L’Ape musicale

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Un messaggio di Brecht e Weill al Brasile

di Fabiana Crepaldi

Una riuscita produzione dell'opera-balletto di Brecht Weill mette in relazione il lavoro degli autori e il Brasile di oggi.

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SAN PAOLO, 12 e 14 novembre 2021 - Con dimensioni e mezzi modesti, il Theatro São Pedro ha assunto, negli ultimi cinque anni, un ruolo protagonistico sulla scena lirica di San Paolo. Questo, soprattutto, quando si riscontrano intelligenza e qualità. Ed è stato così con Die Sieben Todsünden (I sette peccati capitali), l'ultima collaborazione del duo Kurt Weill e Bertold Brecht, presentato al Teatro San Pablo nella prima quindicina di novembre.

L'opera, un balletto cantato di circa quaranta minuti, fu creata nel 1933 al Théâtre des Champs-Élysées, lo stesso in cui vent'anni prima era stato la cornice del debutto del rivoluzionario Sacre du printemps di Igor Stravinskij. Scritturato dalla compagnia Les Ballets 1933, del coreografo Georges Balanchine, ha dovuto essere composto in fretta, in un paio di settimane. Questa urgenza pare essersi combinata alla perfezione con l'oggettività e assertività dello stile Weill-Brecht.

Die Sieben Todsünden accompagna due sorelle, Anna I e Anna II, che in realtà sono ego e superio di una stessa persona. Come spiega la stessa Anna I, “non siamo due persone, siamo una. Noi due ci chiamiamo Anna, abbiamo un passato e un futuro comune, un cuore e un libro mastro dei nostri risparmi, e ognuna fa quel che è bene per l'altra". Anna I canta, Anna II recita. “Mia sorella è bella, io sono pratica. Un po' matta lei, lucida io”, dice Anna I. Al debutto, Anna I era l'attrice Lotte Lenya, la moglie di Weill, e Anna II, la ballerina Tilly Losch, moglie del mecenate della compagnia che desiderava offrirle un nuovo titolo. 

Anna lascia la casa di famiglia in Louisiana per guadagnare denaro e inviarlo alla famiglia per costruire una piccola casa sulle rive del Mississippi. In sette anni, attraversa sette città e ogni città rappresenta un peccato capitale. Al contrario di quel che succede di solito nel repertorio operistico tradizionale, l'opera non racconta una storia, non ha azione. La vicenda in sé è: Anna esce di casa, ottiene il denaro e torna in Louisiana, dove la casetta è pronta. C'è una narrazione predominante affidata ad Anna I, ma che, in linea con quanto avviene soprattutto nella letteratura dei primi del Novecento, si preoccupa più dei pensieri, dei conflitti interiori di Anna che di una sequenza di fatti.

Come punto di riferimento, abbiamo i setti peccati capitali. Nel primo anno, il primo peccato: la pigrizia. Non sappiamo nemmeno in che città si trovi Anna. Solo abbiamo accesso ai commenti dei familiari, che ci dicono che Anna, per quanto sia una buona ragazza, non sia uscita dalle lenzuola che quando se ne è andata che la pigrizia è la madre di tutti i vizi. Nel secondo anno, a Memphis, la narrazione torna ad Anna I. Anna commette peccato d'orgoglio perché, trovato lavoro in un cabaret, voleva fare dell'arte e non era, naturalmente, ciò che i clienti volevano vedere. “L'orgoglio è un privilegio dei ricchi”, commenta Anna I. Quel che si racconta, dunque, è più la frestrazione di Anna e il fatto che solo i ricchi abbiano diritto ad aspirare a una certa dignità. Per lei, voler fare arte invece che mostrare il suo corpo era un atto di superbia.

Questa forma di narrazione, che rimpiazza l'azione tradizionale del teatro drammatico, è una delle caratteristiche nel teatro epico di Brecht. Inoltre, Brecht cerca sempre un distacco emotivo a favore della ragione. Così l'attore deve saper recitare, comunicare con il pubblico senza immedesimarsi in cià che sta narrando. A differenza di ciò che avviene nel teatro drammatico, lo spettatore non deve sentirsi assorbito emotivamente dalla vicenda, bensì da questa stimolato razionalmente. Nei Sette peccati capitali, Anna I narra le difficoltà e le sofferenze di Anna II, ma con il distacco proprio della separazione fra i due aspetti del personaggio.

