Il valzer di Viotti e Gibboni
di Stefano Ceccarelli
L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia presenta il concerto/debutto di due giovani talenti musicali: Lorenzo Viotti, come direttore, e Giuseppe Gibboni, come violinista. Il concerto è particolarmente ricco e ha come fil rouge il tema del valzer, presente nell’ouverture di DieFledermaus di Johann Strauss Jr, nella suite da DerRosenkavalier di Richard Strauss e ne La Valse di Maurice Ravel. Gibboni esegue, nel primo tempo, il Concerto in re maggiore per violino e orchestra op. 35 di Pëtr Il’ič Cajkovskij.
ROMA, 5 novembre 2021 – Non si può non rimanere affascinati, in un modo o nell’altro, da Lorenzo Viotti. Sarà la sua giovane età, la naturale avvenenza o il talento cristallino come direttore d’orchestra; come che sia, il pubblico è rimasto autenticamente stregato, fin dall’apertura del concerto, quando Viotti dirige l’ouverture della Fledermaus di Johann Strauss Jr. Gesto elegante, deciso, chiaro ed espressivo quello di Viotti, che si traduce in una resa frizzante, accattivante del brano, che di per sé concilia, certamente, l’interprete con il suo pubblico. L’atmosfera in cui ci cala Viotti è quella mitteleuropea, imperiale, scintillante di valzer e abiti sontuosi; e il valzer è il vero fil rouge dell’intero programma della serata, che si concede una pausa solo con il concerto čajkovskijano. L’orchestra asseconda perfettamente una visione tersa della partitura da parte di Viotti, che sa dosare senza paure o remore gli impasti strumentali e, soprattutto, i volumi orchestrali, che non di rado scatena in fortissimi trascinanti. Infatti, non appena l’ouverture termina, il pubblico applaude non tanto come usualmente si fa ad inizio di un concerto, quanto come se si fosse già alla fine; il pubblico, cioè, è incontenibile, stregato dalla performance di Viotti.
Il primo tempo prevede come portata principale il Concerto per violino di Čajkovskij, croce e delizia di ogni interprete di questo strumento. Ad eseguire la parte è il giovanissimo Giuseppe Gibboni, recentemente assurto alla notorietà per aver vinto il Premio Paganini di Genova. L’intesa fra Gibboni e Viotti è eccellente. Orchestra e solista dialogano armoniosamente. Viotti è attento a valorizzare gli interventi dello strumento, allargando l’agogica, creando talvolta un velluto orchestrale su cui Gibboni si poggia con grazia; inoltre, imposta un’agogica brillante, mai stantia, adatta a esaltare una scrittura anticonvenzionale (almeno per l’epoca), quasi spericolata. Gibboni dimostra sùbito il suo valore nell’Allegro moderato (I); la scrittura è irta di ogni difficoltà, verticalizzazioni improvvise, scatti, salti, profluvi di note, filati. Si aggiunga a tutto questo il dover rendere giustizia alle melodie espressive, adagiate su frasi legate. Gibboni si muove con disinvoltura, affrontando e risolvendo con piglio maturo tutte queste difficoltà; ciò che stupisce maggiormente, inoltre, è l’attenzione che pone all’esecuzione tanto delle frasi, come pure dei frammenti melodici, letti con rigore sì, ma mai geometrico, con rigore umano, sensibile, giocando a rafforzare o ad assottigliare il suono, a farlo vibrare caldamente. Tutto ciò si è visto nella Canzonetta (II), dov’è l’espressività dell’interprete ad essere messa maggiormente a cimento. Il virtuosismo trascinante del Finale (III) galvanizza Gibboni e Viotti, che chiudono il concerto in uno scroscio di applausi. Prima di congedarsi, il giovane violinista esegue, in ordine, il n. 21 e il n. 1 dei Capricci di Niccolò Paganini.
Il secondo tempo si riallaccia, per continuità in un certo senso tematica, con la Fledermaus: è, infatti, il momento della suite dal Rosenkavalier di Strauss. Viotti spagina la sintesi dell’opera in una maniera brillante, facendo sfavillare i colori straussiani e portando il pubblico in una girandola di melodie, appunto i famosi valzer dell’opera. Il pubblico applaude con trasporto. Il concerto termina con un pezzo egualmente coreutico: La Valse di Ravel. In questo brano, Viotti ha il merito di cogliere l’estrema malinconia che trasuda da ogni nota; per farlo gioca a rubare, quasi impercettibilmente, sull’agogica, quasi in un senso di vibrante angoscia che è spinta, però ad andare avanti. Ciò che, ancora, colpisce lo spettatore è la padronanza assoluta del gesto da parte di Viotti, il suo controllo dell’orchestra che asseconda perfettamente un’idea sensualmente decadente dell’agogica del brano. Il concerto si chiude in sonori applausi; un concerto – val la pena di ricordarlo – che vede protagonisti due giovani eccellenze dei rispettivi ambiti musicali: a testimoniare che spesso il vecchio non necessariamente è migliore del nuovo.