Adriana nella Belle époque
di Antonino Trotta
Adriana Lecouvreur al Teatro Carlo Felice di Genova, dedicata a Mirella Freni, riscuote un caloroso successo grazie all’eccellente concertazione di Valerio Galli e alle buone prove del parterre vocale in cui spiccano le due primedonne, Barbara Frittoli e Judit Kutasi.
Genova, 16 febbraio 2020 – Adriana diva del cinematografo. Lì nella Parigi della Belle Époque, abbandonati gli stucchi rococò e smantellate le torreggianti parrucche da ancien régime, lo stile liberty fa da elegante sfondo alle stelle nascenti del cinema, agli albori della sua esplosione, e Adrienne Couvreur, amata primadonna della Comédie-Française, scrutata dall’obiettivo della macchina da presa non perde il suo fascino. Ancorché sobria, velatamente sfuggevole dacché più indirizzata a una caratterizzazione estetica che drammatica della messinscena, l’idea alla base dell’allestimento di Adriana Lecouvreur firmato da Ivan Stefanutti e andato in scena al Teatro Carlo Felice di Genova convince perché assolutamente plausibile, perché sa porre al centro della scena, senza sovraccaricarlo di eccessi, l’universo del primadonnismo: i fanatismi più accesi, la carnalità delle passioni e la delicatezza della donna dietro le quinte, la zampata ferina dell’attrice che all’occorrenza balza alla ribalta, ovunque ella si trovi. Del resto Adriana, capolavoro tuttora sottovalutato di Cilea, parla di divismo ancor prima di parlare della diva, coinvolge per la platealità della narrazione più che per il narrato stesso e per assicurarsi buona parte del gioco teatrale, in verità, basta lasciar fare i cantanti ai cantanti. Di fatto Stefanutti regista, meno intraprendente del raffinatissimo Stefanutti scenografo e costumista – le scenografie, tutte sviluppate sui toni del nero e del bianco per ricreare quelle suggestioni del cinema d’antan –, segue questa strada, potenzialmente rischiosa, che in occasione delle recite genovesi si rivela vincente. Nel parterre vocale schierato, infatti, non è di sicuro il magnetismo a latitare.
Barbara Frittoli è un’Adriana molto aristocratica: si muove con classe sul palcoscenico, profonde la stessa classe al suo canto tutto teso a smascherare la donna al di là della primadonna, sempre ispirato nell’accento, sempre misurato nel porgere le frasi, mai dimentico sfumature, con i morbidi filati che restano il suo cavallo di battaglia. È un ruolo che in taluni passaggi richiederebbe un tonnellaggio vocale differente e quando Frittoli cerca una cavata più ampia il vibrato si accentua, questo è vero, ma Adriana è innanzitutto carisma, far mancare il fiato prima di aprir bocca, e sarebbe scorretto nascondere la risalita di un brivido lungo la schiena alla fine del monologo di Fedra, recitato con così tanto trasporto. Un simile discorso si potrebbe intavolare per Marcelo Álvarez, decisamente meno frugale in scena, che canta l’oneroso ruolo di Maurizio con la fobia dell’acuto. Ogni scalata del pentagramma è preparata nel totale disinteresse del legato, il fraseggio è frastagliato, rabberciato con periodi minimi, eppure l’aria del secondo atto «L’anima ho stanca» riesce a emozionare non poco. Judit Kutasi, nel ruolo della principessa di Bouillon, sfodera invece il suo strumento sontuoso, forte di un morbido velluto nella tessitura grave, di una sciabolante lama in quello acuto e di un volume più che ragguardevole. Interpreta «Acerba voluttà» con nobiltà d’accento e buon gusto nell’espressione, poi sfodera gli artigli e da inizio a una prova ancora in crescendo. Anche David Cecconi, dal timbro squisitamente baritonale e dall’acuto smargiasso, è artefice di una prova assolutamente convincente. Sebbene l’emissione sia ogni tanto da mettere a punto, non eccede mai la misura, né punta a strappare l’applauso, ma restituisce al personaggio di Michonnet le fattezze dall’amante autentico e disinteressato.
Il comprimariato è eccellente: Marta Calcaterra (Mademoiselle Jouvenot), Carlotta Vichi (Mademoiselle Dangeville), Blagoj Nakoski (Poisson), John Paul Huckle (Quinault) conferiscono al quartetto di attori valore musicale e brillantezza scenica; Didier Pieri, sempre impeccabile nella levigatezza della sua tecnica, è un ottimo Abate di Chazeuil. Completano correttamente il cast Federico Benetti (Principe di Bouillon), Claudio Isoardi (maggiordomo) e i bravi danzatori Michele Albano, Ottavia Ancetti e Giancarla Malusardi, interpreti delle coreografie di Michele Cosentino. Buona la prova del Coro del Teatro Carlo Felice, istruito dal maestro Francesco Aliberti.
Dulcis in fundo l’eccellente direzione di Valerio Galli, alla guida dell’Orchestra del Teatro Carlo Felice che tra le sue mani sembra sempre suonare meglio del solito. Il direttore viareggino ama questo repertorio e non rinuncia a nemmeno una nota della partitura: concede stacco alla fine dell’«umile ancella» perché non è solo il punto più atteso dell’opera ma ha anche una coda dal magnifico respiro melodico che conduce al tenero scambio di battute tra Adriana e Michonnet. Sarebbe un vero peccato lasciarla soffocare dagli applausi. Ricercatissimo nella scelta di colori e timbri, meticoloso nello stacco dei tempi e nelle dinamiche, Galli sa regolare ovunque la temperatura drammatica del racconto musicale: pepa l’orchestra laddove la commedia avanza stralunata, accentua il patetismo nei momenti di lirismo più sfrenato, infiamma il golfo mistico quando la tensione sale alle stesse. Recitar concertando, nel vero senso della parola.
Grande successo e applausi entusiasti per tutti gli artisti. La produzione è stata dedicata dal Teatro Carlo Felice alla memoria di Mirella Freni.
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