Alexandre Dal Farra, regista della produzione al São Pedro, segnala, nel video diffuso sui canali social del teatro, che i Sette peccati segue la linea di Brecht di “mostrare sempre che la moralità è meno importante della produttività, del prodotto, delle forze, del sistema economico”. Per lui, esiste un meccanismo di sfruttamento e repressione dei desideri, e ciò avviene in modo tale che, nel testo di Brecht, la repressione religiosa è sostituita dalle forze di produzione. 

Di fattoo, dopo la morte di Weill, Brecht ha rivisto il testo e cambiato il titolo in I sette peccati capitali dei piccolo borghesi. I due peccati descritti prima già chiariscono il passaggio dal sentimento religioso al contesto della piccola borghesia, capace di reprimere ogni desiderio e sottomettersi a qualsiasi cosa in cambio di un piccolo miglioramento delle condizioni di vita. I peccati, nel caso di Anna, sono desideri che possono impedire alla famiglia di raggiungere l'obiettivo di costruire la casa.

Al Teatro São Pedro, l'opera non è stata presentata come balletto, ma come spettacolo che univa canto e teatro, cinema e musica da concerto. Come se si trattasse di una specia di prologo o introdizione di lusso, il concerto per violino e fiati op. 12 di Weill ha aperto la serata. Solista il rinomato violinista Claudio Cruz, in perfetta sintonia con i fiati dell'orchestra del Teatro São Pedro, sotto la direzione sempre competente di Ira Levin.

Il concerto fu composto nel 1924, pertanto, quasi dieci anni prima dei Sette peccato. Sceglierlo come punto di partenza significa cominciare l'esperienza nel suono dei primi del XX secolo, con la Seconda Scuola di Vienna. "Uno ha già digerito una parte di Schönberg con tutta la buona volontà prima di poter sentire qusta musica", scrisse Weill in una lettera a Lotte Lenya. Inoltre, la composizione fu influenzata da Ferruccio Busoni, il maestro di Weill, per cui il primo movimento possiede un'atmosfera cupa in cui si intende chiaramente il tema del Dies Irae.

È in questo ambiente musicale che rimanda alle rivoluzioni, rotture e dolori dell'inizio del secolo scorso che iniziano ad apparire, su uno schermo, immagini che fanno da collegamento con l'opera successiva. Tra queste immagini, la prima viene dal film brasiliano A Mulher de Todos (1969) del regista Rogério Sganzerla, con protagonista Helena Ignez, moglie di Sganzerla. È uno degli esempi più emblematici del cosiddetto Cinema marginale, che, al culmine della repressione della dittatura militare, ruppe irriverentemente con tutto e con tutte le forme.

Come nel lavoro di Brecht, nel film di Sganzerla succede ben poco. Inoltre, come I sette peccati capitali, ha una struttura pressoché ciclica, che finisce più o meno come è iniziata. Segue il personaggio di Angela Carne e Osso, una ninfomane, in un fine settimana a Ilha dos Prazeres. I dialoghi, le battute, sono spesso sciolti, sconnessi. Le scene sono fotogrammi praticamente indipendenti. Il distacco brechtiano è una caratteristica di Angela. Sebbene la performance di Helena Ignez sia forte, corporea e intensa sulla pelle del suo personaggio, non descrive sentimenti più profondi, è solo carne e sangue. È una donna determinata e dominante che assume spesso un ruolo che, fino ad allora, era esclusivo degli uomini. Porta sempre in bocca un sigaro, fallico e simbolo di mascolinità. Come dice nel film del 1969, è una donna del XXI secolo.

