ascolto diretto) possono fare la differenza. Maria Rita Combattelli canta con spontanea morbidezza le ariette gioiose di Sophie, Guido Dazzini fa intendere bel timbro e buon gusto come Albert, così come Alberto Comes risulta un convincente Bailli. Bene anche i compagnoni Johann, Filippo Rotondo, e Schmidt, Nicola di Filippo, mentre ad Andrea Gervasoni (Brühlmann) e Luisa Bertoli (Kätchen) spettano i sospiri sul "Divin Klopstok". Ci piacerebbe dir di più, ma già ogni giudizio si deve formulare con beneficio d'inventario come segno dell'ascolto attento che dobbiamo tributare a maggior ragione a chi canta per noi senza nemmeno poter sapere se, dietro uno schermo, ci saremo davvero.
Ricordiamo, allora, anche la bella prova delle voci bianche del Sociale di Como, e l'orchestra dei Pomeriggi Musicali che convince anche attraverso il filtro penalizzante delle casse casalinghe sotto la guida equilibrata di Francesco Pasqualetti - cui riconosciamo tempi fluidi e coerenti, con dinamiche che lo streaming non potrà mai rendere appieno ma paiono misurate ed efficaci.
Ricordiamo anche l'ottimo lavoro di Stefano Vizioli, che pensa uno spettacolo nell'ottica delle necessarie distanze, ma in cui l'impossibilità di avvicinarsi, di cantare guardandosi negli occhi, il toccarsi il meno possibile ha sempre un senso drammaturgico. Le scene festose hanno un'aria di danza, in quel moto continuo che (in realtà) evita il contatto; i rapporti fra Charlotte, Albert e Werther riflettono nel distacco le dinamiche psicologiche del tragico triangolo amoroso, l'isolamento cui ciascuno è condannato fino alla fine, quando il protagonista muore solo e l'amata lo ricorda con rimpianto e rimorso dopo anni.
Alla fine, tutti si schierano per il ringraziamento finale di fronte alla sala vuota. E noi li ringraziamo, da casa: resistiamo per riempire un giorno questa sala, perché tornare a riempirla è responsabilità di tutti noi, anche nei piccoli gesti quotidiani di prevenzione al contagio, di equilibrio mentale, di rispetto per le scienze e la cultura, di amore per l'arte.