Un messaggio di Brecht e Weill al Brasile
di Fabiana Crepaldi
Una riuscita produzione dell'opera-balletto di Brecht Weill mette in relazione il lavoro degli autori e il Brasile di oggi.
SAN PAOLO, 12 e 14 novembre 2021 - Con dimensioni e mezzi modesti, il Theatro São Pedro ha assunto, negli ultimi cinque anni, un ruolo protagonistico sulla scena lirica di San Paolo. Questo, soprattutto, quando si riscontrano intelligenza e qualità. Ed è stato così con Die Sieben Todsünden (I sette peccati capitali), l'ultima collaborazione del duo Kurt Weill e Bertold Brecht, presentato al Teatro San Pablo nella prima quindicina di novembre.
L'opera, un balletto cantato di circa quaranta minuti, fu creata nel 1933 al Théâtre des Champs-Élysées, lo stesso in cui vent'anni prima era stato la cornice del debutto del rivoluzionario Sacre du printemps di Igor Stravinskij. Scritturato dalla compagnia Les Ballets 1933, del coreografo Georges Balanchine, ha dovuto essere composto in fretta, in un paio di settimane. Questa urgenza pare essersi combinata alla perfezione con l'oggettività e assertività dello stile Weill-Brecht.
Die Sieben Todsünden accompagna due sorelle, Anna I e Anna II, che in realtà sono ego e superio di una stessa persona. Come spiega la stessa Anna I, “non siamo due persone, siamo una. Noi due ci chiamiamo Anna, abbiamo un passato e un futuro comune, un cuore e un libro mastro dei nostri risparmi, e ognuna fa quel che è bene per l'altra". Anna I canta, Anna II recita. “Mia sorella è bella, io sono pratica. Un po' matta lei, lucida io”, dice Anna I. Al debutto, Anna I era l'attrice Lotte Lenya, la moglie di Weill, e Anna II, la ballerina Tilly Losch, moglie del mecenate della compagnia che desiderava offrirle un nuovo titolo.
Anna lascia la casa di famiglia in Louisiana per guadagnare denaro e inviarlo alla famiglia per costruire una piccola casa sulle rive del Mississippi. In sette anni, attraversa sette città e ogni città rappresenta un peccato capitale. Al contrario di quel che succede di solito nel repertorio operistico tradizionale, l'opera non racconta una storia, non ha azione. La vicenda in sé è: Anna esce di casa, ottiene il denaro e torna in Louisiana, dove la casetta è pronta. C'è una narrazione predominante affidata ad Anna I, ma che, in linea con quanto avviene soprattutto nella letteratura dei primi del Novecento, si preoccupa più dei pensieri, dei conflitti interiori di Anna che di una sequenza di fatti.
Come punto di riferimento, abbiamo i setti peccati capitali. Nel primo anno, il primo peccato: la pigrizia. Non sappiamo nemmeno in che città si trovi Anna. Solo abbiamo accesso ai commenti dei familiari, che ci dicono che Anna, per quanto sia una buona ragazza, non sia uscita dalle lenzuola che quando se ne è andata che la pigrizia è la madre di tutti i vizi. Nel secondo anno, a Memphis, la narrazione torna ad Anna I. Anna commette peccato d'orgoglio perché, trovato lavoro in un cabaret, voleva fare dell'arte e non era, naturalmente, ciò che i clienti volevano vedere. “L'orgoglio è un privilegio dei ricchi”, commenta Anna I. Quel che si racconta, dunque, è più la frestrazione di Anna e il fatto che solo i ricchi abbiano diritto ad aspirare a una certa dignità. Per lei, voler fare arte invece che mostrare il suo corpo era un atto di superbia.
Questa forma di narrazione, che rimpiazza l'azione tradizionale del teatro drammatico, è una delle caratteristiche nel teatro epico di Brecht. Inoltre, Brecht cerca sempre un distacco emotivo a favore della ragione. Così l'attore deve saper recitare, comunicare con il pubblico senza immedesimarsi in cià che sta narrando. A differenza di ciò che avviene nel teatro drammatico, lo spettatore non deve sentirsi assorbito emotivamente dalla vicenda, bensì da questa stimolato razionalmente. Nei Sette peccati capitali, Anna I narra le difficoltà e le sofferenze di Anna II, ma con il distacco proprio della separazione fra i due aspetti del personaggio.
Alexandre Dal Farra, regista della produzione al São Pedro, segnala, nel video diffuso sui canali social del teatro, che i Sette peccati segue la linea di Brecht di “mostrare sempre che la moralità è meno importante della produttività, del prodotto, delle forze, del sistema economico”. Per lui, esiste un meccanismo di sfruttamento e repressione dei desideri, e ciò avviene in modo tale che, nel testo di Brecht, la repressione religiosa è sostituita dalle forze di produzione.