Conquista gli uomini, li domina e, allo stesso tempo, li bacia, li ferisce, li attacca. Le ci è voluto molto per trovare un marito, perché voleva il più idiota di tutti. Ed è il dottor Plirtz, un magnate tedesco che si definisce orgogliosamente "un bullo". Un ex ufficiale nazista che indossa segretamente la sua vecchia uniforme, fa grugnire Chaplin in Il grande dittatore, esclama malinconicamente: "Bei tempi!" e canticchia Lili Marlene. Plirtz guadagna con i fumetti ed è un fan dei palloni aerostatici. È uno dei suoi palloni che, alla fine del film, lega Angela e Armando, uno dei suoi amanti che voleva "salire nella vita". Ed è Plirtz che apre e chiude il film, in divisa, sulla spiaggia, abbracciando la mongolfiera caduta e baciandola, dopo aver detto “c'è un ordine, nessuno può fare così quello che vuole. Era molto pericolosa.” Questa è l'immagine che viene mostrata nel teatro e il pallone di Plirtz scappa dallo schermo e diventa parte della scena dei Sette peccati capitali.

Dal Farra crea così un ponte tra la Germania del 1933, che Weill e Brecht dovettero abbandonare a causa dell'ascesa del nazismo, il Brasile del 1969, che anche Sganzerla e Ignez dovettero abbandonare a causa della dittatura militare, e il Brasile di oggi, diseguale e diviso, che, con la nostalgia di Plirtz, flirta con l'autoritarismo, demonizza le arti, e di cui Angela potrebbe essere la first lady.

Il legame con il Brasile oggi si esplicita soprattutto nel terzo peccato, la rabbia. Come è successo durante lo spettacolo, Anna II è stata filmata e la sua immagine è stata proiettata su uno schermo. Nella cornice della rabbia, mentre Anna cantava “Chi si oppone all'ingiustizia, nessuno lo vuole vicino. Chi è esasperato dal male, già cammina verso la tomba. E chi non tollera l'infamia, come sarà tollerata?”, Anna II era fuori dal teatro, per strada, sul palco più realistico possibile, con i mali del centro cittadino in mostra, abbracciando il pallone di Plirtz.

Anna II, vissuta in modo sconvolgente dalla celebre attrice Gilda Nomacce, è la parte brasiliana di Anna. È sia in Brasile sotto Sganzerla sia nel Brasile di oggi. Anna I, portavoce di Weill e Bracht, canta in tedesco; Anna II risponde in portoghese.

Come Anna I, perfetta l'interpretazione di Denise de Freitas, eccellente mezzosoprano brasiliano. È riusicta a conciliare una prestazione coinvolgente con il dovuto distacco brechtiano. In possesso di una voce potente, ha cantato con naturalezza, senza esagerazioni liriche, una scelta molto adatta per questo ruolo, che, dopotutto, non è stato progettato per una cantante d'opera, ma per Lotte Lenya, che non aveva alcuna conoscenza della tecnica vocale lirica.

Il contrasto musicale tra i quadri, sia negli aspetti ritmici sia in quelli dinamici, è una caratteristica importante dell'opera. Ogni quadro utilizza un ritmo popolare e cita diversi stili di musica occidentale, dal barocco al jazz. Alla guida dell'Orchestra del Teatro di São Pedro,  Ira Levin ha accuratamente sottolineato questo aspetto fondamentale della musica di Weill. Negli ultimi due quadri, Invidia, il Settimo peccato ed Epilogo, la potenza della voce di Denise de Freitas è stata essenziale per rendere perfetto l'effetto di contrasto. Per l'Invidia, tra una marcia militare e una marcia funebre (inizia citando il tetracordo discendente del lamento di Didone dall'opera di Purcell), Anna I, in una parodia biblica, grida: “Sorella, seguimi. Vedrai che finalmente trionferai su tutte le cose "- e scaglia una maledizione: "Gli altri, però, oh orribile risultato, resteranno a mani vuote e tremeranno alla porta chiusa". In questo terribile epilogo, l'orchestra e il canto di Denise vanno al forte senza che lei sia mai travolta. Poco dopo, nel tranquillo epilogo, quando Anna è già in Louisiana, nel paradiso borghese «dove le acque del Mississippi scorrono al chiaro di luna», ha luogo uno splendido pianissimo.

Lo straniamento creato dall'opera è senza dubbio un elemento che distoglie lo spettatore da una certa posizione di conforto e lo invita alla riflessione. In questo senso, oltre alla musica, contribuisce anche la separazione di Anna in due sorelle e la Famiglia interpretata da un quartetto di voci maschili. Weill rompe con ogni convenzione del romanticismo scegliendo una voce di basso per la madre. Nel frattempo, il padre è un tenore, che assume il ruolo di prima parte quando la famiglia canta. I due fratelli sono secondo tenore e baritono. A São Pedro si sono apprezzati come padre e madre Anderson Barbosa e Paulo Mandarino e, come fratelli, il tenore Daniel Umbelino e il baritono Rafael Siano. Sia in scena sia in voce, la Famiglia ha contribuito notevolmente a un grande risultato.

