L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Cartoline da Siviglia

di Antonino Trotta

Con un cast di ottimo livello – in cui si spiccano le prove di Giuseppina Bridelli, Marco Filippo Romano, Roberto de Candia e Manuel Amati – e ben diretto dal giovane Nikolas Nägele, Il barbiere di Siviglia va in scena al Municipale di Piacenza e raccoglie vivi consensi dal pubblico virtuale.

Streaming da Piacenza, 20 dicembre 2020 – Sono tempi d’oro, fa quasi orrore scriverlo in questo momento storico, per lo scaltrissimo Barbiere. Non tanto per l’ostinata presenza nei palinsesti virtuali – Figaro non deve certo sgomitare per accaparrarsi un posto in cartellone –, quanto per l’opportunità offertaci di apprezzare, mentre si confronta pur tenendosi lontani dal fare aridi paragoni, lo spirito camaleontico dell’opera, la molteplicità e la forza del suo linguaggio, la tempra d’acciaio del capolavoro inossidabile, resistente persino al peso schiacciante della propria fama, aggravato da una consolidata routine che a tutti gli effetti minaccia il valore dell’icona del genere comico. Al Municipale di Piacenza, dopo le produzioni di Pesaro e Roma, Il barbiere di Siviglia approda nel noto spettacolo di Beppe de Tomasi – ora ripreso da Renato Bonajuto – e fresco di un cast che mescola con sapienza giovani promesse e vecchie – in termini di fama, per carità! – glorie.

Si cominci dalla strepitosa Rosina – al debutto nel ruolo – di Giuseppina Bridelli, già ammaliante Galatea nell’ultimo appuntamento del Municipale e ora fascinosa primadonna rossiniana. Bridelli non si risparmia in nessun momento dell’opera: varia il variabile, sfoggia agilità provette, s’impone per omogeneità e disinvoltura d’emissione, spicca con acuti impertinenti e sonori, conquista col mordente scenico veicolato con garbo in cenni e occhiate, risolve insomma Rosina in tutte le sue sfaccettature teatrali e musicali. Marco Filippo Romano, da par suo, le tiene testa per la completezza del suo Don Bartolo che mai sacrifica l’eloquenza della musica alla volate istrioniche imposte della scena: il cantante pressoché ineccepibile e l’attore fuoriclasse s’incontrano nel fraseggio vivo e vibrante, dove il testo svetta sempre perché porto con magnetica incisività e invidiabile chiarezza – e la stretta dell’aria n’è prova lampante –. Roberto de Candia è il rodatissimo Figaro governato da buon gusto, disciplina, intelligenza ed esperienza che ai ruggiti della spavalderia predilige un portamento più arguto e sottile, proprio di chi, in fondo, sa il fatto suo. Chiude il cerchio Manuel Amati – per quanto ancora bisognerà tollerare il taglio dell’aria o scervellarsi a decifrarne le motivazioni? – che, al netto di qualche sbavatura, ha porgere fragrante, timbro suadente e ben si destreggia nell’impervio ruolo d’Almaviva. Se il Don Basilio di Mattia Denti è invero censurabile per il taglio fin troppo rigido tonitruante del vile maestro di musica, ben figura Stefania Ferrari nel sorbetto di Berta. Completano adeguatamente il cast Francesco Cascione (Fiorello), Michele Zaccaria (Ambrogio) e Simone Tansini (Un ufficiale). Al solito ottima la prova del Coro del Teatro Municipale di Piacenza istruito dal maestro Corrado Casati.

Sul podio Nikolas Nägele tiene le redini del discorso musicale dirigendo l’Orchestra dell’Emilia-Romagna “Arturo Toscanini” con una bella morbidezza sonora, gioca proficuamente col crescendo e mostra nel complesso un’ottima tenuta di insieme. È una gioia constatare come il giovane direttore si prodighi nell’investigare minuziosamente la partitura – anche allargando leggermente dove necessario –, a scandagliare il letto del torrenziale dettato rossiniano per cogliere e scoprire ogni pepita d’oro strumentale adagiata sul fondale, senza mai creare effetti plateali o peggio ancora di assecondare l’ebrezza della commedia schiacciando a manetta il piede sull’acceleratore. Evita sempre di scadere nell’ovvio, nello scontato, nel banale: ama Rossini, rispetta il Barbiere, e si sente.

La messinscena, invece, non convince più di tanto giacché di questa movimentata Siviglia non restano che statiche, spesso oleografiche, cartoline. Il colpo d’occhio, infatti, è bello perché belli, anzi bellissimi, sono i costumi di Artemio Cabassi e le scenografie di Poppi Ranchetti – tutto costruito come un’enorme voliera in ferro battuto –; nel mezzo, tuttavia, Renato Bonajuto sembra rinunciare a reinventarsi uno spettacolo e si limita un po’ a fare ciò che nel Barbiere s’è sempre fatto, solo in chiave norme anti-Covid.

Vivacissima la risposta del pubblico virtuale, misurabile nell’entusiasmo dei commenti espressi nella chat dello streaming di OperaStreaming.


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