Dritto al testo di Alfano
di Francesco Lora
Capolavoro del repertorio operistico di primo Novecento, Risurrezione è passata dallo Wexford Festival Opera al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino: ottimi la regìa di Rosetta Cucchi, il protagonismo di Anne-Sophie Duprels e la concertazione di Francesco Lanzillotta.
FIRENZE, 19 gennaio 2020 – La stagione in corso al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, ereditata dalla sovrintendenza trascorsa, è una prova di coraggio per la scelta dei titoli operistici, degni più del festival primaverile che del servizio ordinario. Lo si è toccato con mano nel caso del rarissimo Fernand Cortez di Spontini [leggi la recensione] nonché dell’impegnativo Trittico di Puccini [leggi la recensione]: si torna a constatarlo innanzi alle quattro recite (17-23 gennaio) di Risurrezione di Franco Alfano. Battezzato nel 1904 e revisionato nel 1906 e 1909, si tratta di un capolavoro di costume (il gusto occidentale tra Otto e Novecento per la letteratura russa), caparbietà (lo scabro soggetto tratto da Tolstoj, il libretto non in versi ma in prosa), anticonformismo (la partitura procede con il dramma quasi senza concedere stasi liriche) e arte compositiva (per la compattezza dell’idea generale e l’originalità della strumentazione).
Alla base dello spettacolo fiorentino v’era l’allestimento scenico concepito nel 2017 per lo Wexford Festival Opera. Tra la descrizione del contesto storico russo (pasqua degli Ortodossi, ferrovie di provincia, prigionia in Siberia) e l’analisi della psiche individuale e sociale (la parabola biografica della protagonista, la parata di caratteri che le sta intorno), la regìa di Rosetta Cucchi possiede l’ormai dimenticata virtù di puntare dritto al testo e lavorare sodo con gli attori, giovandosi, per scene e costumi, delle alte referenze di Tiziano Santi e Claudia Pernigotti.
Grandi o piccoli, i personaggi dell’opera sono una trentina. Quello di Katiusha è enorme: a farsi carico della sua trasformazione – da servetta adolescente deflorata, a prostituta condannata per ingiusta accusa, a prigioniera verso una nuova vita – è stata Anne-Sophie Duprels, cantante avvezza al Verismo italiano e inserita in un mercato di secondo piano, ma forse proprio per ciò animata dalla volontà di compiere qualcosa d’importante; ne è uscita una caratterizzazione attoriale tanto sfaccettata e perentoria, da far ricordare solo a sipario chiuso quale tour de force vocale la parte implichi. Più modesta la caratura del tenore Matthew Vickers – scarsa la risonanza e inerte il fraseggio, ma onesto il mestiere – nel corrispondente personaggio del Principe Dimitri. L’insidia dell’esteso comprimariato ha dimostrato la bontà dei tre bacini dai quali il teatro ha attinto: quello di ben scelti solisti in carriera, ma anche quello dell’accademia di canto e quello del valentissimo coro.
Architrave dell’operazione musicale, complice un’orchestra resa oltremodo motivata, la direzione di Francesco Lanzillotta. È questi un direttore che conosce in lungo e in largo il repertorio operistico, e che vi si approccia con la reverenza di chi antepone lo studio all’abitudine. Da qui, il passo è breve a concludere che una partitura di micidiale difficoltà a concertarsi, qual è Risurrezione, è scorsa all’ascolto con la ristorante immediatezza di un bicchier d’acqua.