L'innovazione della produzione di Dal Farra non è nella proiezione di video. Molte produzioni di questo lavoro hanno scelto questa opzione, inclusa la famosa registrazione con Teresa Stratas, diretta da Kent Nagano e con la regia di Peter Sellars, la cui influenza a volte si avvertiva. L'innovazione di Dal Farra sta nel modo efficiente con cui ha collegato il lavoro ai nostri problemi del "qui e ora" e nel modo in cui ha usato i video, che in altre occasioni servono solo a mostrare scene nelle quali gli interpreti non si sentono a proprio agio dal vivo. Nella produzione di Dal Farra, invece, i video amplificato e offerto un'altra prospettiva a ciò che avveniva sul palco. È stato uno spettacolo forte e provocatorio.

L'unico rammarico è che la direzione del Teatro São Pedro sembra ispirarsi più alla Famiglia di Anna che alle riflessioni proposte da Brecht. Il lavoro, seppur breve, esige molto dal cantante, è andato in scena per due settimane con quattro recite nella prima e cinque nella seconda, sempre in giorni consecutivi. Questa è, infatti, una pratica frequente al São Pedro e indica, nonostante la storia di alto livello delle esecuzioni, una certa mancanza di familiarità con il funzionamento del canto lirico e con la cura che deve essere presa con la salute vocale dei cantanti.

Detto questo, dopo tutte le difficoltà imposte dalla pandemia, è stato molto gratificante vedere uno spettacolo così ben condotto, ben cantato, ben interpretato e ben organizzato. Il mese prossimo, la breve stagione 2021 si chiuderà in leggerezza con Il signor Bruschino di Rossini. 

Il Teatro São Pedro ha messo a disposizione le sue produzioni sul suo canale YouTube e anche I sette peccati capitali sarà disponibile a questo link: https://www.youtube.com/c/TheatroSãoPedroTSP.


Mensaje de Brecht y Weill a Brasil

di Fabiana Crepaldi

12 y 14 de noviembre del 2021. Con dimensiones y presupuesto modestos el Theatro São Pedro ha asumido, en los últimos cinco años, un papel protagónico en la escena de la ópera paulista. Esto es cierto, sobre todo, cuando lo que se busca es inteligencia y calidad. Y así fue con Die Sieben Todsünden (Los siete pecados capitales), la última colaboración del dúo Kurt Weill y Bertold Brecht, que se proyectó en el acogedor teatro de San Pablo en la primera quincena de noviembre. Estuve allí para dos funciones, el 12 y el 14 de noviembre.

La obra, un ballet cantado de unos cuarenta minutos, estrenado en 1933 en el icónico Théâtre des Champs-Élysées, el mismo que, veinte años antes, había sido el escenario del estreno del revolucionario Le Sacre du Printemps, de Igor Stravinsky. . Encargado por la compañía Les Ballets 1933, del coreógrafo Georges Balanchine, tuvo que ser compuesto a toda prisa, en dos semanas. Esta urgencia en la composición parece haberse combinado a la perfección con la objetividad y asertividad de la obra, al estilo Weill-Brecht.

Die Sieben Todsünden acompaña a dos hermanas, Anna I y Anna II, que en realidad son ego y súper yó de la misma persona. Como explica la propia Anna I, “no somos dos personas, somos una. Las dos nos llamamos Anna, tenemos un pasado y un futuro juntas, un corazón y un libro mayor de nuestros ahorros, y cada una hace lo que es bueno para la otra ". Anna I canta, Anna II actúa. “Mi hermana es hermosa, y yo soy práctica. Está un poco loca, estoy lúcida”, dice Anna I. En el estreno, Anna I era la actriz Lotte Lenya, la esposa de Weill, y Anna II, la bailarina Tilly Losch, esposa del mecenas de la compañía, a quien quería ofrecerle un ballet. .

