L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Amore a distanza

di Antonino Trotta

Ben suonato, ben cantato, ben messo in scena, il nuovo allestimento di Aci, Galatea e Polifemo del Municipale di Piacenza conquista il suo pubblico anche attraverso lo streaming.

PIACENZA, 15 novembre 2020 – Questa serata inaugurale, appena qualche settimana fa, la immaginavamo leggermente diversa: Cristina Ferrari con l’inseparabile Francesca Benazzi nel foyer ad accogliere uno a uno ogni fortunato spettatore mentre in background controllano che ogni cosa sia al proprio posto, facendo appello a quella risorsa tutta femminile di poter fare più cose bene e contemporaneamente; fiumi di coppa e di caffè dal bar del teatro che inebriano gusto e olfatto prima della scorpacciata di udito e vista; poi le maschere, sorridenti e cordiali, sempre pronte a scortati fino al posto, nonostante tu sappia benissimo dove si trovi. Insomma, il classico appuntamento al Municipale di Piacenza che non vedi l’ora si faccia largo sul tuo calendario operistico. Adesso, segregati di nuovo tra le anguste mura domestiche, impegnati in un atto di eroismo che mai nella storia dell’uomo ha richiesto così lieve sforzo, ciò che probabilmente più manca del teatro, forse al pari o forse un po’ meno dell’esperienza della musica dal vivo, è certamente il contatto carnale con quella dimensione fatata dove la liturgia diviene quotidianità, dove, per ricchezza di passioni e di affetti, ci si sente quasi in una seconda casa pur non sborsando un centesimo d’IMU. In questa casa dagli stucchi dorati e dagli affreschi cerulei oggi si soggiorna in maniera virtuale grazie al portale Opera Streaming, fiore all’occhiello del circuito teatrale emiliano, che permette al Municipale di Piacenza, aperto nonostante tutto, di raggiungere il suo pubblico e persino di conquistarsene dell’altro per una serata, in fin dei conti, con tutti i crismi artistici dell’inaugurazione di stagione.

Ben suonato, ben cantato, ben diretto e ben allestito, Aci, Galatea e Polifemo di Händel – in prima esecuzione in tempi moderni della versione per il castrato Francesco Bernardi detto il Senesino curata da Fabrizio Longo, Raffaele Pe e Luca Guglielmi – è di fatto l’ormai attesissimo fuoricampo che il gioiellino di Piacenza batte almeno un paio di volte a stagione. Per questo spettacolo a misura di norme anti-Covid l’eclettico Gianmaria Aliverta raccoglie e vince la sfida di mettere in scena una cantata incentrata sostanzialmente su un tripòlo amoroso senza ricevere soccorso alcuno da une vera e propria drammaturgia. Se da un lato l’impianto scenografico, ideato per ospitare le acquatiche videoproiezioni di Tokio Studio e opportunamente valorizzato dalle luci di Elisabetta Campanelli, si rivela alquanto suggestivo già sul piccolo schermo dei nostri monitor, dall’altro fonde con linguaggio garbato la poetica degli affetti umani all’estasi della contemplazione naturalistica. Nel mezzo, poi, Aliverta ha il gran merito di far recitare i cantanti mascherando i limiti delle norme sanitarie – sembra, ad esempio, che Aci e Galatea vivano il loro amore a distanza, appena sfiorandosi nel finale, non per scampare alla roulette russa del Covid, piuttosto per un’ingenuità e una timidezza che ben sposa la personalità dei protagonisti – e di creare personaggi veri che, prima di pescare nella fantasia del regista, si lasciano ispirare e mettono a frutto i suggerimenti dell’inedita esecuzione.

Come spiegato nei saggi di sala di Guglielmini e Pe, infatti, la riscrittura del ruolo di Polifemo consta di grandi recitativi accompagnati e arie dal carattere meno imperioso che concedono al cattivo margine di respiro e margine di redenzione. Margine che nell’ugola statuaria dell’eccezionale Andrea Mastroni si trasforma in un orizzonte entro cui modellare un mostro, ancorché barbaro, comunque illuminato da un’umanità che ora affiora nello sgraziato modo con cui offre un fascio di gladioli a Galatea, ora esplode e divora il ciclope – a cui Aliverta pare ammiccare col trucco – nello struggente pentimento finale. Come non citare la magnifica prova dell’impervia ed estesissima «Fra l’ombre e gl’orrori», risolta con un virtuosismo iridescente che mai sacrifica le necessità dell’espressione. Migrato nel registro di contralto, Aci invece può impugnare il gladio del guerriero – o dei più moderni guantoni, come in questo caso – e sfoderare pugnaci agilità nell’aria «Dell’aquila l’artigli» quasi immaginando i futuri e insuperabili Calbo e Arsace. Aliverta, in ogni caso, non pone l’accento qui perché anche quando il tenero pastore affronta il gigante sembra farlo più per onorare uno stereotipo in disuso di maschio che per reale afflato eroico. Aci è il classico bravo ragazzo, completo acquistato in saldo ai grandi magazzini, stipendio discreto, affidabile utilitaria di seconda mano, non ha occhi che per la sua innamorata: è di fatto nella sfera amorosa e patetica che individua l’essenza della sua natura ed è nel canto disteso e languido che Raffaele Pe dà il meglio di sé, forte di un timbro eccezionalmente suadente e di un porgere fragrante che abbraccia e culla la parola. Non meno entusiasmante dei suoi compagni, Giuseppina Bridelli dona a Galatea, oltre a una voce luminosa e piena, ben emessa e timbrata, mai dimentica delle ragioni del belcanto, una coloratura agguerrita nelle arie di temperamento e un fraseggio sopraffino in quelle di portamento. Ottima infine la concertazione di Luca Guglielmi – assai brillante allo strumento quando il clavicembalo è concertante –, stilisticamente dotta e decisamente rifinita sul versante dinamico, alla guida del validissimo ensemble barocco La Lira di Orfeo.

A questo punto l’unico rammarico è di non essere stati lì presenti, non per godere dal vivo dello spettacolo, piuttosto per applaudire agli splendidi artisti e al Municipale. Lo facciamo così, in maniera virtuale. Bravi!


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