Di fattoo, dopo la morte di Weill, Brecht ha rivisto il testo e cambiato il titolo in I sette peccati capitali dei piccolo borghesi. I due peccati descritti prima già chiariscono il passaggio dal sentimento religioso al contesto della piccola borghesia, capace di reprimere ogni desiderio e sottomettersi a qualsiasi cosa in cambio di un piccolo miglioramento delle condizioni di vita. I peccati, nel caso di Anna, sono desideri che possono impedire alla famiglia di raggiungere l'obiettivo di costruire la casa.
Al Teatro São Pedro, l'opera non è stata presentata come balletto, ma come spettacolo che univa canto e teatro, cinema e musica da concerto. Come se si trattasse di una specia di prologo o introdizione di lusso, il concerto per violino e fiati op. 12 di Weill ha aperto la serata. Solista il rinomato violinista Claudio Cruz, in perfetta sintonia con i fiati dell'orchestra del Teatro São Pedro, sotto la direzione sempre competente di Ira Levin.
Il concerto fu composto nel 1924, pertanto, quasi dieci anni prima dei Sette peccato. Sceglierlo come punto di partenza significa cominciare l'esperienza nel suono dei primi del XX secolo, con la Seconda Scuola di Vienna. "Uno ha già digerito una parte di Schönberg con tutta la buona volontà prima di poter sentire qusta musica", scrisse Weill in una lettera a Lotte Lenya. Inoltre, la composizione fu influenzata da Ferruccio Busoni, il maestro di Weill, per cui il primo movimento possiede un'atmosfera cupa in cui si intende chiaramente il tema del Dies Irae.
È in questo ambiente musicale che rimanda alle rivoluzioni, rotture e dolori dell'inizio del secolo scorso che iniziano ad apparire, su uno schermo, immagini che fanno da collegamento con l'opera successiva. Tra queste immagini, la prima viene dal film brasiliano A Mulher de Todos (1969) del regista Rogério Sganzerla, con protagonista Helena Ignez, moglie di Sganzerla. È uno degli esempi più emblematici del cosiddetto Cinema marginale, che, al culmine della repressione della dittatura militare, ruppe irriverentemente con tutto e con tutte le forme.
Come nel lavoro di Brecht, nel film di Sganzerla succede ben poco. Inoltre, come I sette peccati capitali, ha una struttura pressoché ciclica, che finisce più o meno come è iniziata. Segue il personaggio di Angela Carne e Osso, una ninfomane, in un fine settimana a Ilha dos Prazeres. I dialoghi, le battute, sono spesso sciolti, sconnessi. Le scene sono fotogrammi praticamente indipendenti. Il distacco brechtiano è una caratteristica di Angela. Sebbene la performance di Helena Ignez sia forte, corporea e intensa sulla pelle del suo personaggio, non descrive sentimenti più profondi, è solo carne e sangue. È una donna determinata e dominante che assume spesso un ruolo che, fino ad allora, era esclusivo degli uomini. Porta sempre in bocca un sigaro, fallico e simbolo di mascolinità. Come dice nel film del 1969, è una donna del XXI secolo.
Conquista gli uomini, li domina e, allo stesso tempo, li bacia, li ferisce, li attacca. Le ci è voluto molto per trovare un marito, perché voleva il più idiota di tutti. Ed è il dottor Plirtz, un magnate tedesco che si definisce orgogliosamente "un bullo". Un ex ufficiale nazista che indossa segretamente la sua vecchia uniforme, fa grugnire Chaplin in Il grande dittatore, esclama malinconicamente: "Bei tempi!" e canticchia Lili Marlene. Plirtz guadagna con i fumetti ed è un fan dei palloni aerostatici. È uno dei suoi palloni che, alla fine del film, lega Angela e Armando, uno dei suoi amanti che voleva "salire nella vita". Ed è Plirtz che apre e chiude il film, in divisa, sulla spiaggia, abbracciando la mongolfiera caduta e baciandola, dopo aver detto “c'è un ordine, nessuno può fare così quello che vuole. Era molto pericolosa.” Questa è l'immagine che viene mostrata nel teatro e il pallone di Plirtz scappa dallo schermo e diventa parte della scena dei Sette peccati capitali.
Dal Farra crea così un ponte tra la Germania del 1933, che Weill e Brecht dovettero abbandonare a causa dell'ascesa del nazismo, il Brasile del 1969, che anche Sganzerla e Ignez dovettero abbandonare a causa della dittatura militare, e il Brasile di oggi, diseguale e diviso, che, con la nostalgia di Plirtz, flirta con l'autoritarismo, demonizza le arti, e di cui Angela potrebbe essere la first lady.
Il legame con il Brasile oggi si esplicita soprattutto nel terzo peccato, la rabbia. Come è successo durante lo spettacolo, Anna II è stata filmata e la sua immagine è stata proiettata su uno schermo. Nella cornice della rabbia, mentre Anna cantava “Chi si oppone all'ingiustizia, nessuno lo vuole vicino. Chi è esasperato dal male, già cammina verso la tomba. E chi non tollera l'infamia, come sarà tollerata?”, Anna II era fuori dal teatro, per strada, sul palco più realistico possibile, con i mali del centro cittadino in mostra, abbracciando il pallone di Plirtz.