Anna deja la casa familiar en Luisiana para ganar dinero y enviárselo a la familia para que construya una pequeña casa a orillas del Mississippi. Durante siete años, pasa por siete ciudades y cada ciudad representa un pecado capital. Al contrario de lo que suele ocurrir en el repertorio operístico tradicional, la obra no cuenta una historia, no hay acción. La historia en sí es: Anna sale de la casa, obtiene el dinero y regresa a Luisiana, donde la casita estaba lista. Hay una narración, predominantemente escrita por Anna I, pero que, en la línea de lo que se hacía convencionalmente, sobre todo en la literatura de principios del siglo XX, se preocupa más por los pensamientos, por los conflictos internos de Anna, que por una sucesión de hechos.

Como ejemplo, tomemos los dos primeros pecados. En el primer año, el primer pecado: la pereza. Ni siquiera sabemos en qué ciudad está Anna. Solo tenemos acceso a los comentarios de la familia, que cuentan solo que Anna, aunque buena hija, solo salió de debajo de las sábanas cuando la arrancaron de alli y que la pereza es la madre de todos los vicios. En el segundo año en Memphis, la narración se remonta a Anna I. Anna comete el pecado del orgullo porque había conseguido un trabajo en un cabaret, pero quería hacer arte en el cabaret y, por supuesto, no era lo que los clientes querían ver. “El orgullo es un privilegio de los ricos”, comenta Anna I. Lo que se narra, por tanto, es más la frustración de Anna y el hecho de que sólo los ricos tienen derecho a aspirar a una cierta dignidad. Para ella, querer hacer arte en lugar de lucir su cuerpo era algo magnífico.

Esta forma de narración, que reemplaza la acción tradicional del teatro dramático, es una de las características del llamado teatro épico de Brecht. Además, Brecht siempre busca una distancia emocional a favor de la razón. Así, el actor necesita saber actuar, comunicarse con el público, sin involucrarse emocionalmente con lo que está narrando. Así, a diferencia de lo que ocurre en el teatro dramático, el espectador no debe sentirse emocionalmente absorto por la historia, sino instigado racionalmente por ella. En Los siete pecados, Anna I narra las dificultades y sufrimientos de Anna II, pero con la distancia que crea la propia segregación del personaje en sus dos facetas.

Alexandre Dal Farra, director escénico de la producción en el São Pedro, señala, en un video difundido en las redes sociales del teatro, que el texto de Los Siete Pecados sigue la línea de Brecht de “mostrar siempre que la moralidad es menos importante que la producción, y que lo productiv, que las fuerzas, que el sistema económico”. Para él, existe un mecanismo de explotación y represión de los deseos, y esto ocurre de tal manera que, en el texto de Brecht, la represión religiosa es reemplazada por la represión de las fuerzas productivas.

De hecho, después de la muerte de Weill, Brecht incluso revisó el texto y cambió el título a Los siete pecados capitales del pequeño burgués. Los dos pecados descritos anteriormente ya dejan claro el paso del sentido religioso del pecado al contexto de la pequeña burguesía, que es capaz de reprimir todos sus deseos y someterse a cualquier cosa a cambio de una pequeña mejora en las condiciones de vida. Los pecados, en el caso de Anna, son deseos que pueden impedir que la familia alcance su objetivo de construir la casa.

En el Teatro São Pedro, la obra no se presentó como un ballet, sino como un espectáculo que unía el canto con el teatro, el cine y la música de concierto. Como si se tratara de una especie de prólogo o apertura de lujo, el concierto para violín y vientos de Weill, Op. 12, precedió a la obra. El solo estuvo a cargo del reconocido violinista Claudio Cruz, en perfecta sintonía con los vientos de la orquesta del Teatro São Pedro, bajo la siempre competente dirección de Ira Levin.

El concierto fue compuesto en 1924, por lo tanto, casi diez años antes que Los Siete Pecados. Tomarlo como punto de partida del espectáculo significa comenzar la experiencia con el sonido de principios del siglo XX, la Segunda Escuela de Viena. "Uno ya ha digerido una parte de Schönberg con toda buena voluntad antes de poder entender esta música", escribió Weill en una carta a Lotte Lenya. Además, la composición fue impactada por la muerte de Ferruccio Busoni, el maestro de Weill, por lo que el primer movimiento tiene una atmósfera sombría y en él se puede escuchar claramente la melodía de Dies Irae.

