Lo giurai, la vincerò
di Roberta Pedrotti
Il Rossini Opera Festival sostiene il valore del lavoro e regala agli appassionati di tutto il mondo un simbolo gioioso del successo eterno dell'opera con Il barbiere di Siviglia. Per tre repliche in diretta streaming si riprende la splendida produzione di Pierluigi Pizzi con un cast in parte rinnovato e la direzione di Michele Spotti
PESARO, 25 novembre 2020 - È strano, molto strano mettersi davanti allo schermo. Dovremmo averci fatto l'abitudine, in queste settimane con le dirette a teatri chiusi, negli ultimi anni con registrazioni e trasmissioni di recite senza limitazioni, via tv, web, vhs, dvd... Dovremmo averci fatto l'abitudine e invece no, manca sempre quell'alchimia che si trova solo dal vivo, quell'hic et nunc indicibile che ci dà una salda certezza: quando torneremo a stringerci in teatro potremo avere degli strumenti di comunicazione e d'archivio in più, ma a sostegno, non a discapito dell'agognata, fondamentale presenza.
Ora dice bene il sovrintendente Palacio: questo Rossini Opera Festival “virtuale” è un regalo per i rossiniani di tutto il mondo, è un modo per sentirsi uniti, vicini, per non abbandonarci all'inedia ma per dimostrare che lo spirito, l'arte, la musica e il teatro possono vivere e vivono in ogni condizione. Ed è un modo per permettere agli artisti, ai laboratori, a tutti coloro che gravitano intorno alla produzione di lavorare anche in un momento di crisi globale.
Sarà strano, ma mettendoci davanti allo schermo ritroviamo di volta in volta diversi modi per reagire e resistere, diversi modi per dire che ci siamo e siamo pronti a ritrovarci, di raccontare l'importanza del lavoro, dell'arte, della fisicità, ma anche la loro possibilità di adattarsi in ogni caso avverso. La scelta stessa di un'opera buffa – e di un'opera buffa in cui capita anche che si scherzi su starnuti e febbri – non sembra casuale, considerato che Il barbiere di Siviglia non è solo un'opera buffa: è uno dei primi titoli a entrare ininterrottamente in repertorio, a conquistare il mondo e attraversare due secoli con continue fortune. Il barbiere di Siviglia è un capolavoro ed è un simbolo.
Torna a Pesaro, abbattendo ogni ostacolo, in uno dei più bei frutti dell'ingegno di quel ragazzino novantenne che risponde al nome di Pierluigi Pizzi. Ce ne innamorammo al debutto [Pesaro, Il barbiere di Siviglia, 13/08/2018] e torniamo a riscoprirlo come uno dei migliori allestimenti della regina delle opere buffe: elegantissimo e fresco, spiritoso, lieve, vivace.
Della produzione originale ritroviamo il camaleontico Fiorello di William Corrò, che riscatta il servitore di Almaviva da effimero comprimario a complice fondamentale; ritroviamo la miracolosa Berta di Elena Zilio, un condensato di carisma e autoironia che se ne ride del passar del tempo, “vecchietta” sì, ma non proprio “disperata”; ritroviamo l'incantevole Rosina di Aya Wakizono, bella, spiritosa, sempre più morbida e tornita nel canto, sempre più disinvolta nell'estensione; ritroviamo il monumentale cameo di Michele Pertusi come Don Basilio, che a pochi giorni da Marino Faliero a Bergamo [Bergamo, Marino Faliero, 20/11/2020] dalla tragedia volge alla commedia con un'impagabile verve sorniona, con una superiore classe comica e musicale.
Nuovi volti, invece, anche se familiari a Pesaro, per Don Bartolo, Almaviva e Figaro. Carlo Lepore rinnova nei panni del tutore la sua intelligente misura di basso buffo. Juan Francisco Gatell è ormai al suo terzo Barbiere pesarese e si inserisce nella visione scenica di Pizzi con piacevole disinvoltura, dinamico e accattivante sulla scena, fluido nella coloratura, garbato e fresco nel porgere da buon erede della scuola tenorile latina. Iurii Samoilov è cresciuto di estate in estate al Rof e nelle Marche: ora affronta il debutto dei debutti per un giovane baritono brillante e lo fa nelle condizioni meno propizie da un lato – in favore di microfono e telecamera senza contare sul contatto con il pubblico – ma dall'altro sostenuto da un gruppo di colleghi e collaboratori di prim'ordine. Il personaggio pare dover ancora emergere in tutta la sua energia vitale, ma Samoilov ha talento e cervello, si sente, e soprattutto il gioco di squadra è affiatatissimo.
Merito, certo, di Pizzi, che ricuce lo spettacolo sulla pelle del nuovo cast senza che ci si renda conto di tagli e rammendi. Merito anche di Michele Spotti, di cui portroppo non possiamo apprezzare colori e dinamiche come in una recita dal vivo, ma che si conferma una delle bacchette d'oro dell'ultima generazione, con spirito ed eleganza, ottima gestione del crescendo, tenuta compatta e ben articolata teatralmente degli assieme. Affidabile, sotto la sua guida, l'Orchestra Sinfonica G. Rossini, mentre il coro del Ventidio Basso preparato da Giovanni Farina patisce un po' la carenza numerica per presumibili ovvie ragioni di sicurezza: si dica ciò che si vuole, il canto corale è oggettivamente il più difficile da gestire ora, specie a pieno organico.
Peraltro, che nonostante tutto lo spettacolo si realizzi con tutti i crismi dell'alta qualità pesarese lo dimostrano la presenza di Eugenio Della Chiara alla chitarra (non solo per “Se il mio nome”, l'edizione critica di Zedda la prevede anche in “Ecco ridente in cielo”) e i recitativi con Richard Barker al fortepiano e Anselmo Pelliccioni al violoncello, in un duetto che giustamente conferisce più espressione e profondità, più unitarietà all'intero discosto teatral musicale.
Alla fine, qui a Pesaro, niente uscite mute: si applaudono tutti, solisti, coro, strumentisti, tecnici... si festeggia la gioia di far Rossini, di far musica e teatro sempre e comunque, di incontrare un pubblico che ogni anno fa anche il giro del mondo per essere lì, che ora è fermo, ma pronto a tornare.
foto Amati Bacciardi