Anna II, vissuta in modo sconvolgente dalla celebre attrice Gilda Nomacce, è la parte brasiliana di Anna. È sia in Brasile sotto Sganzerla sia nel Brasile di oggi. Anna I, portavoce di Weill e Bracht, canta in tedesco; Anna II risponde in portoghese.
Come Anna I, perfetta l'interpretazione di Denise de Freitas, eccellente mezzosoprano brasiliano. È riusicta a conciliare una prestazione coinvolgente con il dovuto distacco brechtiano. In possesso di una voce potente, ha cantato con naturalezza, senza esagerazioni liriche, una scelta molto adatta per questo ruolo, che, dopotutto, non è stato progettato per una cantante d'opera, ma per Lotte Lenya, che non aveva alcuna conoscenza della tecnica vocale lirica.
Il contrasto musicale tra i quadri, sia negli aspetti ritmici sia in quelli dinamici, è una caratteristica importante dell'opera. Ogni quadro utilizza un ritmo popolare e cita diversi stili di musica occidentale, dal barocco al jazz. Alla guida dell'Orchestra del Teatro di São Pedro, Ira Levin ha accuratamente sottolineato questo aspetto fondamentale della musica di Weill. Negli ultimi due quadri, Invidia, il Settimo peccato ed Epilogo, la potenza della voce di Denise de Freitas è stata essenziale per rendere perfetto l'effetto di contrasto. Per l'Invidia, tra una marcia militare e una marcia funebre (inizia citando il tetracordo discendente del lamento di Didone dall'opera di Purcell), Anna I, in una parodia biblica, grida: “Sorella, seguimi. Vedrai che finalmente trionferai su tutte le cose "- e scaglia una maledizione: "Gli altri, però, oh orribile risultato, resteranno a mani vuote e tremeranno alla porta chiusa". In questo terribile epilogo, l'orchestra e il canto di Denise vanno al forte senza che lei sia mai travolta. Poco dopo, nel tranquillo epilogo, quando Anna è già in Louisiana, nel paradiso borghese «dove le acque del Mississippi scorrono al chiaro di luna», ha luogo uno splendido pianissimo.
Lo straniamento creato dall'opera è senza dubbio un elemento che distoglie lo spettatore da una certa posizione di conforto e lo invita alla riflessione. In questo senso, oltre alla musica, contribuisce anche la separazione di Anna in due sorelle e la Famiglia interpretata da un quartetto di voci maschili. Weill rompe con ogni convenzione del romanticismo scegliendo una voce di basso per la madre. Nel frattempo, il padre è un tenore, che assume il ruolo di prima parte quando la famiglia canta. I due fratelli sono secondo tenore e baritono. A São Pedro si sono apprezzati come padre e madre Anderson Barbosa e Paulo Mandarino e, come fratelli, il tenore Daniel Umbelino e il baritono Rafael Siano. Sia in scena sia in voce, la Famiglia ha contribuito notevolmente a un grande risultato.
L'innovazione della produzione di Dal Farra non è nella proiezione di video. Molte produzioni di questo lavoro hanno scelto questa opzione, inclusa la famosa registrazione con Teresa Stratas, diretta da Kent Nagano e con la regia di Peter Sellars, la cui influenza a volte si avvertiva. L'innovazione di Dal Farra sta nel modo efficiente con cui ha collegato il lavoro ai nostri problemi del "qui e ora" e nel modo in cui ha usato i video, che in altre occasioni servono solo a mostrare scene nelle quali gli interpreti non si sentono a proprio agio dal vivo. Nella produzione di Dal Farra, invece, i video amplificato e offerto un'altra prospettiva a ciò che avveniva sul palco. È stato uno spettacolo forte e provocatorio.
L'unico rammarico è che la direzione del Teatro São Pedro sembra ispirarsi più alla Famiglia di Anna che alle riflessioni proposte da Brecht. Il lavoro, seppur breve, esige molto dal cantante, è andato in scena per due settimane con quattro recite nella prima e cinque nella seconda, sempre in giorni consecutivi. Questa è, infatti, una pratica frequente al São Pedro e indica, nonostante la storia di alto livello delle esecuzioni, una certa mancanza di familiarità con il funzionamento del canto lirico e con la cura che deve essere presa con la salute vocale dei cantanti.
Detto questo, dopo tutte le difficoltà imposte dalla pandemia, è stato molto gratificante vedere uno spettacolo così ben condotto, ben cantato, ben interpretato e ben organizzato. Il mese prossimo, la breve stagione 2021 si chiuderà in leggerezza con Il signor Bruschino di Rossini.
Il Teatro São Pedro ha messo a disposizione le sue produzioni sul suo canale YouTube e anche I sette peccati capitali sarà disponibile a questo link: https://www.youtube.com/c/TheatroSãoPedroTSP.