Es en este entorno musical que remite a las revoluciones, rupturas y dolores de principios del siglo pasado donde comienzan a aparecer imágenes, en una pantalla, que hacen la conexión con la siguiente obra. Entre estas imágenes, el estreno de la película brasileña A Mulher de Todos (1969), del director Rogério Sganzerla, protagonizada por Helena Ignez, esposa de Sganzerla. Es uno de los ejemplos más emblemáticos del llamado Cine Marginal, el que, en pleno apogeo de la represión de la dictadura militar, rompió irreverentemente con todo, con todas las formas.

Como en la obra de Brecht, en la película de Sganzerla ocurre muy poco. También como Los siete pecados, tiene una estructura algo cíclica, termina más o menos como comenzó. Sigue al personaje de Angela Carne e Osso, una ninfómana, en un fin de semana en la Ilha dos Prazeres. Los diálogos, las líneas, a menudo son sueltos, desconectados. Las escenas son cuadros prácticamente independientes. El desapego brechtiano es una característica de Ángela. Aunque Helena Ignez tiene una actuación fuerte, corporal e intensa en la piel de su personaje, no describe ningún sentimiento más profundo, es solo de carne y hueso. Es una mujer decidida, dominante, que a menudo asume un papel que, hasta entonces, era exclusivo de los hombres. Siempre lleva en la boca un puro, tanto fálico como símbolo de masculinidad. Como dice en la película de 1969, es una mujer del siglo XXI.

Conquista a los hombres, los domina y, al mismo tiempo, los besa, los lastima, los ataca. ¿Tu preferencia? Las boquillas. Por eso dice que le costó mucho encontrar marido, porque quería al más idiota de todos. Y es el Dr. Plirtz, un magnate alemán que se define con orgullo a sí mismo como "un matón". Un ex oficial nazi, se viste en secreto con su viejo uniforme, hace gruñir a Chaplin en El gran dictador y, con nostalgia, exclama: "¡Buenos tiempos!" y tararea Lili Marlene. Plirtz gana dinero con los cómics y es un fanático de los globos tripulados, que dice que le dan todo. Es uno de sus globos que, al final de la película, ata a Ángela y Armando, uno de sus amantes que quería “subir en la vida”. Y es Plirtz quien abre y cierra la película, de uniforme, en la playa, abrazando al globo caído y besándolo, después de decir “hay un orden, nadie puede hacer lo que quiera así. Ella era muy peligrosa ". Esta es la imagen que se muestra en el teatro, y el globo de Plirtz se escapa de la pantalla y pasa a formar parte del escenario de Los siete pecados capitales.

De esta manera, Dal Farra crea un puente entre Alemania en 1933, que Weill y Brecht tuvieron que abandonar debido al auge del nazismo, Brasil en 1969, que Sganzerla e Ignez también tuvieron que abandonar debido a la dictadura militar, y el Brasil de hoy., desigual y dividido, que, con la nostalgia de Plirtz, coquetea con el autoritarismo, demoniza las artes, y de la que Ángela podría ser la primera dama.

El vínculo con Brasil hoy se hace explícito sobre todo en el tercer pecado, la ira. Como sucedió a lo largo de la obra, Anna II fue filmada y su imagen proyectada en una pantalla. En el marco de la ira, mientras Anna cantaba “El que se opone a la injusticia, nadie lo quiere cerca. El que se exaspera con el mal ya camina hacia la tumba. Y quien no tolera la infamia, ¿cómo será tolerado?”, Anna II estaba fuera del teatro, en la calle, en el escenario” más realista posible, con las dolencias del centro de la ciudad en exhibición, abrazando el globo de Plirtz.

Anna II, vivida de manera impactante por la reconocida actriz Gilda Nomacce, es la parte brasileña de Anna. Ella está tanto en Brasil bajo Sganzerla como en Brasil hoy. Anna I, portavoz de Weill and Bracht, canta en alemán; Anna II responde en portugués.

En el papel de Anna I, la interpretación de Denise de Freitas, una excelente mezzosoprano brasileña, fue perfecta. Logró conciliar una interpretación atractiva con el debido desapego brechtiano. Dueña de una voz poderosa, Denise cantó con naturalidad, sin exageraciones líricas, una opción muy adecuada para este papel, que, después de todo, no fue diseñado para una cantante de ópera, sino para Lotte Lenya, que no tenía conocimientos de técnica vocal.

El contraste musical entre las pinturas, tanto en aspectos rítmicos como dinámicos, es una característica importante de la obra. Cada pintura utiliza un ritmo popular y cita diferentes estilos de música occidental, desde el barroco hasta el jazz. Al frente de la Orquesta del Teatro São Pedro, el director Ira Levin marcó con precisión este aspecto fundamental de la música de Weill. En las dos últimas pinturas, envidia, el séptimo pecado y epílogo, el poder de la voz de Denise de Freitas fue fundamental para que el efecto de contraste sonara perfecto. En envidia, una marcha que oscila entre marcha militar y marcha fúnebre (comienza citando el tetracordio descendente del lamento de Dido de la ópera de Purcell), Anna I, en una parodia bíblica, hace un llamado: “Hermana, sígueme. Verás que al fin triunfarás sobre todas las cosas”- y lanza una maldición: “ Los demás, sin embargo, oh espantoso resultado, quedarán con las manos vacías y temblarán a la puerta cerrada ”. En este terrible desenlace, la orquesta y el canto de Denise van al fuerte sin que ella sea, en ningún momento, encubierta. Poco después, en el tranquilo epílogo, cuando Anna ya está en Luisiana, en el paraíso burgués “donde las aguas del Mississippi fluyen a la luz de la luna”, tiene lugar un hermoso pianissimo.

El extrañamiento creado por la obra es, sin duda, un elemento que saca al espectador de cierta posición de comodidad y lo invita a reflexionar. En este sentido, además de la música, también contribuye la separación de Anna en dos hermanas, la Familia, un cuarteto de voces masculinas. Weill rompe con cualquier convención del romanticismo eligiendo una voz de bajo para su madre. Mientras tanto, el padre es un tenor, que asume el papel de primer tenor cuando la familia canta. Los dos hermanos son segundo tenor y barítono. En el São Pedro, Anderson Barbosa y Paulo Mandarino lo hicieron muy bien como padre y madre, y, como hermanos, el tenor Daniel Umbelino y el barítono Rafael Siano. Tanto escénica como vocalmente, la Familia contribuyó considerablemente al gran resultado.

La innovación de la producción de Dal Farra no está en la proyección de videos. Actualmente, muchas producciones de este trabajo hacen esta opción, incluida la famosa grabación con Teresa Stratas, dirigida por Kent Nagano y dirigida por Peter Sellars, cuya influencia se pudo sentir en ocasiones. La innovación de Dal Farra está en la forma eficiente que usó para vincular el trabajo con nuestros problemas del 'aquí y ahora' y en la forma en que usó los videos, que en algunas producciones solo sirven para mostrar escenas con las que los actores no se sienten cómodos interpretar en vivo. En la producción de Dal Farra, los videos resonaron y dieron otra mirada a lo que se estaba haciendo en el escenario. Fue un espectáculo fuerte y provocador.

Lo único que hay que lamentar es que la dirección del Teatro São Pedro parece estar más inspirada en la Familia de Anna que en las reflexiones propuestas por Brecht. El trabajo, aunque corto, exige mucho a la cantante, duró dos semanas y tuvo cuatro funciones en la primera y cinco en la segunda, siempre en días consecutivos. Esta ha sido, de hecho, una práctica frecuente en São Pedro e indica, a pesar de la historia de alto nivel de las representaciones, una cierta falta de familiaridad con el funcionamiento del canto de ópera y con el cuidado que se debe tener con la salud vocal de los cantantes.

Dicho esto, después de todas las dificultades impuestas por la pandemia, fue muy gratificante ver un espectáculo tan bien conducido, tan bien cantado, tan bien interpretado y tan bien organizado. El próximo mes, la corta temporada 2021 se cerrará ligeramente con Il Signor Bruschino de Rossini. ¡Voy a estar allí!

El Teatro São Pedro ha puesto todos sus programas en su página de YouTube. Pronto, Los siete pecados capitales se podrá ver en el vínculo https://www.youtube.com/c/TheatroSãoPedroTSP.


 

 

 
 
 

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